martedì, febbraio 15, 2005
Galileo Galilei nacque a Pisa il 15 febbraio 1564 da Giulia Ammannati e Vincenzio Galilei, entrambi appartenenti alla media borghesia.
Vincenzio, nato a Firenze nel 1520, ex liutista ed ex insegnante di musica, in passato era entrato in conflitto con la tradizione classica che attribuiva la consonanza tra tutti i suoni al controllo delle proporzioni numeriche ed aveva proposto idee proprie al riguardo.
Era quindi ferrato in matematica, ma, intuendo le difficoltà pratiche che la professione di matematico presentava, spinse il figlio a studiare medicina proprio come un loro avo, quel Galileo Bonaiuti che nel XV secolo si era distinto nell'esercizio dell'arte medica ed in onore del quale un ramo della famiglia aveva preso il nome di Galilei. Galileo compì i primi studi di retorica, grammatica e logica nel monastero camaldolese di Vallombrosa ed entrò a far parte dell'ordine come novizio.
La decisione non poté che contrariare Vincenzio, il quale, nutrendo appunto ben altri progetti per il figlio, lo fece tornare a Pisa e lo fece iscrivere a Medicina. I corsi della facoltà vertevano su Galeno e sui libri di scienza naturale di Aristotele, che costituirono i principali oggetti di critica da parte del giovane Galileo, sempre più attratto dalla matematica e dalla filosofia e sempre meno produttivo in veste di studente di medicina. Nel 1583 vi fu il suo incontro con Ostilio Ricci, un matematico probabile allievo di Tartaglia. Ricci era aggregato alla corte di Toscana e teneva le sue lezioni in volgare, come in volgare era scritto il testo di Euclide su cui basava i suoi corsi.
Citazione
“Io non ho mai pensato di negare le verità contenute nelle Sacre Scritture o di peccare di eresia,
il mio scopo è sempre stato quello di alleviare la fatica dell’esistenza umana, chiarendo,
sebbene solo parzialmente, i dubbi che da secoli l’affliggono. Se prima questi erano colmati
dalla fede, ora solo la scienza li può risolvere.”
...Pertanto, visti e maturamente considerati i meriti di questa tua causa...
Vergine Maria; ...
processo e da te confessate come sopra, ti sei reso a questo S.o Off.o veementemente sospetto
d’eresia, cioè d’aver tenuto e creduto dottrina falsa e contraria alle Sacre e divine Scritture,
ch’il sole sia centro della terra e che non si muova da oriente ad occidente, e che la terra si
muova e non sia centro del mondo, e che si possa tener e difendere per probabile un’opinione dopo
esser stata dichiarata e diffinita per contraria alla Sacra Scrittura; e conseguentemente sei
incorso in tutte le censure e pene dai sacri canoni e altre constituzioni generali e particolari
contro simili delinquenti imposte e promulgate. Dalle quali siamo contenti sii assoluto, pur che
prima, con cuor sincero e fede non finta, avanti di noi abiuri, maledichi e detesti li sudetti
errori e eresie, e qualunque altro errore e eresia contraria alla Cattolica e Apostolica Chiesa,
nel modo e forma da noi ti sarà data.
E acciocché questo tuo grave e pernicioso errore e transgressione non resti del tutto impunito, e
sii più cauto nell’avvenire e essempio all’altri che si astenghino da simili delitti. Ordiniamo
che per publico editto sia proibito il libro de’ Dialoghi di Galileo Galilei.
Ti condaniamo al carcere formale in questo S.o Off.o ad arbitrio nostro; e per penitenze salutari
t’imponiamo che per tre anni a venire dichi una volta la settimana li sette Salmi penitenziali:
riservando a noi facoltà di moderare, mutare o levar in tutto o parte, le sodette pene e
penitenze.
E così diciamo, pronunziamo, sentenziamo, dichiariamo, ordiniamo e reservamo in questo e in ogni
altro meglior modo e forma che di ragione potemo e dovemo.
Ita pronun.mus nos Cardinales infrascripti:
F. Cardinalis de Asculo.
Fr. Ant.s Cardinalis S. Honuphrii
B. Cardinalis Gipsius.
F. Cardinalis Verospius.
M. Cardinalis Ginettus.
L'ABIURA (parte iniziale)
Io Galileo, fig.lo del q. Vinc.o Galileo di Fiorenza, dell’età mia d’anni 70, constituto
personalmente in giudizio, e inginocchiato avanti di voi Emin.mi e Rev.mi Cardinali, in tutta la
Republica Cristiana contro l’eretica pravità generali Inquisitori; avendo davanti gl’occhi miei
li sacrosanti Vangeli, quali tocco con le proprie mani, giuro che sempre ho creduto, credo
adesso, e con l’aiuto di Dio crederò per l’avvenire, tutto quello che tiene, predica e insegna la
S.a Cattolica e Apostolica Chiesa. Ma perché da questo S. Off.io, per aver io, dopo d’essermi
stato con precetto dall’istesso giuridicamente intimato che omninamente dovessi lasciar la falsa
opinione che il sole sia centro del mondo e che non si muova e che la terra non sia il centro del
mondo e che si muova, e che non potessi tenere, difendere né insegnare in qualsivoglia modo, né
in voce né in scritto, la detta falsa dottrina, e dopo d’essermi notificato che detta dottrina è
contraria alla Sacra Scrittura, scritto e dato alle stampe un libro nel quale tratto l’istessa
dottrina già dannata e apporto ragioni con molta efficacia a favor di essa, senza apportar alcuna
soluzione, sono stato giudicato veementemente sospetto d’eresia, cioè d’aver tenuto e creduto che
il sole sia centro del mondo e imobile e che la terra non sia centro e che si muova;
Pertanto volendo io levar dalla mente delle Eminenze V.re e d’ogni fedel Cristiano questa
veemente sospizione, giustamente di me conceputa, con cuor sincero e fede non finta abiuro,
maledico e detesto li sudetti errori e eresie.
Una lettera A ELIA DIODATI IN PARIGI
(Arcetri, 25 luglio 1634)
...
Nella mia sentenza in Roma restai condennato dal S.to Offizio alle carceri ad arbitrio di S.
S.tà; alla quale piacque di assegnarmi per carcere il palazzo e giardino del Granduca alla
Trinità de’ Monti; e perchè questo seguì l’anno passato del mese di Giugno e mi fu data
intenzione che, passato quello e il seguente mese domandando io grazia della total liberazione,
l’avrei impetrata, per non aver (costretto dalla stagione) a dimorarvi tutta la state e anco
parte dell’autunno, ottenni una permuta in Siena, dove mi fu assegnata la casa dell’Arcivescovo:
e quivi dimorai cinque mesi, dopo i quali mi fu permutata la carcere nel ristretto di questa
piccola villetta, lontana un miglio da Firenze, con strettissima proibizione di non calare alla
città, né ammetter conversazioni e concorsi di molti amici insieme, né convitargli. Qui mi andavo
trattenendo assai quietamente con le visite frequenti di un monasterio prossimo, dove avevo due
figliuole monache, da me molto amate e in particolare la maggiore, donna di esquisito ingegno,
singolar bontà e a me affezzionatissima. Questa, per radunanza di umori melanconici fatta nella
mia assenza, da lei creduta travagliosa, finalmente incorsa in una precipitosa disenteria, in sei
giorni si morì essendo di età di trentatré anni, lasciando me in una estrema afflizzione. La
quale fu raddoppiata da un altro sinistro incontro; che fu che, ritornandomene io dal convento a
casa mia in compagnia del medico, che veniva dalla visita di detta mia figliuola inferma poco
prima che spirasse, mi veniva dicendo il caso esser del tutto disperato, e che non avrebbe
passato il seguente giorno, sì come seguii quando, arrivato a casa, trovai il Vicario
dell’Inquisitore che era venuto a intimarmi d’ordine del S.to Offizio di Roma venuto
all’Inquisitore con lettere del S.r Card.le Barberino, ch’io dovessi desistere dal far dimandar
più grazia della licenza di poter tornarmene a Firenze, altrimenti che mi arebbono fatto tornar
là, alle carceri vere del S.to Offizio.
la lettera qui
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