Pausa caffè
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Firenze 15 Dicembre 2006
Tredici anni. Sono pochi e tanti. Pochi dopo i venti, tanti dopo i terzi …anta.
Ma è sempre una scarica di emozioni. Così ieri, ristorante “Pausa caffè”, zona Piazza Dalmazia, dopo aver visto “Cuori” di Resnais, lì nella strada parallela, cinema Flora, mi sono ritrovato per un breve tuffo all’indietro nella piscina del tempo, con Luisa, Iva, Laura, Rossella R., Marcella, Elena, Rossella S., Maria Teresa, Patrizia, Giuseppe, Paola, Alessandra e diversi mariti al seguito.
La saletta del ristorante è calda e accogliente, tutta per noi. Il ristorante ha la serranda semiabbassata, aperto tutto e solo per la ventina di avventori quali noi siamo. Senza musica. Finalmente, devo dirlo. Perché gli amplificatori disturbano ormai troppo spesso le orecchie per ottenebrare il cervello e impedire la comunicazione.
Iva, che ci ha messo insieme per questo happening di nostalgia, ha tentato di stordirci con la sua esuberante effervescenza, ma ha lasciato volentieri a me l’incombenza di rievocare sommessamente i dieci anni di vita “laboriosa” passati in compagnia di 1000 studenti e 100 insegnanti – anni 80-90 – all’Istituto Tecnico per ragionieri e programmatori “Albert Einstein” di Firenze, zona Isolotto, S.Bartolo a cintola, periferia sud-ovest, non distante dal Ponte all’Indiano.
La scuola è meglio della m. si legge nella Lettera alla professoressa di D.Milani. L’espressione è messa in bocca a ragazzi figli di contadini che intendono far capire a tutti quanto sia importante, da giovani, andare a scuola, liberando il proprio tempo da incombenze di duro lavoro materiale quale richiedono la stalla delle vacche e il rello dei maiali.
La scuola – io tengo a specificare – è sempre e comunque migliore del giudizio che ne danno stampa e mass media, per quella intollerabile bigotta omologazione al peggio che gronda da tutte le civette dei giornali, da tutte le testate dei telegiornali, che alternano la cronaca nera con il teatrino sadomaso dei politici che fingono un’eterna litigiosità, per tentare di portare noi, fin dal fondo d’una saletta di ristorante, a litigarci addosso o sparare giudizi generici e improbabili su tutti gli argomenti seri che vengono o sottaciuti o presentati in maniera artatamente distorta, sempre nella nebbia diffusa di un generico qualunquismo che ci fa battere la testa tutti i giorni col peronismo dei certi padroni del vapore e col moralismo dei padroni del Signore. (Scusate la tirata ciceroniana).
Questo ho pensato - senza dirlo - alzando il bicchiere di spumante ieri sera.
Davanti a tre prof di ragioneria e tecnica commerciale, tre di matematica, due di lingue straniere, due di educazione fisica, tre di lingua e letteratura italiana…non mi è stato però difficile ricollegare il senso particolare di esperienze singole col quadro generale di un’operazione collettiva che ci ha sollevato tutti e ciascuno ad un livello molto alto di intellettuale consapevolezza e di umana solidarietà. Perché nella scuola tu sei, per dato oggettivo, necessitato a rapportarti agli altri. E quando gli altri sono 15 amministrativi, 20 custodi, 1000 (mille) studenti teen-age, cento colleghi, costretti a vivere insieme per lunghe ore nello stesso ambiente…, se chi ha il compito di dirigere e coordinare, si limita a “predisporre ogni cosa perché si faccia; a dare i mezzi per fare, per poi lasciar fare”, beh, ne può venire un’esplosione di forza e creatività che rallegra la vita e dà i mezzi per affrontarla…
Bisognerebbe scriverla un po’ diffusamente questa storia di una scuola, nata per scissione ai primi degli anni ottanta dall’Istituto tecnico Galilei e ritornata allo stesso nel corso degli anni novanta. Dieci anni di vita, un fiore reciso che vive ancora in me e in qualche migliaio di persone che si portano addosso questo vaccino di positività come anticorpo ai veleni della vita.
Mi piacerebbe un libro di memorie scritto a più mani (prof, studenti, personale ausiliario e amministrativo). Ne verrebbe un bel mosaico.
Comunque sia, viva la scuola che è sempre meglio della m.
Alzo ancora da qui il bicchiere di spumante e brindo alla comitiva:
La vita in fondo in fondo è una mangiata,
star qui tra amici, amar la compagnia,
far posto a tutti a questa tavolata
con l’universo stare in sintonia
per poi tornare a farci una dormita
quando siam giunti al fondo della via
in grembo al tempo che c’ha messo in vita,
mentre le stelle brillano dicendo:
sempre si cambia e mai non è finita.
Tre foto
Grazie Iva.
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