Mauro Sbordoni, amico di lunga data, che ho sempre ammirato per la facilità e la scorrevolezza della sua scrittura - era "caporedattore" dei ciclostilati che gli allora parrocchiani dell'Isolotto giornalmente emettevano per far fronte, con notizie non distorte, alla richiesta che veniva da giornali, TV e Agenzie di stampa che volevano sapere gli ultimi esiti della singolar tenzone che metteva in campo il cardinal arcivescovo e un prete di periferia, qui a Firenze. Era il sessantotto...Il prete se ne stava in Sicilia tra i terremotati di Gibellina e Mauro guidava con la penna il nucleo di resistenza dei "laici", anche per dimostrare che non si trattava di singolar tenzone ma di storica rivendicazione. Ero arrivato a Firenze dal Casentino e guardavo questi giovani parrocchiani con gli occhi sbarrati, finché la corrente dell'Arno non travolse anche me insieme a loro.
Mauro, ritrovato in questi giorni durante le tre serate di rievocazione di quel 68, saputo che stavo partendo per Siria-Giordania, mi manda il pezzo da lui pubblicato su Testimonianze, intitolato la strada dei 7 ponti (spezzati, ma da ricostruire): Iugoslavia, Siria e altri luoghi dove il dispiegamento di insegne etniche e religiose viene utilizzato per una resa dei conti tra vecchi e nuovi potentati.
Grazie Mauro:
Da Malula alla grande moschea di Damasco
Mauro, ritrovato in questi giorni durante le tre serate di rievocazione di quel 68, saputo che stavo partendo per Siria-Giordania, mi manda il pezzo da lui pubblicato su Testimonianze, intitolato la strada dei 7 ponti (spezzati, ma da ricostruire): Iugoslavia, Siria e altri luoghi dove il dispiegamento di insegne etniche e religiose viene utilizzato per una resa dei conti tra vecchi e nuovi potentati.
Grazie Mauro:
Da Malula alla grande moschea di Damasco
Siamo in un’altra area tormentata o , per adottare le categorie del più grande teorico dello scontro di civiltà, Huntington, in una “zona di faglia” fra diverse culture [i]: la Siria.
Malula è un piccolo villaggio su una collina sassosa e brulla, che ricorda tanto alcuni paesetti della Lucania o dell’Irpinia di qualche anno fa. I suoi abitanti rappresentano una delle più antiche comunità cristiane del mondo. Almeno nelle loro preghiere e nei loro riti hanno conservato memoria dell’aramaico, la lingua di alcuni testi biblici e di Gesù. Questa presenza cristiana, in un paese a stragrande maggioranza musulmano, appare ferma e al tempo stesso umile e discreta. Come umile e discreta è la storia della santa a cui è dedicata la principale chiesetta del paese: Santa Tecla, una giovane pagana convertita da S.Paolo, che per sfuggire ai suoi persecutori si aprì un varco nella roccia. A memoria di ciò un varco fra le rocce del paese e un’esile vena d’acqua che sgorga vicino alla tomba della santa. Un racconto che è in se stesso una sincresi fra miti e credenze animistiche e cristiane. Malula non è meta di pellegrinaggi ma solo di qualche breve sosta degli itinerari turistici. Ai visitatori non vengono proposte (almeno per ora) paccottiglie commerciali o “fotografie” di apparizioni ma solo, se essi lo desiderano, l’ascolto di alcune preghiere recitate in aramaico e dopo (se essi credono) una piccola offerta per la chiesa locale. Ho ancora presente , nei miei ricordi di viaggio, l’immagine di una ragazzetta che , messosi in testa un piccolo velo -come usava ancora da noi fino a non molti anni fa- recitava con composta dignità, in aramaico, il Padrenostro.
Altri luoghi della Siria parlano della sincresi, fatta anche di confronti e di scontri, fra religioni e culture: il cristianesimo, l’ellenismo, il misticismo dei monaci del deserto, l’Islam.
Arrivai alla grande moschea di Damasco in una mattinata di sole, attraversando un centro storico che è come un compendio di storia millenaria. Si accede alla moschea attraverso il cortile interno,una sorta di chiostro, più grande della moschea stessa. All’interno della moschea il cenotafio che custodirebbe la testa di S.Giovanni Battista! Vi entrai con il vago senso di impaccio che mi assale ormai in tutti i luoghi di culto, specie quelli che non appartengono al mio passato di credente.
Questo imbarazzo via via si dissolse allorché i miei occhi si fecero largo nella penombra interna. La moschea era popolata da gruppi di persone diverse. Là una persona immersa nella lettura di un testo sacro, in un angolo una persona che dormiva, altrove persone che pregavano, da una parte un gruppo di donne che chiacchieravano sommessamente e –soprattutto- bambini che giocavano e si rincorrevano quasi a misurare, e consumare al tempo stesso, il grande spazio a loro disposizione. Una moschea insomma che era moschea, chiesa cristiana, agorà, giardino. Un luogo tanto lontano da ogni immagine di cupo integralismo (islamico e non solo).
Ebbi la sensazione di avere già visto quel luogo. E poi capii perché: i bambini che correvano richiamavano alla mia memoria il ricordo infantile di Piazza dei Miracoli a Pisa nella lontana primavera del 1946; anche lì -a Pisa- un’ architettura luminosa, sintesi religiosa e laica fra culture diverse, e giochi di bambini nel prato e anche lì gli echi di un grande scontro di civiltà consumatosi nella tremenda guerra appena trascorsa.
[i] Samuel P Huntinghton, Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale, Garzanti, Milano 1999.
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