Pensando al popolo italiano
12 dicembre - Sciopero generale
Il titano Prometeo è punito da Zeus per i benefici che ha prestato agli uomini. Due sgherri del re degli dei, Kratos e Bia (Violenza e Forza), lo incatenano ad una rupe ai limiti del mondo, esposto ad ogni tempesta; un avvoltoio gli divorerà in eterno il fegato, che si continuerà a riformare sempre. Prometeo conosce il segreto della possibile rovina di Zeus: sa che Teti, al cui amore Zeus aspira, è destinata a generare un figlio più potente del padre. Zeus tenta di estorcergli questo segreto in cambio della liberazione, ma Prometeo rifiuta: egli non rinnega il suo ruolo di protettore degli uomini. Negli episodi che si susseguono, il coro delle Oceanine tenta di lenire gli spasmi del protagonista, il loro padre Oceano vuole indurlo alla rassegnazione. Un'altra vittima del sopruso di Zeus, Io, tramutata in vacca e perseguitata in un eterno viaggio da un assillo indomabile che la rende folle, giunge alla sua roccia e Prometeo le preannuncia le sue future peripezie, il fatto che alla fine la liberazione le sarà concessa, e la sorte della sua discendenza; infine Ermes prova, su incarico di Zeus, ad ottenere la rivelazione del segreto fatale, invano. Zeus quindi scaglia contro la vetta a cui Prometeo è incatenato un fulmine, in modo che il titano rimanga schiacciato sotto il suo peso.
La colpa di Prometeo è di aver insegnato la tecnica agli uomini rendendoli da infanti quali erano, razionali e padroni della loro mente, e per questo viene incatenato alla roccia, privato della libertà e condannato a soffrire in eterno.
POTERE: Agli estremi confini eccoci giunti
già della terra, in un deserto impervio
tramite de la Scizia. Ed ora, Efesto,
compier tu devi gli ordini che il padre
a te commise: a queste rupi eccelse
entro catene adamantine stringere
quest'empio, in ceppi che non mai si frangano:
ch'esso il tuo fiore, il folgorio del fuoco
padre d'ogni arte, t'involò, lo diede
ai mortali. Ai Celesti ora la pena
paghi di questa frodolenza, e apprenda
a rispettar la signoria di Giove,
a desister dal troppo amor degli uomini.
Promèteo:
A chi tien fuori dai cordogli il piede,
dare consigli a chi patisce è facile.
Tutte io sapevo queste pene. Io stesso
volli peccare, non lo negherò:
io stesso volli: gli uomini soccorsi,
ed a me stesso procaccai tormenti.
Ma non credeva a strazio tal, che in vetta
d'aeree rocce io macerar dovessi
su questa balza inospite deserta.
Ma non piangete il mio presente male:
scendete al suolo, e le sciagure udite
che incombono su me, sí che sappiate
compiutamente il tutto. Esauditemi,
compatite al dolente, esauditemi,
ché la sciagura, ciecamente errando,
ora su questo piomba, ora su quello.
Non per disdegno o per superbia io taccio,
non lo crediate; ma l'obbrobrio inflittomi
veggo, e di conscia doglia il cuor mi struggo.
Pure, i lor pregi a questi nuovi Numi,
chi compartiva, se non io? Niun altri!
Ma di questo non parlo: a voi direi
cose ben note. Ma i cordogli udite
che patiano i mortali, e come io seppi
da stolti ch'eran pria, saggi e signori
della lor mente renderli. E dirò
non per muovere agli uomini alcun biasimo;
ma la benignità mostrare io voglio
dei doni miei.Ché prima, essi, vedendo
non vedevano, udendo non udivano;
e simili alle vane ombre dei sogni,
quanto era lunga la lor vita, a caso
confondevano tutto. E non sapevano
né case solatie, né laterizi,
né lavorare il legno. E a guisa d'agili
formiche, in fondo a spechi dimoravano,
sotterra, senza sole. E segno alcuno
che distinguesse il verno non avevano,
né la fiorita primavera, né
la pomifera estate: ogni loro opera
senza discernimento era, sin che
sperti li resi a consultar le stelle,
e il sorger loro ed i tramonti arcani.
E poi rinvenni, a lor vantaggio, il numero,
somma fra le scïenze, e le compagini
di lettere, ove la Memoria serbasi,
che madre operatrice è de le Muse.
Sotto i gioghi primo io le fiere avvinsi,
obbedïenti ai basti e ai soggóli,
perché ministre a l'uomo succedessero
nei piú duri travagli; e sotto i cocchi
spinsi i cavalli docili a la briglia,
fulgidi fregi al fasto. E niuno i cocchi
dei marinai prima di me rinvenne,
ch'errano in mare, ch'ali hanno di lino.
CORIFEA:
Dura è la pena tua. Dal primo senno
erri smarrito, e, come un tristo medico
preso dal morbo, ti scoraggi, e farmachi
trovar non sai che a te salute rendano.
[Eschilo, Prometeo incatenato, traduzione di Ettore Romagnoli]
(Dedicato agli operai della ThyssenKrupp)
Postilla
* Una domanda alla Cgil *
Pierluigi Sullo
[12 dicembre 2008]
Il 25 aprile del 1994 una manifestazione attraversò Milano sotto una pioggia
torrenziale. Quel giorno cominciò a sfaldarsi il primo governo Berlusconi,
appena insediato. Oggi, 12 dicembre, la pioggia ha tormentato le decine di
manifestazioni della Cgil, degli studenti, dei sindacati di base, che hanno
riempito le piazze. La Cgil, «sola» secondo i telegiornali, ha registrato
una adesione allo sciopero doppia del numero dei suoi iscritti. Ieri la
ministra Gelmini si è arresa: il governo della destra è più fragile di
quanto sembri. Quindi lo sciopero generale e generalizzato di oggi ha
buone possibilità di ottenere qualche effetto. La Cgil mette in guardia da
settimane sull¹esplosione della cassa integrazione, e dei licenziamenti, nei
prossimi mesi. E quel che il governo ha fatto fin qui la «social card» è
solo una insultante elemosina.
Ma quel che la Cgil farebbe bene a considerare è che oltre ai lavoratori
dipendenti nelle piazze c¹erano giovani cui è stato rubato il futuro e
precari di ogni tipo, che non possono sperare nella cassa integrazione. Ed
altri segnali, come la manifestazione No Tav di sabato scorso a Susa, dicono
non solo che il disagio è sociale, oltre che del lavoro, ma anche che quel
che si deve ottenere non è solo un po¹ di denaro in più per gli
ammortizzatori sociali o per «rilanciare i consumi». Ma misure utili a
prendersi cura della società e del territorio. Nelle stesse ore, il governo
italiano cercava, a Bruxelles, di sabotare l¹accordo europeo sul clima;
eppure altrove investimenti seri sulle energie rinnovabili hanno sia
ripulito l¹aria che creato centinaia di migliaia di posti di lavoro. Perché
la Cgil non apre, ora, un grande dibattito su quale politica economica di
nuovo genere può arginare una recessione inedita?
(email di Charta org.)
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