Leggiamo
su micromega.online di oggi la seguente riflessione di don Paolo
Farinella, parroco della chiesa S. Maria Immacolata e San Torpete nel
centro storico di Genova.
Avesse ragione lui?
Roncalli e Wojtyła santi: un enorme ossimoro
«Santo
subito», gridava lo striscione a caratteri cubitali al quadrato che
emergeva sulle teste della folla, il giorno del funerale di papa
Giovanni Paolo II, il 5 aprile del 2005. «È morto un santo» disse la
folla di credenti, non credenti e agnostici che gremivano piazza san
Pietro il 3 giugno del 1963 alla morte di papa Giovanni XXIII. La
differenza tra i due sta tutta qua: il polacco deve essere dichiarato
«santo», il bergamasco lo è sempre stato senza bisogno di dimostrarlo.
Chi
ha avuto l’idea di abbinare nello stesso giorno i due papi per la
proclamazione della santità ufficiale, è stato un genio del maligno.
Mettere insieme il papa del concilio Vaticano II e quello che
scientemente e scientificamente l’ha abolito, svuotandolo di ogni
residuo di vita, è il massimo del sadismo religioso, una nuova forma di
tortura teologica. La curia romana della Chiesa cattolica, che Francesco
non ha ancora scalfito, se non in minima parte, è riuscita ancora nel
suo intento, imponendo al nuovo papa un calendario e una manifestazione
politica che è più importante di qualsiasi altro gesto o dichiarazione
ufficiale. La vendetta curiale è servita sempre fredda.
Il
Vaticano sotto il papa polacco si trasformò in «santificio» fuori di
ogni controllo e contro ogni decenza: più di mille santi e beati sono
stati dichiarati da Giovanni Paolo II, superando da solo la somma di
tutti i papi del II millennio. Un’orgia di santi e beati che annoverano
figure dubbie o equivoche come Escrivá de Balaguer, padre Pio, Madre
Teresa, per limitarci solo a tre nomi conosciuti e che ne escludono
altre come il vescovo Óscar Arnulfo Romero, lasciato solo e isolato,
offerto allo squadrone della morte del governo del Salvador che lo
ammazzò senza problema.
Papa
Giovanni XXIII non ha avuto fortuna da morto. Il 3 settembre dell’anno
giubilare 2000 è stato dichiarato beato insieme a Pio IX, il papa del
concilio Vaticano I, il papa che impose al concilio la dichiarazione
sull’infallibilità pontificia, il papa del caso Mortara, il papa del
«Sillabo», il papa che in quanto sovrano temporale faceva ammazzare i
detenuti politici perché combattevano contro il «papa re». Il mite
Roncalli, storico di professione, fu – perché lo era nel profondo –
pastore e prete, il papa del Vaticano II che disse il contrario di
quanto Pio IX aveva dichiarato e condannato in materia di coscienza, di
libertà e di dignità: il primo s’identificava con la Chiesa, il secondo
stimolava la Chiesa tutta a cercare Dio nella storia e nella vita.
Accomunarli insieme aveva un solo significato: esaltare il potere
temporale di Pio IX e ridimensionare il servizio pastorale di Giovanni
XXIII. Un sistema di contrappeso: se avessero fatto beato solo Pio IX,
probabilmente piazza san Pietro sarebbe stata vuota; papa Giovanni, al
contrario, con il suo appeal ancora vivo e vegeto, la riempiva per tutti
e due.
A
distanza di quattordici anni, per la dichiarazione di santità, papa
Giovanni si trova accomunato di nuovo con un altro papa agli antipodi
dei suoi metodi e del suo pensiero, con Giovanni Paolo II, re di
Polonia, Imperatore della Chiesa cattolica, idolo dei reazionari
dichiarati e di quelli travestiti da innovatori. Wojtyła fu «Giano
bifronte» nel bene e nel male. Nel bene, fu un papa con un carisma umano
eccezionale perché aveva un rapporto con le persone che oserei definire
«carnale»; non era finto e quando abbracciava, abbracciava in maniera
vera, fisica. Diede della persona del papa un’immagine umana, carica di
sentimenti e così facendo demitizzò il papato, accostandolo al mondo e
alle persone reali. Fu un uomo vero e questo nessuno può negarglielo.
Come
papa e quindi come guida della teologia ufficiale, come modello di
pensiero e di prassi teologica fu un disastro, forse il papa peggiore
dell’intero secondo millennio. Mise la Chiesa nelle mani delle nuove
sètte che s’impadronirono di essa e la trasformarono in un campo di
battaglie per bande. Gli scandali, scoppiati nel pontificato di
Benedetto XVI, il papa insussistente, ebbero tutti origine nel lungo
pontificato di Giovanni Paolo II, che ebbe la colpa di non rendersi
conto che le persone di cui si era circondato, lo usavano per fini
ignobili, corruzione compresa. Durante il suo pontificato, uccise i
teologi della liberazione in America Latina, decapitò le Comunità di
Base che vedeva come fumo negli occhi, estromise santi, ma in compenso
nominò vescovi omologati e cardinali dal pensiero presocratico, più
dediti a tramare che a pregare.
Il
suo pontificato fu un ritorno di corsa verso il passato, ma lasciando
le apparenze della modernità per confondere le acque, eclissò e tolse
dall’agenda della Chiesa il Concilio Vaticano II e la sua attuazione,
vanificando così i timidi sforzi di Paolo VI, il papa Amleto che non
sapeva – o non volle? – nuotare, preferendo restare in mezzo al guado,
né carne né pesce e lasciando al suo successore, il papa polacco – papa
Luciani fu una meteora senza traccia visibile – la possibilità del colpo
di grazia, ritardando il cammino della Chiesa che volle somigliante a
sé e non a Cristo.
Il
cardinale Carlo Maria Martini, interrogato al processo di
santificazione, disse con il suo tatto e il suo stile, che sarebbe stato
meglio non procedere alla santificazione di Giovanni Paolo II,
lasciando alla storia la valutazione del suo operato che, con qualche
luce, è pieno di ombre. Il cardinale disse che non fu oculato nella
scelta di molti suoi collaboratori, ai quali, di fatto, delegò la
gestione della Chiesa e questi ne approfittarono per fare i propri e
spesso sporchi interessi. Per sé il papa scelse la «geopolitica»: fu
padre e promotore di Solidarność, il sindacato polacco che scardinò il
sistema sovietico e che Giovanni Paolo finanziò sottobanco, facendo
alleanze, moralmente illecite: Comunione e Liberazione, l’Opus Dei e i
Legionari di Cristo (e tanti altri) furono tra i principali finanziatori
e sostenitori della politica papale, in cambio ebbero riconoscimento,
santi propri e anche condoni morali come il fondatore dei Legionari,
padre Marcial Maciel Degollado, stupratore, drogato, donnaiolo,
puttaniere, sulle cui malefatte il papa non solo passò sopra, ma arrivò
persino a proporre questo ignobile figuro di depravazione «modello per i
giovani».
In
compenso ricevette una sola volta mons. Romero, dopo una lotta titanica
di questi per parlare con lui ed esporgli le prove delle violenze e
degli assassinii che il governo salvadoregno ordinava tra il popolo e i
suoi preti. Il papa non lo ascoltò nemmeno, ma davanti alla foto dello
sfigurato prete padre Rutilio, segretario di mons. Romero, assassinato
senza pietà e con violenza inaudita, il papa invitò il vescovo a
ridimensionarsi e ad andare d’accordo con il governo. Il vescovo,
racconta lui stesso, capì che al papa nulla interessava della verità, ma
solo gl’importava di non disturbare il governo. Raccolse le sue foto e
le sue prove e tornò piangendo in patria, dove fu assassinato mentre
celebrava la Messa. No, non può essere santo chi ha fatto questo.
Papa
Wojtyła ha esaltato lo spirito militare e militarista, vanificando
l’enciclica «Pacem in Terris» di papa Roncalli. Con la costituzione
pastorale «Spirituali Militum Curae» del 21 aprile 1986 fonda le diocesi
militari e i seminari militari e la teologia militare e la formazione
di preti militari che devono «provvedere con lodevole sollecitudine e in
modo proporzionato alle varie esigenze, alla cura spirituale dei
militari» che «costituiscono un determinato ceto sociale “per le
peculiari condizioni della loro vita”». In altre parole la Chiesa
assiste «spiritualmente» chi va in nome della pace ad ammazzare gli
altri, con professionalità e «in peculiari condizioni». Passi che fuori
dell’accampamento ci sia un prete con indosso la stola viola, pronto a
confessare e a convertire alla obiezione di coscienza, ma che
addirittura i preti e i vescovi debbano essere «soldati tra i soldati»,
con le stellette sugli abiti liturgici, funzionari del ministero della
guerra, è troppo e ne avanza per fare pensare che la dichiarazione di
santità si può rimandare a tempi migliori.
Il
pontificato di Giovanni Paolo II ha bloccato la Chiesa, l’ha
degenerata, l’ha fatta sprofondare in un abisso di desolazione e di
guerre fratricide, esasperando il culto della personalità del papa che
divenne con lui, idolo pagano e necessario alle folle assetate di
religione, ma digiune di fede. La gerarchia e la curia alimentarono
codesto culto che più si esaltava più permetteva alle bande vaticane di
sbranarsi in vista della divisioni delle vesti di Cristo come bottino di
potere, condiviso con corrotti e corruttori, miscredenti e amorali. La
storia del ventennio berlusconista ne è prova sufficientemente laida per
fare rabbrividire i vivi e i morti di oggi, di ieri e di domani.
Avremmo
preferito che papa Francesco avesse avuto il coraggio di sospendere
questa sceneggiata, ma se non l’ha fatto, è segno che si rende conto che
la lotta dentro le mura leonine è solo all’inizio e lui, da vecchio
gesuita, è determinato, ma è anche cauto e prudente. Il 27 aprile, dopo
avere chiesto scusa a papa Giovanni, io celebrerò l’Eucaristia,
chiedendo a Dio che ci liberi dai vitelli d’oro e di metallo, anche se
portano il nome di un papa.
Quel
giorno pregherò per tutte le vittime, colpite da Giovanni Paolo II
direttamente o per mano del suo esecutore, il card. Joseph Ratzinger,
che, da suo successore, perfezionò e completò l’opera come papa
Benedetto XVI.
Don Paolo Farinella
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