Giordano Bruno sta ancora bruciando
Il giudice del tribunale civile di Roma si è riservato di decidere sul caso Welby. In pratica, il verdetto si saprà entro una settimana, semprechè Piergiorgio Welby sia ancora vivo, dato che le sue condizioni stanno peggiorando.
Mentre un medico di Sestri Levante si è offerto di "interrompere la sofferenza di Welby se nessun altro vuole farlo", uno dei due medici curanti di Welby si è opposto al ricorso presentato dal suo stesso paziente chiedendone il rigetto, in quanto nell'eventualità di una situazione di affanno dovuta al distacco del ventilatore polmonare, si troverebbe nella situazione di dover ripristinare la terapia. Esattamente quello che Welby non vuole.
Contro Welby si è espressa anche l'Associazione medici cattolici italiani, che ha ribadito il suo NO al distacco della spina, anche se richiesta dal paziente, perchè in contrasto con il codice deontologico del medico.
Queste le notizie nude e crude. Ci sia consentito un commento.
L'intera vicenda sta rasentando l'assurdo, se non fosse una tragica commedia all'italiana. Dapprima la Procura di Roma si pronuncia per il distacco della spina su richiesta del paziente e contemporaneamente per il suo riallaccio su decisione del sanitario; poi il giudice rinvia il giudizio mentre il ricorrente sta morendo sotto tortura; quindi uno dei medici curanti chiede il rigetto del ricorso per non trovarsi poi obbligato a ripristinare la terapia, come se il codice deontologico della corporazione medica prevalesse sulla sentenza di un giudice; infine l'associazione medici cattolici, corporazione nella corporazione, ribadisce il suo No al distacco non perchè è contro il codice civile ma perchè è contro il codice deontologico della categoria.
Insomma, come ha scritto la nostra Maria Laura Cattinari, "Giordano Bruno sta ancora bruciando".
Forse ha ragione Scalfari, quando nel suo articolo "lo specchio s'è rotto" prende tristemente atto che in Italia gli interessi individuali prevalgono ormai su quelli collettivi, grazie anche a cinque anni di incitamenti venuti dall'alto.
Ciò premesso, con piacere rileviamo che diversi rappresentanti di LiberaUscita hanno contribuito oggi a sostenere la causa di Welby sui mass-media. Infatti:
- Corrado Augias, nostro socio onorario, ha risposto nella sua rubrica "lettere" de "la Repubblica" ad una lettera della nostra socia prof.ssa Marlis Ingenmey di Pisa (vedi articolo allegato: Il caso Welby secondo il Catechismo);
- il prof. Franco Toscani, anch'esso nostro socio onorario, ha partecipato al confronto televisivo con il prof. Zaninetta sul TG2 di ieri sera;
- il dr. Giancarlo Fornari, nostro Presidente, ha pubblicato sul sito www.contrappunti.info un suo articolo dal titolo: "Fantagiustizia, il corpo di Welby proprietà dei medici?"
Cordiali saluti
Giampietro Sestini
(Dalla mailing list di Libera Uscita)
Scoop del giorno: in Vaticano non sanno il catechismo..
IL CASO WELBY SECONDO IL CATECHISMO – DI CORRADO AUGIAS
Caro Augias, vorrei ricordare due articoli del Catechismo della Chiesa Cattolica, che mi pare completino il mosaico degli elementi testuali basilari (Costituzione, Convenzione europea sui diritti dell'uomo e la biomedicina, Codice di deontologia medica e, appunto, Catechismo) che permettono di porre fine alle atroci sofferenze che, pienamente cosciente, Piergiorgio Welby deve sopportare "per una kafkiana imposizione 'etica' come la definisce lui stesso.
Il Catechismo, infatti, recita all'arto 2278: «L'interruzione di procedure mediche onerose, pericolose, straordinarie o sproporzionate ai risultati attesi può essere legittima. In tal caso si ha la rinuncia all'accanimento terapeutico. Non si vuole così procurare la morte: si accetta di non poterla impedire. Le decisioni devono essere prese dal paziente se ne ha competenza e capacità». Welby, che chiede il "distacco dal ventilatore polmonare", le ha entrambe.
Il successivo art. 2279 riguarda invece la seconda richiesta da lui avanzata, "sotto sedazione terminale, se possibile orale"; dice: « L'uso di analgesici per alleviare le sofferenze del moribondo, anche con il rischio di abbreviare i suoi giorni, può essere moralmente conforme alla dignità umana, se la morte non è voluta né come fine né come mezzo, ma è soltanto prevista e tollerata come inevitabile».
A giudicare da queste due affermazioni del Catechismo, nulla osta neanche da parte della Chiesa Cattolica a che Welby possa finalmente vedere soddisfatta la sua richiesta di una morte "opportuna" ma soprattutto "naturale".
Marlis Ingenmey Pisa - mmarianelli@virgilio. it
Risponde Corrado Augias
Ringrazio la professoressa Ingenmey per averci ricordato che una corretta lettura del Catechismo, cioè non ottenebrata da scrupoli ideologici, consente quell'atto di cristiana carità, che Welby disperatamente chiede da settimane. Del resto non tutti i cattolici appaiono sordi come le alte gerarchie vaticane davanti a questo straziante grido di dolore.
Le comunità cristiane di base, riunite domenica a Frascati, hanno indirizzato a Welby una nobilissima lettera dove tra l'altro si legge: «
E' giusto e umano che tu possa concludere in pace la tua esperienza di vita senza che nei tuoi confronti si eserciti un accanimento non rispettoso della tua dignità. Nessuna religione o ideologia può in alcun modo costringere, in una condizione così drammatica, la tua libertà di scelta che noi, quale che sia, rispettiamo profondamente».
Pur non essendo un fedele di quella religione credo di poter scorgere in queste parole quella misericordia che rappresenta storicamente la più alta conquista del cristianesimo. L'umana tragedia di Piergiorgio Welby, così semplice nelle sue ineluttabili circostanze, si è complicata in base a ragionamenti e timori che niente hanno a che vedere con la realtà e la malattia. Si è avuta l'impressione che le gerarchie ne facessero piuttosto una questione di potere e di prestigio.
Giovanni Reale, filosofo e credente, ha rimesso la questione sui suoi giusti binari affermando: «non è lecito trasformare la sacralità della vita nella sacralità della tecnica, quasi facendo della tecnica un dio che dice: alzati e cammina». Chi davvero ama il prossimo suo non può che augurare a Welby quella pace che ha così a lungo invocato.
Da “La Repubblica” 12 Dicembre 2006, pag.24.
PS. Non rimane che mandare il papa a catechismo.
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