Grazie, Paola
In anni molto lontani una mia professoressa di italiano, che era stata amica di Benedetto Croce e poeta lei stessa all’interno di quel gruppo di persone colte che avevano frequentato a Napoli la casa del famoso filosofo negli anni tra la prima e la seconda guerra mondiale(c’è un ricordo di quell’ambiente in “Una scelta di vita” di Giorgio Amendola) ci parlava della Vita Nova come di un grazioso romanzo, poetico e “vaporoso”, come diceva lei, e noi, ingenue sognanti ragazze degli anni cinquanta traducevamo con pre-pre-romantico. A dir la verità, allora ci attiravano più i romanzi di Carlo Levi e di Cesare Pavese, come era giusto. Oggi, rileggendo quell’opera giovanile di Dante, anche se mi sembra che indulga eccessivamente al patetico, con quel continuo piangere per amore, mi ritrovo a notare alcune cose positive, che sono queste. L’elemento stilnovista degli spiriti e spiritelli, così evidente anche in Guinizelli e Cavalcanti, è applicato in maniera convincente nel famoso episodio in cui Dante si trova in una casa dove si erano riunite molte giovani donne ( quante donne gentili e di novella etade nella Vita Nova!) e a un certo punto sente “un mirabile tremore” che lo costringe ad appoggiarsi a una pintura, cioè al muro affrescato per non cadere. Perché lo spirito d’amore si è impossessato di lui, occupando ogni facoltà sensoriale, al di fuori di quella degli occhi che, benché in maniera stravolta, possono vedere Beatrice, che è improvvisamente entrata nella stanza. E dicono: ma perché amore ci tratta così, che non possiamo nemmeno godere della bellezza di questa donna? Questo punto è molto bello, secondo me, e credo che non ci voglia troppa fantasia per immaginare questa bella casa dove tante ragazze allegre e ben vestite fanno crocchio, ammiccando a Dante e si gabbano di lui e della sua emozione proprio con lei. Da questo momento si scatena una serie di fughe di lui che ne inventa tante per nascondere questo sentimento, facendo finta di guardare un’altra donna, perfino in chiesa, dicendo cose non plausibili quando gli si chiede perché cerchi sempre di vedere Beatrice se poi non può sostenerne la vista e via dicendo. In un certo senso si prova quasi difficoltà a pensare che questo fragile, emozionabilissimo e anche un po’ bugiardo Dante sia lo stesso che pochi anni dopo – sia pure in tutt’altra situazione d’animo - comincerà a scrivere la Commedia. Molte chiacchiere nella piccola Firenze di allora vennero fuori intorno a quella storia personale, Beatrice tolse il saluto a Dante e il lettore potrebbe finalmente pensare che a lei importasse qualcosa del povero Dante, ma niente successe in questo senso. Presto lei morirà. Niente del suo matrimonio viene detto nel libro, come non viene mai nominato il matrimonio di Dante. E Gemma poveretta, che non c’è un angolo piccolo piccolo dell’opera di Dante in cui venga ricordata, che avrà pensato? Si sarà accontentata, lei che aveva portato una bella dote, di guardare alla casa e ai figlioli? Ma confesso che, se fossi stata Beatrice, non sarei stata del tutto soddisfatta. Lei è al di sopra di tutto, di lei Dante si ripromette di parlare come mai siè parlato di nessun’altra donna, ma è giusto che tutto il suo incanto sfumi in questa figura di Madonna? Che di lei si parli come di una figura santa al di sopra dei sentimenti umani? Così, mentre a lei tributava un’attenzione sacrale, della donna Pietra stringeva nel pensiero e maltrattava le trecce, della donna casentinese vedeva il biondo dei capelli e il verde dell’abito. Cose di donne vere. Veramente in un sogno della Vita Nova aveva visto Beatrice nuda e avvolta in un drappo rosso in braccio ad Amore che le faceva mangiare il cuore di Dante, ma la crudezza e sensualità del sogno, anche se immagine poetica ricorrente, era stata poi cancellata dai successivi proponimenti di amore spiritualissimo e di lode per lei così superiore ai comuni mortali, che costituiscono la materia preferenziale di questo amore particolarissimo. Di più, quando verso la fine dell’opera, si racconta di una giovane e bella donna che s’impietosisce del dolore del poveretto, Dante si premura di aggiungere subito che, siccome si era accorto che cominciava a “vederla troppo volentieri”, d’autorità il super-io si era imposto e aveva decretato che il piacere di pensare a Lei era molto superiore a quello di guardare la donna pietosa. Questo era Dante giovane, quando viveva in Firenze, ancora ignaro di tutto lo scombussolamento che avrebbe sconvolto la sua vita. Quanto di realistico e quanto di poeticamente costruito in questo “romantico” romanzo giovanile? Forse a molti piacerebbe saperlo. (Paola Galli)
Nota (La parte dell'opera citata da Paola)
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