Mussulmano non praticante
Chams (ciams) è il nome dell’autista del fuoristrada n.2, il nostro. Cham vuol dire sole. La Toyota n.1 è guidata da Bachir (Bacìr).
Siamo 11 italiani, 7 da Firenze, 2 da Monza, 2 da Bologna.
La scorrazzata attraverso il deserto durerà 5 giorni. C’è una formula abbreviata di 3 giorni. Sul fuoristrada di Chams prendiamo posto noi fiorentini. A me, papà gambalunga (1,86) tocca il posto davanti vicino alla guida. E’ così che ho modo di scambiare qualche parola con Chams: di Gabes, moglie e 2 figli, 3 mesi a Milano e parla italiano. Quelli di lingua araba pare abbiano una facilità estrema a parlare le lingue; me lo diceva Luca, mio nipote, che gestisce un’azienda export-import a Tunisi. Gli slavi hanno anche una ottima pronuncia. Ma questo non c’entra. Non mi ricordo l’inizio del discorso, ma alle prime battute d’approccio, Chams mi dichiara di essere mussulmano e subito aggiunge “non praticante”, al che replico “cattolico non osservante”. Ed è subito fiducia reciproca. Segni dei tempi.
Siamo arrivati a Djerba dall’aria; ne usciamo attraverso il “ponte romano” costituito da una lungo istmo costruito dai soliti romani col sudore degli schiavi chissà quanti secoli fa. Dopo che c’erano stati i Lotofagi, dopo che c’era passato Ulisse, dopo che c’era stato in Barca Amilcare, il padre dei due bambini prodigio Asdrubale e Annibale. Cosa ci trovassero di interessante i Romani in un’isola senz’acqua non lo so; comunque la mano d’opera per interrare il tratto di mare basso a loro costava poco. L’acqua oggi arriva attraverso un grosso tubo che fiancheggia l’istmo e che ci accompagna per più di 70 km. Chissà, forse intorno ai 4 o 5 pozzi di acquadolce a tutt’oggi esistenti, c’erano pochi poveri schiavi che fabbricavano ceramiche con quella terra speciale che anche oggi fa rinomate le terrecotte di Guellala. L’altra interessante produzione è quella dei tappeti, ma dove trovavano le pecore per avere la lana per fare i tappeti? Bisogna pensare che allora ci fosse un clima diverso, come alla Villa dei Misteri a Piazza Armerina, dove si trovano dipinte in quei magnifici mosaici foreste e animali “feroci” ambientati in luoghi oggi privi di vegetazione. Mi viene in mente un documentario visto anni addietro o forse una lettura del tempo lontano di un’esame di geografia in cui si vede il deserto del sahara (pronuncia Sàjara, come la c fiorentina o la jota spagnola) in fotografia aerea tutto attraversato da trame di fiumi e affluenti). Se è vero che la Libia era il granaio d’Europa…
Così divagando siamo arrivati in un paese dell’interno, case piatte e bianche, strade polverose per fermarci ad ammirare delle speciali costruzioni fatte di fango seccato, tonde con bocche spalancate e volte a botte o cupola: antichi granai “berberi”. Ma il grano dove lo mietevano? Ritorno col pensiero al cambiamento di clima, alla deriva dei continenti. Già perché pare che le zone del Sàjara una volta si trovassero più a sud, vicino all’equatore, dove oggi piove tutti i giorni tutto il giorno: la deriva li ha spinti nella zona asciutta…interessante no?
Questi granai si chiamano Ghorfas, la città Medenine.La corsa prosegue su terreni desertici (cammelli, somari e palme) fino a che Hasan, la guida, 40 anni, studi universitari, aspirante archeologo, buon italiano, lessicalmente evoluto, ci fa fermare in un paese abbandonato: pietre e fango seccato, travi in legno poroso di palma, tutto mangiato dalla polvere e bruciato dal sole…Segni di un recente insediamento. Uno dei soliti ragazzini che ci sta intorno per spillare un dinàr mi fa vedere la casa dove lui aveva abitato fino a pochi anni addietro.
Sarà vero? Vita davvero grama…prima dell’arrivo del turismo. Queste rovine si chiamano “Ksour”, il paese moderno lì sotto (polvere, palme, antenne paraboliche due volte più grandi delle nostre) non so come chiamarlo, ma sta sulla strada fra Medenine dei granai berberi e Chinini, villaggio “berbero” dove arriviamo nel giro di mezz’ora. Si tratta di un’oasi di montagna; il paese vecchio è crollato nel 1969 dopo una pioggia torrenziale durata due settimane: il corrispondente della pioggia che cade mediamente nell’arco di 3 anni: prima son partiti i tetti fatti con legno e rami di palma, infradiciati e appesantiti, poi tutto è smottato a valle, là dove sorge il nuovo paese che vive della sorgente perenne che scaturisce dalle profondità della montagna sovrastante, e di questa storia che viene raccontata ai turisti per tutti i giorni che dio mette in terra.
La sorgente è potente e l’acqua cade in forma di cascatella. La montagna è brulla, il fondo valle è coperto di palme e orti.
La corsa pazza di questo primo giorno prosegue su strada sterrata, a 80-100 all’ora, con Bachir autista pazzo che costringe all’inseguimento il nostro Chams, buon padre di famiglia costretto all’inseguimento.
La parigidakar finisce sotto un tendone “berbero” con 8 letti, pavimento originale in rena del deserto, all’interno di una maxi oasi coperta da km di palme da dattero. I datteri tunisini sono i migliori, superiori a quelli algerini…La raccolta in dicembre. Buona notte, non se ne può più.
Foto da internet
http://perso.club-internet.fr/michclem/tunisie1996/t02_medenine.html
i luoghi del nostro viaggio
http://www.lexicorient.com/tunisia/medenine.htm
medenine bella foto dei granai e cartina con indice
http://www.itunisie.com/tourisme/infos.cgi?page=carte&lg=fr
mappa totale
Continua.