lunedì 20 settembre 2004


 


Ho visto il film di Gianni Amelio. Mi è sembrato un bel film fatto con misura e rispetto della realtà, due cose che mancano quasi sempre nei films sull’handicap, quando si sceglie un attore che ovviamente recita l’handicap. ( Gli esempi sono tanti a cominciare da Dustin Hoffmann in “Rain man”) e lo fa invariabilmente in maniera falsa e anche pietistica. Il ragazzo del film di Amelio è, secondo me, l’elemento più riuscito del film proprio perché è inconsapevole del suo problema ( “la sua malattia lo proteggerà dagli altri”, dice a un certo punto il personaggio femminile, mamma di una ragazza spastica). Le due figure adulte sono rappresentate bene, ma sono figure di contorno che non riescono a raggiungere l’incisività del ragazzo. E forse doveva essere così. Al personaggio femminile spetta il compito di esprimere una riflessione amara, ma incontestabile: i padri non sopportano queste sciagure familiari e se ne vanno. Accanto ai ragazzi restano solo le mamme che qualche volta, come succede a lei, si domandano perché il figlio o la figlia non muoiono.
Per finire, direi perciò che “Le chiavi di casa” ha vari meriti, di cui il primo è aver scelto un handicappato vero, che è tutta un’altra cosa da uno, pur bravo, sano.


Da ricordare anche sguardi rapidi ma significativi alla partita di palla a canestro tra ragazzi in carrozzina e alla settimana dei Seniors a Berlino, con le anziane che ballano e cantano con eleganza. Il film si chiude non col finalino consolatorio, ma con una scena drammatica in cui l’adulto, messo a dura prova, cede a un pianto disperato, mentre il ragazzo lo consola con le parole semplici e sagge di chi alla disgrazia ha imparato a far fronte (“ma si fa così?, ma son cose da fare?). Una specie di inversione delle parti a significare quello che poi con tutta probabilità accade davvero. E cioè che in queste situazioni può succedere che sia il sano ad essere aiutato.


Paola (la cineasta di casa)


  


 

6 commenti:

  1. Quello che scrivi, Paola, è sicuramente vero. Lo dico perché sono quasi le stesse parole che una mia cara amica mi ha lasciato in un commento, che a questo punto mi piacerebbe tu leggessi. Poiché non so ancora fare i link ai commenti, ti indico il post di riferimento, scritto il 26 febbraio 2004. Il commento è il sesto dall'alto. Buongiorno!http://eunoe.splinder.com/1077816460#1498807

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  2. P.S. Non ho mai sopportato Dustin Hoffmann in "Rain man"!

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  3. Scusami il terzo commento, ma, vedendo che non mi è riuscito il link, ho preferito copiare e incollare qui il testo di cui ti dicevo. Ciao!



    Oggi ho concluso la lettura di un bel libro "Nati due volte" nel quale Giuseppe Pontiggia affronta, senza triti sentimentalismi, un tema delicato, quello della difficoltà dei disabili che lottano scrive l'autore "non per diventare normali ma se stessi". Fin da quando ero piccola ho notato, vivendo con una persona disabile, le diverse reazioni che le persone hanno di fronte alla diversità, sono molteplici: molti si imbarazzano, altri fingono indifferenza, altri cominciano a parlare come se, di fronte a loro ci fosse non un disabile, ma uno stupido , altri intraprendono una strada che francamente detesto,quella dei consigli non richiesti, li porgono con una superficialità che mi stupisce ancora oggi (che io abbia troppa fiducia nell'Intelligenza umana?). Un atteggiamento, tra questi, è particolarmente insopportabile, quello ostentatamente compassionevole che hanno in genere coloro che si professano "molto sensibili" quelli per intenderci, dalla lacrima facile. Sono i peggiori ! lo so per esperienza. Le loro lacrime non hanno alcun rapporto con il dolore del disabile. Trovano semplicemente consolazione attraverso la difficoltà di un'altra persona. è un meccanismo molto comune. Chi ha la ferma intenzione di essere d'aiuto ( l'ho notato spesso) è sorridente e se ha l'esigenza di piangere, lo fa in privato. A questo proposito, molto efficace, mi è apparso questo brano del libro: "...Abituati a convivere con la minorazione e a sopportarla, i disabili non ne hanno l'immagine insopportabile di chi è sano. é l'aspetto grottesco di un rapporto dove chi commisera è il primo che dovrebbe essere commiserato, guai però a dirglielo. Chi ostenta pietà non sospetta di ispirarla negli altri. è anzi il suo modo di esorcizzarla e di tenerla lontana. Mentre è la via più breve per meritarla." Con questo brano ti saluto dicendoti che ti amo follemente! niente sì ma non troppo! proprio follemente...sai come la penso o tutto (come dico io) o niente! come tu ben sai, non sono donna da mezze misure. buonanotte Eunoè Alessandra.

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  4. Cara Eunoè, grazie ancora per questo ultimo messaggio. E' vero quello che dice Alessandra (almeno credo). Leggerò "Nati due volte" che non conosco. Io ho un'amica che ha una figlia spastica e insieme - parecchi anni fa -abbiamo scritto un libro, ora credo esaurito, dal titolo "Madre e handicap".Se non l'hai già fatto e se ti va dai un'occhiata anche ad altri miei vecchi raccontini sul link presente in Barbabianca. A risentirci, Paola.

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  5. PS. Se posso consigliare alla tua amica un bel libro sull'handicap, "Manicomio primavera" di Claudia Sereni. Paola.

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  6. Lo avevo già fatto! è molto bella quella sezione, mi piace soprattutto il racconto "Gli sguardi". Grazie per il consiglio ad Alessandra, già mostrato "nero su bianco"! Buona serata!

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