Da tanto tempo ho pensato che l'eucarestia è uno strumento di discriminazione: tra credente non credente, battezzato non battezzato, peccatore non peccatore, osservante non osservante, tra prete e laico. Quando nella parrocchia dell'Isolotto, unico spazio agibile nei lontani anni cinquanta, gli operai della Galileo in crisi chiesero di poter fare l'assemblea in chiesa, D.Mazzi domandò al cardinale Elia dalla Costa: come facciamo col Sacramento? Tanto era chiaro che la presenza di Gesù sacramentato comportava da sempre l'impedimento a parlare in chiesa, prendere la parola, come in casa propria, sentirsi libero di esprimersi, di accogliere; tutto per colpa di quel povero cristo che, una volta disceso dalla croce e resuscitato, non ha più inteso far cena con tutti i malcapitati, ci fosse pure un giuda come in quel famoso venerdi, e nemmeno un lebbroso o malato o emorroisso, o svantaggiato. Stesso problema per la distribuzione dei pesci... Enzo, negli ultimi tempi, parlava sempre più spesso e volentieri del dominio del sacro. Da quando Cristo risorto è diventato cristo sacramentato non c'è stata altro che discriminazione, divisione, espulsione, messa all'indice, scomunica, processo e rogo. Spezzare il pane insieme con gli altri non è più stata cosa da cristiani. Un buon parroco fedele ai codici e alle decretali, con probabili ottimi voti alla scuola della teologia di Ratzinger, ha aperto gli occhi ai bambini di una intera classe: effeta! Un passo avanti verso la fine del centralismo vaticano.
Sto parlando di questo fatto.
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