domenica 1 marzo 2009

Sarò a Lugano il 5 marzo

Come valletto accompagnatore

di Paola che si presenta a ricevere la Menzione d'onore per il racconto presentato al concorso indetto dalla Associazione Dialogare-Incontri di Lugano.

Premiazione Premio Dialogare 2009

Come in un film

Questo il racconto segnalato al posto d'onore (dopo quello premiato: è un destino per Paola, ma va bene lo stesso), perché Paola sa scrivere. A volte, senza invidia né malizia, ci fermiamo a considerare pubblicazioni premiate nella grande sarabanda dei concorsi: c'è spesso roba "bruttina", scritta anche malino.  L'Associazione luganese è stata scelta da Paola perché in sintonia col suo impegno civile e letterario, come si può desumere entrando nel sito web:

Concorso Dialogare 2009        

Una donna come te
Guardo Antonia che sorbisce senza entusiasmo il suo orzo, come me del resto. Siamo a dieta, visto che dormiamo poco la notte. "Loro" fanno come al solito il caffé turco, nero, corposo, fragrante. Il nero brillante sembra si rifletta negli occhi scuri dal bianco azzurrino sotto le palpebre ambrate. I vestiti colorati sgonnellano su e giù dal ripostiglio che serve da cucina. E' l'ora del break, durante l'orario mattutino del laboratorio. Ci si rilassa tutte un po', mangiando la pitta con la ricotta che Fara ha portato stamani. A me la pitta non piace, la trovo unta, meglio i panini con la marmellata cotti nel forno di Sabila. In questi giorni però non li può fare perché le hanno tolto la corrente. Il guaio grosso è doversi lavare con l'acqua fredda.

Intervengo io:" non compri i vestiti nuovi per tutti, quando fai la festa di Maggio. Non prendi la macchina nuova e ti contenti di risistemare la vecchia". Evito di dire "come faccio io" e mi pare di aver distillato tutto il possibile buon senso, ma lei mi guarda con gli occhi che hanno quel bianco così azzurro e io mi sento un po' nel giusto, un po' no. Penso a tutte le famiglie del campo che non rinunciano alla macchinona nuova e poi fanno le docce fredde.
A questo punto le fumatrici escono e si liberano dalla rabbia col fumo delle sigarette. Si torna al lavoro. La stireria funziona a ondate, bene d'inverno, meno durante la buona stagione. Il laboratorio di cucito tira abbastanza perché i rammendi ora nessuno ha più tempo di farli e comprare il nuovo non sempre si può. Le romnì a volte sono stanche e nervose. Litigano fra loro e parlano troppo forte nella loro lingua, anche se le clienti ormai ci hanno fatto l'abitudine. Forse è difficile essere solidali quando si vive gomito a gomito in un piccolo villaggio di casette di legno distanti un metro una dall'altra su una collinetta ex scarico di rifiuti, ai margini della città. E quella che hai accanto, anche se parla la tua lingua, ha una storia e una provenienza diverse dalla tua e mentre tu hai solo tre figli, lei ne ha sette che gridano, fanno a botte e ti rubano i panni dal filo dove li avevi stesi ad asciugare.
Qualche volta ripenso a tutta la nostra storia che è in piedi ormai da 10 anni ed è come se mi scorresse davanti agli occhi un lungo film fatto di inquadrature brevi quasi dei flashes, che però sono tante e precise. Quasi tutte di donne. I primi approcci al campo, quando avevamo un po’ timore di quelle donne scure che ci guardavano con una curiosità quasi sfacciata. C’era la difficoltà di capirsi, solo una cosa era chiara: volevano lavorare. Rivedo i bambini che si nascondevano ridendo dietro un mucchio di assi di legno o facevano capolino dalle finestre delle baracche ornate di tendine bianche che avevano un barlume di accoglienza. L’immagine è già sfuggita, al suo posto c’è Mirka, la figlia di Fara, che va in bicicletta e mi dice: “Non so se ci potrò più andare quando sarò sposata. Lui non vuole.” Ancora Mirka col vestito bianco del matrimonio fatto venire apposta da Skopje, a cui avevamo aggiustato i pesanti ricami un po’ sciupati. Qualcuno sussurra “Sembra una principessa”. Poi la principessa se ne va via da casa e io vado a trovarla nel rifugio dove l’assistente sociale l’ha portata coi due bambini. Infine, ed è l’ultima, noi due insieme nella sua casetta. Ora lei è vestita da moglie, con un fazzoletto in testa e non porta più i pantaloni. Appaiono altre immagini che s’impongono in primo piano. Gisa, l’unica ragazza rom che era entrata al laboratorio. Aveva 17 anni quando l'abbiamo presa a lavorare. Grande e robusta, allegra di quella allegria contagiosa e fresca che solo a quell'età si può avere. Con Daniela, appena più grande di pochi anni, chiacchieravano fitto, lavorando, e ridevano perdutamente di cose e persone che sapevano solo loro, finché Daniela saltava su e correva al bagno proclamando: "E ora corro a fare la paipai". Ora Gisa non c'è più, si è sposata e sta in Germania, in una sconosciutissima cittadina del Nord dove l'inverno deve fare un freddo considerevole e dove si parla una lingua difficile che lei dovrà imparare. All'inizio, quando ci annunciò che si sposava, le dicemmo senza mezze misure che per noi era un tradimento. Non si era insistito abbastanza sul fatto che bisognava resistere alla volontà della famiglia che, appena hai compiuto 15 anni, ti sta appresso per farti sposare uno che non hai mai visto né conosciuto? Anche lei era d'accordo.

Bene, pensavamo noi con soddisfazione, Gisa resiste, ha già vent'anni ed è diventata proprio brava. Il laboratorio lo affideremo a lei. E lei era uno degli elementi che ci facevano sentire contente di come andavano avanti le nostre cose.
Ora la vediamo ogni tanto, piuttosto di rado, quando torna a trovare i suoi. Ha imparato un po' di tedesco e ci pare sia contenta del marito e della suocera con cui abita. Ha mantenuto il suo bel sorriso allegro.
E’ stata una storia lunga durante la quale siamo vissute così a stretto contatto con lei che è impossibile non dedicarle un’attenzione particolare. La vedo coi suoi bei capelli neri annodati dietro mentre lavora e ride con Daniela e poi, quando è tornata dopo il matrimonio, con i capelli sciolti, un po’ di trucco e anelli e braccialetti a profusione.
“Tutti del matrimonio, Gisa?”
“Tutti, ma ne ho ancora a casa che mi hanno dato i parenti. Questi sono di lui.”
Quel lui verso il quale eravamo così diffidenti e forse anche un po’ gelose e di cui ci piaceva ora sentir parlar bene. Ultime. appaiono le mie ragazze giovanissime dagli occhi intriganti a cui ho chiesto, dopo averle tenacemente cercate, se avrebbero accettato di sposare l’uomo scelto dalla loro famiglia. Genna, che è scappata di casa col suo ragazzo e l’ha imposto ai suoi. Ha i capelli spettinati come sempre e gli occhi brillanti e decisi. Elvira e Zina che non ce l’hanno fatta. Ora, anche se giovanissime, sono già madri di famiglia. Sono ancora carine però. Mi guardano con un mezzo sorriso come per dirmi che è inutile fare a pugni, si soffre di più. Quando osservo le immagini di queste donne vedo anche i loro colori: verde scuro, rosso rubino, giallo zafferano. E il bianco, quel bianco lucido di quando si sposano. E dev’essere un bianco davvero veritiero, se no la suocera può ancora gridare e cacciarle di casa.
Però, il viso, lo vedo quasi in bianco e nero, prima di tutto perché adoro il bianco e nero, poi perché, se è un viso espressivo, il colore si perde e ti ricordi solo la pelle che è appena un po’ scura e gli occhi molto neri che hanno uno sguardo ora di simpatia curiosa perché “tu ti interessi a me”, ora di sfida perché “chi pensi di essere, io sono una donna come te”, ora di timore perché “tu vieni a carpire qualche segreto che andrai a spifferare tra la gente che sa così poco di me”.

  Questa l'intervista in anteprima:
Per conoscere meglio Paola Galli
Ci può raccontare il Suo percorso letterario?
Ho cominciato a scrivere tardi, poco prima del pensionamento, perché in realtà non mi sono mai pensata come una scrittrice, ma come una persona occupata a fare altre cose, insegnamento e attività sociali, e solo saltuariamente impegnata a ritagliarsi un piccolo spazio personale in cui lasciarsi andare alla scrittura. Un po' come un optional piacevole, ma occasionale. In realtà mi rendo conto di quanto mi piaccia la scrittura, come mi piace, e la pratico da sempre, la lettura di narrativa, in particolare quella femminile, nei riguardi della quale sono via via diventata, come succede, notevolmente selettiva. Mi interessa soprattutto il racconto, un organismo completo in se stesso. Non ho grande interesse per lo svolgimento dell'azione, che caratterizza il romanzo, mi emoziona di più individuare un punto centrale, uno scarto a cui corrisponde un momento di forza emotiva, come dice una brava scrittrice di cose femminili, Grazia Livi. Intorno a questo elemento nasce e si svolge poi il piccolo universo del racconto. E poi il racconto, se è di qualità, non ha cadute di stile, mentre il romanzo le ha quasi inevitabilmente e anche momenti di noia. 
Che cosa la spinge a scrivere?
E' importante la domanda su cosa mi spinge a scrivere. Credo che, come per altri, avvenga per esprimere qualcosa a cui tengo e nel tempo stesso per creare un punto d'incontro, perché certamente qualcosa di quello che si dice toccherà nel vivo qualcuno. Almeno è quello che si spera quando si scrive.
Scrivere per una giuria, l’ha condizionata o particolarmente stimolata ?
Che la giuria fosse tutta femminile non lo sapevo, ma in ogni caso sottoporsi a una giuria mi pare stimolante (se mai il condizionamento viene dal titolo), anche se resta sempre l'incognita di non sapere se si entrerà in sintonia. In questa occasione ho pensato che mi interessa entrare in rapporto con il gruppo di "Dialogare" che, come me in fondo, è interessato a creare possibilità di lavoro e di inserimento nella produttività. Mi pare di poter dire che, in situazioni diverse, abbiamo in fondo le stesse finalità.
Per quale pubblico scrive?
Il pubblico da cui mi aspetto maggiore comprensione è, in linea generale, quello delle donne e non a caso le poche cose che ho scritto hanno le donne come protagoniste.
Dopo il premio, qualche progetto?…o un sogno nel cassetto?
Sì, un sogno o meglio un progetto ce l'ho e ho anche incominciato a dargli forma: un libro sulle giovanissime ragazze rom del villaggio del "Poderaccio" contiguo al quartiere dove abito, ai loro precoci matrimoni, più o meno forzati, alla loro impossibilità di continuare gli studi e di entrare con dignità nel mondo del lavoro. Per realizzare questo libro mi occorrono ancora molte interviste, che non è facile fare, senza creare sentimenti di diffidenza. So che mi dovrò impegnare.

 Notizia biografica
 Sono nata e ho sempre vissuto a Firenze, dove ho insegnato materie letterarie negli Istituti Tecnici. Dopo la scuola ho lavorato in "Un ponte per Baghdad" e in una piccola associazione che forniva audiocassette per non vedenti "Ascoltare un libro". Da 11 anni collaboro con una cooperativa sociale che fa lavorare donne rom o comunque svantaggiate. Offriamo al pubblico un servizio di cucito e stiratura.

 Bibliografia
Madre e handicap, Feltrinelli ed., Milano, 1988 (Giuliana Ponzio e Paola Galli)
Una vita segreta, Gazebo ed., Firenze, 1999
Un'identità intermedia, Tufani ed., Ferrara 2006
Nel sito seguente si può vedere il video trasmesso su RAI 2 riguardante la cooperativa sociale di cui parlo sopra.
http://www.unmondoacolori.rai.it/sito/scheda_puntata.asp?progid=236

1 commento:

  1. Naturalmente ti ho letto. Sei brava, come sempre Orni

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