venerdì 17 febbraio 2006


Il 17 febbraio dell'anno santo 1600, un uomo magro, piccolo di statura, scuro di carnagione, prelevato dalla sua cella viene condotto a Campo 'de Fiori, con la lingua "in giova" (soggiogata) cioè bloccata da una mordacchia di cuoio, forse imposta al condannato perché non pronunzi parole "blasfeme" durante il tragitto che lo separa dal supplizio. Spogliato nudo viene legato ad un palo, che non è piantato al centro della piazza dove quasi tre secoli più tardi sorgerà il monumento, ma all'incrocio con via dei Balestrari. In ultimo viene dato alle fiamme ancora vivo.


“Oggi dunque è stato condotto al rogo… Lo sfortunato è morto in mezzo alle fiamme, e io penso che sarà andato a raccontare,sugli altri Mondi da lui immaginati,come sogliono i Romani trattare gli empi e i bestemmiatori. Ecco,mio caro,in qual modo si procede da noi contro gli uomini,o piuttosto contro i mostri di questa specie.”( Gaspare Scoppe - testimone oculare.)


All'alba di giovedì 17 febbraio 1600 lascia la prigione di Tor di Nona, viene condotto in processione tra una folla vociante fino a piazza di Campo de' Fiori. Indossa il sanbenito, un saio penitenziale, ha una mordacchia che gli impedisce di parlare (come dice un avviso: "Per le brutissime parole che diceva") ed è accompagnato dalle litanie dei frati. Sale al rogo con grande coraggio e dignità viene denudato, legato ad un palo e arso vivo.

La sentenza, letta nella casa del card. Domenico Madruzzo nove giorni prima, l'8 febbraio, si concludeva con una formula di rito, sempre presente nelle condanne dell'Inquisizione, con la quale, nel consegnare il condannato al braccio secolare si chiedeva clemenza. Ciò avveniva poiché secondo il diritto canonico i membri della Chiesa, non possono direttamente uccidere o far uccidere un essere umano. Ma si trattava, naturalmente, di una formula del tutto ipocrita, perché nella pratica simili sentenze producevano l'immediata condanna a morte; per di più va considerato che nello Stato Pontificio l'autorità civile dipendeva (o forse coincideva) con l'autorità ecclesiastica. Fu al termine della lettura della condanna, secondo quanto riferisce Kaspar Schoppe, un testimone attendibile, che l'imputato affermò: "Forse avete più paura voi nel pronunciare la sentenza, che io nell'accoglierla."


17 Febbraio 1600 Giordano Bruno (N.1548) pensatore rinascimentale originale dopo 8 anni di prigionia è messo al rogo vivo, in campo dei Fiori a Roma dall’inquisizione (Santo Officio Romano). Fra i capi d’imputazione: l’aver sostenuto le teorie Copernicane e l’aver sostenuto l’esistenza di più mondi innumerevoli ed eterni ovvero di un universo infinito, nel suo libro “Sull’infinito Universo e i mondi”. In base alla sentenza, i suoi libri sono bruciati in Piazza San Pietro e messi all’indice dal papa Clemente VIII., che negli stessi giorni in cui decideva personalmente la sorte di Bruno celebrava il “Giubileo eccezionale” dell’anno 1600.


«Giordano del quondam Giouanni Bruni frate apostata da Nola di Regno eretico impenitente; il quale esortato da nostri fratelli con ogni carità a tutti chiamare due padri di san Domenico, due del Giesu, due della Chiesa Nuoua e uno di san Girolamo, i quali con ogni affetto et con molta dottrina mostrandoli l'errora suo, finalmente stette sempre nella sua maledetta ostinatione, aggirandosi il ceruello e l'intelletto con mille errori e vanità, et ansi peseuerò nella sua ostinatione che da ministri di giustitia fu condotto in Campo di Fiore e quivi spogliato nudo e legato a un palo fu brusciato vivo, acconpagniato sempre dalla nostra Compagnia cantando le letanie e li confortatori sino al ultimo punto confortandolo allassar la sua ostinatione, con la quale finalmente finì la sua misera et infelice vita» (verbale originale)


L'uomo e l'infinito


Significativo è l’atteggiamento psicologico di Bruno di fronte alla nuova concezione di un mondo infinito: la perdita da parte della Terra della sua posizione centrale nell’universo non è da lui avvertita come una degradazione per l’umanità, cioè come una diminuzione della sua importanza. Al contrario, la nuova cosmologia gli sembra esaltare la dignità dell’uomo, perché pone la Terra in Cielo, elevandola al rango delle stelle nobili (invece, nel sistema aristotelico, la Terra era il regno dell’imperfezione, della nascita e della morte, mentre il Cielo era il regno dell’eternità e della perfezione assoluta). Inoltre, il crollo dei limiti del mondo è annunciato da Bruno con l’entusiasmo del prigioniero che vede cadere le mura del carcere in cui è stato a lungo rinchiuso.
Fra l’altro, sulla scorta delle scoperte effettuate dall’astronomo danese Tycho Brahe (1546-1601), Bruno nega l’esistenza delle sfere cristalline, solide e trasparenti, che secondo l’astronomia tradizionale circonderebbero la Terra, e in cui sarebbero incastonati gli astri nel loro moto circolare. Nella Cena delle ceneri, il filosofo, non certo avaro di elogi verso sé stesso, si presenta come colui che, infrante le illusorie sfere celesti, cioè le mura esterne dell’universo in cui si pensava che l’uomo fosse rinchiuso, si porta al di là di esse per mostrare «quello che lassù veramente si ritrovasse» (ossia per mostrare quello che veramente c’è nel Cielo).
Circa l’atteggiamento psicologico dei filosofi successivi a Bruno nei confronti dell’infinità dell’universo, bisogna fare, comunque, la seguente considerazione. Se è vero che la distruzione del cosmo aristotelico-tolemaico suscita l’esaltazione di Bruno per l’abbattimento delle mura esterne dell’universo e per la fine del dualismo fra Cielo e Terra, è altrettanto certo che l’idea di un mondo infinito, col passare del tempo, sarà destinata a provocare anche una «ferita» al «narcisismo» umano (per usare la terminologia proposta da Sigmund Freud nella sua opera intitolata Introduzione alla psicoanalisi), cioè un’umiliazione che deprime l’orgoglio della nostra specie. Il narcisismo è per Freud l’amore dell’individuo per la propria immagine, cioè per sé stesso.
Il narcisismo dell’umanità ha portato l’uomo a supporre che il mondo fosse creato per lui. Infatti, l’astronomia pre-copernicana testimoniava all’uomo la sua importanza nel cosmo e il valore dei suoi atti: la Terra, posta al centro dell’universo, nel medioevo era considerata il teatro del dramma umano, in funzione del quale Dio aveva creato i cieli.
L’infinitizzazione del mondo fa invece apparire il nostro pianeta un insignificante corpo celeste e mette in crisi l’immagine di un universo ntropocentrico, cioè costruito per l’uomo.
Freud, nell’Introduzione alla psicoanalisi, afferma che l’uomo ha dovuto sopportare tre grandi mortificazioni che la scienza ha recato al suo ingenuo amore di sé.
La prima l’ha subita, appunto, quando ha appreso che la nostra Terra non è al centro dell’universo, bensì è una minuscola particella in un universo infinito.
La seconda mortificazione si è verificata, poi, quando Charles Darwin, nell’Ottocento, ha messo in crisi la pretesa posizione di privilegio dell’uomo nella creazione, avanzando l’ipotesi della sua provenienza dal regno animale.
Infine, la terza mortificazione è stata inflitta alla megalomania dell’uomo da parte della stessa psicoanalisi freudiana: infatti la psicoanalisi pretende di dimostrare che l’Io «non è padrone a casa propria», che, cioè, l’Io è costretto a subire le pulsioni dell’inconscio, senza rendersene conto, e senza poterle controllare coscientemente. L’Io crede di essere libero nelle sue scelte, mentre, secondo Freud, non lo è.
Ritornando al tema dell’infinità del cosmo e all’angoscia che tale infinità può suscitare nell’animo umano, ricordiamo che circa sessant’anni dopo la morte di Giordano Bruno, il filosofo francese Blaise Pascal (1623-1662) rappresenterà nei suoi Pensieri lo sgomento dell’uomo di fronte all’impossibilità di comprendere il significato dell’universo infinito emerso dalla rivoluzione scientifica:
Vedo quei paurosi spazi che mi serrano e mi trovo gettato in un canto di quella vasta distesa, senza sapere perché sia collocato lì piuttosto che altrove, né perché il poco tempo che mi è dato da vivere mi sia assegnato in questo più che in qualsiasi altro punto di tutta l’eternità che m’ha preceduto e di quella che mi segue. Vedo solo delle infinità da ogni parte, che mi serrano come un atomo e come un’ombra che non dura più che un istante, senza ritorno. Tutto quel che so è che dovrò presto morire; ma ciò che ignoro più di tutto è proprio questa morte, che non posso evitare.


Fonti:


http://www.riflessioni.it/enciclopedia/giordano_bruno.htm


http://it.geocities.com/trepadri/BRUNO.htm


http://www.storiain.net/arret/num59/artic7.htm


http://www.nogod.it/calendariolaico.htm


http://it.wikipedia.org/wiki/Giordano_Bruno#Vita

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