martedì 28 giugno 2005

Alma terra natia.


Da una rimpatriata nella terra natia, il Casentino. Quattro insegnanti, 35 studenti si sono ritrovati sui gradini della scuola e attorno ad una bella tavola imbandita, per celebrare un rito di propiziazione al dio Tempo. Il piacere del ricordo, il sapore dei tortelli casentinesi, una preghiera esaudita.

Il ricordo è stato piacevole perché univa insieme la nostra giovinezza e i favolosi anni sessanta, quando anche l'Italia era giovane e meno logorata di oggi.

I tortelli casentinesi non ve li posso mandare per post; chi passa da queste parti cerchi una trattoria e possibilmente li prenoti il giorno prima per quello dopo. Devono essere "fatti in casa" per disfarsi in bocca.

La preghiera esaudita riguarda la bozza di composizione che trovate linkata su Barbabianca, colonna sinistra, Dante in Casentino, Ivi è Romena. A giorni la troverete stampata  in mille copie per conto della Grafica Casentinese, Via Umbro-Casentinese 135/b, Bibbiena (Arezzo), tel.0575594074.

Non avendo problemi di copyright do un premio ai passanti anticipando la dedica e la presentazione.



Questo fascicolo è dedicato ai 35 studenti

ritrovati un sabato luminoso del giugno 2005

sugli scalini dell’Istituto Tecnico Commerciale di Poppi,

lì convenuti dopo 40 anni

per fare tutti insieme un tuffo all’indietro

nella piscina del tempo dei favolosi anni sessanta.

Un tuffo di 40 anni è sempre spettacolare.

E un po’ pericoloso:

La favola della vita a confronto con il tempo.


 A tavola così ci siam parlati: 


Passato è il tempo e non fa più ritorno;

ma tutti insieme oggi qui lo teniamo

stretto tra noi in questo bel soggiorno.

- Fermati pe’ un momento - gli diciamo,

-in fondo in fondo siamo opera tua;

facci un favore, dicci quel che siamo
.-

Il Tempo guarda noi, opera sua:

- da fiori ch’eravate or frutti belli;

la vita caro amico è mia e tua:

se insieme la facciamo da fratelli

accettandola così come l’è andata,

sarà come mangiar questi tortelli
. -

La vita in fondo in fondo è una mangiata,

star qui tra amici, amar la compagnia,

far posto a tutti a questa tavolata

con l’universo stare in sintonia

per poi tornare a farci una dormita

quando siam giunti al fondo de la via

in grembo a lui ch’è fonte de la vita,

mentre le stelle scintillano dicendo:

- sempre si  cambia e mai non è finita.-

Il tuffo all’indietro

è riuscito proprio bene

e,così, sull’istante,

i 35 si sono frugati

 in tasca

e m’hanno accontentato:

caro Urbano,

la bozza che ci hai data

riportala stampata
.

Neppure il tempo

Di rileggere il commento.

Così è andata.

E questa è la brigata:

seguono i nomi



 Presentazione


 Questo fascicolo vuole mettere in evidenza lo stretto legame tra Dante e il Casentino.


 Dante fu presente in Casentino tra il 1304 e il 1311, in modo sostanziale anche se non continuativo. Delle 13 lettere che ci rimangono, la maggior parte  sono state scritte in Casentino. La loro conservazione è merito di un archivista casentinese, rimasto ignoto; 5 di esse portano data e luogo ( dalle sorgenti dell’Arno, dal castello di Poppi). Il periodo di Casentino è cruciale nella vita del poeta, nel pieno vigore dell’età e nel momento più duro e più incerto  della sua vicenda politica; in Casentino vive l’illusione di rientrare a Firenze in tempi brevi: prima spera di far  pace coi Neri, poi è quasi sicuro del buon esito dell’”operazione Italia” messa di lì a poco in atto dal nuovo, giovane tanto atteso Enrico VII. Se ne andrà dal Casentino  quando ogni speranza di rientro sarà perduta.

Era partito da Firenze per Roma, insieme ad altri due ambasciatori fiorentini, nel 1301, per una delle più importanti ambascerie che mai abbia organizzato il governo fiorentino, nato dagli “Ordinamenti di Giustizia” di Giano Della Bella, dopo lotte accanite e successivi accordi e compromessi tra Magnati ghibellini e popolani guelfi: l’ambasceria era presso il Papa Bonifacio VIII e si concluse in modo drammatico per Dante.

Nel 1289, durante la spedizione di Campaldino aveva incontrato con tutta probabilità il fratello di Francesca da Rimini, morta tragicamente 4 anni prima; a Campaldino si trovava schierato tra gli alleati guelfi Guido del Duca autore dell’invettiva contro “la maladetta e sventurata fossa” costituita dal corso dell’Arno - Casentino, Arezzo, Valdarno, Firenze, Pisa, dal Falterona giù giù fino alla foce - (Purg. XIV); a Campaldino Dante ebbe di fronte Buonconte da Montefeltro, giovane come lui e più di lui sventurato (Purgatorio,V). Più tardi troverà a Poppi Gherardesca, moglie di Guido Novello, figlia del Conte Ugolino (Inferno XXIV); per lei scriverà 3 lettere, a noi arrivate, indirizzate a Margherita, moglie dell’Imperatore Enrico VII. A Pratovecchio conosce Manentessa, figlia di Buonconte e moglie di Guido da Battifolle; In Casentino scrive 4 lettere fondamentali che ci fanno capire la portata del suo impegno politico e civile, oltre che la eccezionale bravura nell’uso dei diversi stili linguistici: All’Imperatore Enrico VII, al card. Niccolò da Prato, ai re e senatori d’Italia, agli scelleratissimi fiorentini; e 2 lettere che ne danno la dimensione umana: lettera ai duchi di Romena ( sono ridotto in miseria e non ho trovato un cavallo per arrivare in tempo al funerale), lettera a Moroello Malaspina (mi sono innamorato di una donna in modo tale che se mi richiamassero ora a Firenze, avrei difficoltà a rientrare).

In Casentino Dante compone o elabora parti dell’Inferno e, sicuramente il Purgatorio (primi 24 canti). La morte di Enrico VII (1312) e il successivo avvicinamento dei Guidi ai vincitori Neri di Firenze, allontaneranno definitivamente Dante dal Casentino e dalla Toscana: morirà ravennate. L’uscita dal Casentino si può pensare poeticamente rappresentata da Matelda, quando sulla cima del Purgatorio lo tuffa nelle acque del fiume che fa dimenticare le vane attese e le speranze perdute. Casentino addio, Arno da dimenticare. Da qui in avanti il suo fiume sarà l’Adige.

Questi brevi accenni fanno capire quanto intrigante sia stato il Casentino per Dante, come storia ma anche come geografia: le descrizioni paesaggistiche del Purgatorio riportano immagini di vita campestre, di bella natura, di monti scoscesi, di sentieri impegnativi e spesso difficili. Dante chiama l’Appennino  “Alpe” e ci tiene a dire che in pochi luoghi lungo tutto il suo percorso dalla Liguria ai monti Peloritani di Sicilia la montagna arriva a tanta altezza. E come sia facile perdersi nella  nebbia e quanto sia bello ritrovare il sole in certi momenti. Chiunque sia stato a cercare i funghi nella valle dell’Oia, sopra Stia sotto il Falterona, per capirsi, o nei castagneti sopra Raggiolo sa che non è difficile perdersi, soprattutto in caso di nebbia.

 

Ricordati, lettor, se mai ne l’alpe

Ti colse nebbia per la qual vedessi

Non altrimenti che per pelle talpe,

 

come quando i vapori umidi e spessi

a diradar cominciansi, la spera

del sol debilemente entra per essi;

 

e fia la tua immagine leggera

in giungere a veder com’io rividi

lo sol in pria, che già nel corcar era.

 

Sì pareggiando i miei coi passi fidi

Del mio maestro, uscì fuor di tal nube

Ai raggi morti già nei bassi lidi.

(Purg. XVII, 1-12).

Oltre al Casentino non va dimenticato Arezzo che fu l’immediato rifugio di Dante nei primi tormentati momenti della condanna e dell’esilio (1302-1304); ad Arezzo rivide Ser Petracco, come lui esule fiorentino, divenuto proprio in quel torno di tempo padre del futuro bambino prodigio: Francesco Petrarca. Di Arezzo Dante ricorda “La Giostra del Saracino” e lo fa con quel po’ di cattiveria scanzonata che dovette vivere di persona dopo Campaldino, quando i fiorentini – e lui con essi – nelle loro scorrerie post-battaglia, passarono alcuni giorni sotto quelle mura, tra contumelie e sbeffeggiamenti reciproci.

 Le trombe della “giostra del saracino” sono messe a ornamento e utilizzate come megafono della più celebre pernacchia mai venuta dall’aldilà. Tutti gli studenti conoscono l’ultimo verso del canto XXI dell’Inferno, quando Barbariccia dà il via alla mossa di partenza della giostra indiavolata, paragonata solennemente alla Giostra aretina nell’inizio squillante del canto che segue.

Questo breve scritto è fatto per divenire  rappresentazione scenica. Va considerato come una bozza per sceneggiatura teatrale. La stampa è il primo passo di questa operazione; io chiedo ai teatranti di mettere in scena questa narrazione, con gli opportuni adattamenti. Perché solo la drammatizzazione teatrale può trasmettere l’impatto emotivo delle vicende e del  personaggio qui rievocati.

Potrebbero bastare 3 attori, un po’ di musica e poche immagini proiettate nello sfondo.

Mi piacerebbe vederlo rappresentato in almeno uno di questi posti: Comunale di Stia, teatro Antei di Pratovecchio,  Castello di Poppi,  cinema Dante di Ponte a Poppi,  teatro Dovizi di Bibbiena.

 

Alle sorelle Ella e Dora Noyes devo la spinta “in più”per il  mio rinnovato interesse per Dante e il Casentino (1) Fu quando pochi anni fa Stefano Dei, qui alle Lame di Ortignano dove ho rivisto ultimamente questi appunti, mi mise sotto gli occhi un vecchio libro comprato in una bancherella di non so quale sperduto paese d’Italia. Sulla copertina rigida di cartone verde il titolo: The Casentino and its story. Ai quattro lati altrettanti piccoli ovali con la faccia di Dante e Virgilio, gli stemmi di Camaldoli e dei Guidi.

In pagina interna, a mo’ di dedica:

“…where the Etrurian shades

high overarched imbower.”

...dove le ombre degli Etruschi si protendono come un pergolato dal grande arco ricurvo.

( Milton, Paradiso perduto)

E di seguito: “ Mi meraviglio che tu non abbia mai messo piede qui in Casentino e lungo i suoi confini: qui c’è la Verna, il Santo Eremo di Camaldoli, il sacro cenobio di Vallombrosa. Qui c’è la sorgente dell’Arno…(lettera del Conte Roberto di Battifolle a Francesco Petrarca).

L’inizio della prefazione: A region so beautiful and so interesting as the Casentino needs no recommendation…E poi gli acquerelli a colori  tra cui Poppi visto dal Ponte così come lo vedevo io da bambino: con il tabernacolo della madonnina, la casa del nano, la costa, la Badia e il castello.

Stampato a Londra e New York nel 1905!

Per me è stata una mezza folgorazione.

 

Amanti dell’Italia, erano state incaricate da un  nordico editore (J.M. Dent per la cronaca) anche lui innamorato del nostro paese, di fare una “guida turistica” prima di Ferrara e poi, guarda caso, del Casentino. Ella girava con penna e quaderno, Dora la affiancava con matita e pennello.

Dovevano avere un fisico di ferro, perché si sono fatte a piedi la “Valle chiusa” in lungo e in largo, in alto e in basso, più dei nostri carbonai, boscaioli e cacciatori loro contemporanei. Conoscono la strada interna tra Raggiolo e Carda, se la son fatta anche per la via più lunga da Rassina a Carda (quella che oggi si fa in macchina), ti parlano di Prato di Strada, Rifiglio e Pagliericcio, Cetica e Caiano, con indicazioni di sentieri, ruscelli e fonti che neppure l'Istituto Geografico Militare, descrivono una loro discesa in picchiata da Monte Falco (Falterona) a Stia, in fuga da un temporale imminente che neppure i caprioli delle Foreste Casentinesi. Erano fra i 30 e i 40, come Dante 6 secoli prima, negli stessi luoghi, che esse ripercorrono insieme a lui, come se lo vedessero.

Ebbero lunga vita, meritata.

Ella: 1863-1949 = 86 anni di vita: la scrittrice.

Dora. 1864-1960 = 96 anni di vita: la pittrice: 25 acquerelli a colori e 24 disegni a china nel testo.

C’era anche, in Inghilterra, una terza sorella, la primogenita Minna:1851-1949 = 98 anni.

 

Oggi riposano assieme nel graveyard della Chiesa di S.Giovanni Evangelista a Sutton Verry.

Ella e Dora Noyes sono nate nel Middlesex, a nord-ovest di Londra; hanno trascorso la loro lunga vita più a sud, nello Wiltshire, vicino a Salisbury, non lontano dal famoso sito archeologico di Stonehenge: antico sito di luce e mistero.

Ma per Ella e Dora, il sito antico di luce e di mistero è diventato Il Casentino. Leggerle per credere.

 

Nota anagrafica.

La famiglia di Dante:

padre: Alighiero II degli Alagheri (muore nel 1281-82)

madre: Bella + tra 1270-75

sorella: Tana (Gaetana) sposata a Leone Poggi.

matrigna: Lapa di Chiarissimo Cialuffi, sposata da Alighiero tra il 1275 e il 1278.

Da Lapa nasce Francesco.

Anagrafe patrimoniale

Mestiere del padre: amministratore di fondi e terreni di famiglia, ubicati in Firenze e dintorni (di due piccole aree nel popolo di Sant'Ambrogio, poderi di Camerata e di San Miniato a Pagnolle), prestatore di denaro.

Dante ragazzo

Dante, primo dei fratelli, rimane orfano di madre tra i 5 e i 10 anni e vede morire il padre intorno ai 15 anni.

…le responsabilità dell'orfano, divenuto maggiorenne, ancora in giovane età a capo di una famiglia non piccola, lasciandogli alle spalle un'adolescenza abbastanza tranquilla e agiata, lo relegavano verso una giovinezza non scevra di insidie anche sul piano della gestione patrimoniale della famiglia, e per di più in un difficilissimo momento politico. (Petrocchi, vita di Dante, cap.II, ed. elettronica)

 

Perché Romena

Due dei 25 acquerelli del libro delle Noyes due sono dedicati a Romena. Ella Noyes pur non sapendo che il Purgatorio era stato composto in Casentino, afferma che Dante immaginò la montagna digradante con i suoi balzi e  gironi proprio vedendo Romena, con i suoi tre giri di mura e i sottostanti terrazzamenti che scendevano via via  fino al letto dell’Arno e del Fiumicello sottostanti.

Ella dice pure che Dante si riempì gli occhi e il cuore del cielo stellato  che da Romena poté contemplare durante lunghe notti insonni in tutto il suo spazio circolare. Guardando il cielo da Romena, insomma, Dante fece la sua prima immersione nel cielo delle stelle fisse che ritroverà nel canto XXIII  del Paradiso, preludio alla Fiumana di luce e alla Candida Rosa  del canto XXX, fino  all’Empireo.

Se poi si ritorna alla Romena di Mastro Adamo del canto trentesimo dell’Inferno, con la rievocazione dei ruscelletti che dei verdi colli del Casentino discendon giuso in Arno, beh, possiamo ben dire che Romena contiene in sé molta parte di Dante e molta della Divina Commedia.

 

L’acquerello di Poppi visto dal Ponte mi intriga personalmente e mi dà modo di illustrare l’interconnessione intima e profonda tra lo scritto di Ella e i disegni e dipinti di Dora; una grande sceneggiatura  e una grande fotografia.  Non per niente Paola ed io abbiamo mandato l’opera ai fratelli Taviani perché ci facessero un pensierino, loro che amano la Toscana e l’Arno. Non è arrivata la risposta, ma non è detto che prima o poi il cinema non trovi un regista che riporti sulla scena le due romantiche sorelle.

Ritornando al quadro “Poppi from the river” osserviamo Dora che dipinge le arcate, la cappellina sopra di esse, la costa che sale scomparendo e riapparendo con una grande esse e poi Poppi alto con le mura,  il convento delle monache rinchiuse, il Castello, gli alberi del Pratello, la Badia…Più o meno come lo vediamo oggi, più senza meno come lo vedevo io da ragazzo quando, intorno agli otto anni, attraversavo il ponte, facevo la costa, fiancheggiando a sinistra la casa del Nano e quella di Corinto, dopo aver lasciato a destra la casa del Fochi e i resti degli antichi mulini, tagliavo dal Monumento ai caduti che allora dovevano ancora cadere - vittime della prima e più stolta e “maledetta” tra le guerre mondiali - attraversavo le mura dalla porta che dà alla Misericordia, salivo lo stretto vicolo a mi trovavo all’asilo delle monache che mi aspettavano per riconsegnarmi fratellino e sorellina di 3, 5 anni con i quali rifacevo lo stesso sentiero in discesa. La mamma allora era occupata a tenere in collo l’ultimo nato, Carlo, l’ex sindaco di Poppi. Ma sto deviando nel personale. Ritorno a Dora ed Ella, precisamente ad Ella che prende il mio posto dinanzi al quadro, mettendolo “in dissolvenza” come fa sempre con i quadri di Dora. Prima però osserva dal vivo quello che Dora non può disegnare per motivi di spazio: sul fiume ci sono le donne a lavare o, dico io, a “dimoiare” i panni che sono stati prima tolti dal grande catino “bucato” dove acqua e cenere hanno prodotto il ranno; peccato che Ella non veda noi ragazzi a tirar piastrelle e prendere lasche e barbi nelle grotte. Ella comunque mette sempre in evidenza la pace, la serenità e la bontà delle persone del popolo, considerandole felici, come non le dovevano sembrare negli stessi tempi in Inghilterra donne e bambini seppelliti dall’alba al tramonto nelle filande di Manchester, abbrutiti nelle miniere e nelle officine del Galles…Ella, dopo l’indicazione di quanto sta sul momento fuori del quadro prodotto dalla sorella,  fa entrare l’immagine in dissolvenza con due scene storicamente distanti tra loro, ma legate ai Guidi, la “spada” del Casentino.

 La prima scena: due contesse eleganti e contornate da paggi, incedono a cavallo sul ponte in direzione Castello, parlando tra loro; sono due “orfane di guerra”: Gherardesca di Ugolino, Manentessa di Buonconte; Ella le ritrova dentro una delle “Trecento novelle” del Sacchetti. Poco prima, passando da Certomondo, con una battuta di pessimo gusto la guelfa Gherardesca aveva detto alla ghibellina Manentessa: che bel grano sta nascendo nella piana di Campaldino, innaffiato dal sangue dei vostri morti (!?); aveva risposto la figlia di Buonconte: se tu aspetti di levarti la fame con quello, morirai prima.

Brutta novella, morale forse meno brutta, ma siamo in tema.

Seconda scena: un paio di secoli più tardi; il ponte è occupato da soldati e cavalieri in armi che parlano ancora una volta fiorentino: sono venuti per stanare l’ultimo Guidi, Francesco, che non è stato pronto a girarsi dalla parte dove tirava il vento: la Signoria manda a dire che il tempo è scaduto; è pronto un lasciapassare per la Germania- ( patria d’origine di tutti  i conti ”palatini” ndr). Anche qui una battuta di spirito e la scena di Francesco Guidi con 30 muli carichi di masserizie che dà l’addio al Castello per sempre. E il ponte assurge a simbolo di passaggio,  discrimine,  fine di una cosa principio di un'altra.

Insomma i 25 acquerelli e i 24 disegni a china di Dora sono la scenografia di questo fascinoso “Passaggio in Casentino”; vanno letti insieme allo scritto di Ella e bene hanno fatto Attilio Brilli e Alberta Piroci a curare la pubblicazione di tutti gli acquerelli di Dora accompagnati da una breve scheda di Ella. Ma la migliore scheda è l’intero libro come pubblicato cento anni fa a Londra e New York. Auguri per il centenario.

 

 

 

 


 

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