Il Vaticano brucerà
Repetita iuvant
Don Franzoni:
"Immorale l’invito ad astenersi"
intervista a cura di Lorenzo Salvia
«L’appello del cardinal Ruini al non voto è una violenza, un atto immorale
da un punto di vista non solo laico ma anche cristiano».
Sono passati 31 anni ma don Giovanni Franzoni non ha cambiato idea: nel 1974 disse che, per il referendum sul divorzio, i cattolici non dovevano seguire le indicazioni della Chiesa ma votare secondo coscienza. Gli costarono la sospensione a divinis , quelle parole. Una decisione su cui il Vaticano ha poi fatto marcia indietro, sperando che don Franzoni tornasse nell’ombra. Ma «prete ribelle Gianni», come lo chiamano i suoi nella Comunità di San Paolo a Roma, non ha seguito quel consiglio: prima si è sposato in Comune con una donna giapponese, matrimonio mai riconosciuto dalla Chiesa. Ed ora annuncia i suoi quattro sì ai referendum sulla fecondazione assistita.
Domanda. Perché definisce immorale l’appello del cardinal Ruini?
Risposta. «Perché il non voto, facendo mancare il quorum e annullando il referendum, passa con gli scarponi chiodati sulla volontà dei cittadini che dicono sì o no. Annulla le loro opinioni».
D. Ma lei parla di atto immorale per un cristiano. Non è coerente con i principi cristiani difendere questa legge?
R. «No. Per la dottrina della Chiesa la fecondazione artificiale semplicemente non esiste: quindi, per essere coerenti con questa morale integralista e bigotta, i cattolici non dovrebbero difendere la legge ma chiedere di cancellarla».
D. Ma i cattolici schierati per l’astensione dicono che la legge è un buon compromesso fra la dottrina della Chiesa e l’evoluzione della società.
R.«Ed è proprio qui il problema: la Chiesa non può predicare il male minore, non può esortare a difendere quello che considera sbagliato. La verità è che si tratta di un’operazione politica».
D. E la Chiesa non ha diritto a partecipare alla vita politica?
R. «Quando Gesù Cristo formò i suoi discepoli l’obiettivo non era cambiare le leggi di Roma ma annunciare la salvezza e predicare il Vangelo. L’essenziale era questo, poi è stata la Chiesa a fare politica, ad aprire la strada pericolosa del temporalismo. E in Italia, dopo aver perso il braccio secolare della Dc, la Chiesa vuole recuperare questa posizione di forza. E’ un errore: se ai tempi del referendum sul divorzio la Chiesa avesse detto tenete questa legge tanto noi cattolici non divorziamo, avrebbe evitato tanti problemi. E invece la Chiesa non si fida del senso di responsabilità dei fedeli come lo Stato non si fida di quello dei cittadini».
D. Sta pensando all’annuncio di Rutelli?
R. «Un ex radicale, ex verde, ha molti titoli da ex nel suo curriculum. Forse troppi. E poi quella parola, macello, davvero se la poteva risparmiare. Ma nemmeno del sì di Fini mi fiderei: temo sia solo un’astuzia, un’operazione politica per smarcarsi dal bigottismo della sua coalizione e guardare al suo futuro personale. Sarebbe stato meglio se nessun politico avesse fatto appelli né da una parte nè dall’altra: la cosa migliore era lasciare campo
libero al confronto senza ordini di scuderia».
D. Fini voterà no sull’eterologa, lei non ha nessun dubbio nemmeno su questo?
R. «Ricordiamo le parole di Lorenz: nel corso dell’evoluzione, i miglioramenti più importanti sono arrivati quando un animale di una specie siaccoppiava con un animale di un’altra specie. E noi, con tutto quello che oggi succede in Italia e nel mondo, vogliamo vietare l’eterologa. E’ anacronistico».
D. Anche il Papa ha chiesto ai vescovi di «illuminare le scelte dei cattolici» sul referendum.
R. «Una scelta tattica, me l’aspettavo. Avrebbe potuto tacere, dire "io sono cittadino di un altro Paese e preferisco non entrare in questo problema".
D. Ma anche Paolo VI, ai tempi del divorzio, seguì la stessa strada». Teme di essere sospeso di nuovo?
R. «No, non sono il solo a pensarla così. Fra i credenti c’è un fiume carsico di dissenso: vedrete, molti uomini di Chiesa andranno a votare».
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