Leggiamo su RAI News 24 la notizia sottoriportata che conferma appieno i timori da noi già espressi: la Chiesa cattolica ha aperto alla legge sul testamento biologico per chiudere ogni speranza, aperta dalle ultime sentenze della Cassazione, di autodeterminazione della persona. Ciò con la motivazione di "rendere degno il momento della fine della nostra esistenza".
Attendiamo commenti dai lettori. Giampietro Sestini
(mailing list di Libera Uscita)
Il segretario generale della Cei, monsignor Giuseppe Betori, illustrando oggi il comunicato finale dei lavori del parlamentino della Cei, ha ribadito il sì dei vescovi alla "dichiarazione del paziente legalmente riconosciuta" che costituisce "la volontà del paziente stesso". Con questa dichiarazione il medico - ha precisato Betori - si deve confrontare ma poi a decidere è lui, "senza cedere né verso l'eutanasia né verso l'accanimento terapeutico". Secondo i vescovi italiani in una legge sul "fine vita" non deve esserci spazio per "aperture all'autodeterminazione dell'individuo. Questa - ha spiegato il segretario della Cei Giuseppe Betori - è una visione che va contro le radici cristiane della nostra cultura". Per questo, ha sottolineato, "preferiamo non parlare di testamento biologico ma di una legge sul fine vita: la vita non è a disposizione di nessuno, nemmeno di se stessi. Il problema è proteggere la vita e rendere degno il momento della fine della nostra esistenza".
Ma è inutile rincorrere la CEI. Il problema, in Italia, è la SLAICITA' dello Stato con la lettera minuscola, tipo ..dissestato.
E' inutile anche per un cattolico dissenziente rincorrere la CEI perché la teologia di Sua Presunzione è quella del tempo che Berta filava: non arriverà mai all'Empireo finché sta rinchiusa dentro le 9 sfere di cristallo adamantino, infrangibili, e perfettamente trasparenti, quindi invisibili. Solo Dante l'ha potuto fare, cacciando quattro papi suoi contemporanei giù all'inferno: Niccolò III (+ 1280), Celestino V (+1294), Bonifacio VIII (+1203), Clemente V (+1314).
Sabina Guzzanti ce ne ha messo un quinto. Una delle (poche) sabine sfuggite al ratto.
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