Chiesa di S.Antonio abate a Saione, Via Vittorio Veneto 108. Arezzo.
Chiesetta di epoca romanica (XII secolo), intitolata a S.Antonio abate. L’hanno vista Francesco d’Assisi e Dante Alighieri.
Nel passato ebbe il patrocinio di nobili famiglie aretine, Testi, Marsupini, Bacci.
Nel 1797 adibita a luogo di sepoltura, in seguito ad una grave epidemia di tifo che colpì la città.
Restaurata nel 1778 a spese del canonico Bucci, che ci tiene a farlo sapere con l’iscrizione sull’architrave della porta d’ingresso. Tutti i canonici e vescovi ci tengono a far sapere dei restauri e rifacimenti: tante lapidi autoelogiative: è umano.
Con le guerre adibita a ricovero, stalla, magazzino, granaio. Ultimo restauro 1953.
Soffocata dagli edifici adiacenti, tutta in pietra. Solo per questo si può distinguere, ma ai forestieri passa lo stesso inosservata. L’interno è suggestivo, pianta rettangolare quasi quadrata, con una bella abside. Direttamente sulla via, grande arteria trafficata da macchine e pedoni, tra panetterie, negozi, supermarket e banca. Basta un passo e ti ritrovi fuori dal mondo, in giusta riposante penombra.
Una mendicante fuori della porta, tante candele accese a 21 immagini di santi, prima fra tutte una grande scultura lignea di Gesù caduto sotto il peso della croce, scolpita dall’aretino Luigi Chiari, alla fine del XVIII secolo. Segue una grande statua di S.Antonio da Padova, una statua più piccola di Padre Pio, una grande immagine murale del titolare S.Antonio abate, e via via, in scala ridotta e diversificata quattro quadri della Madonna, due quadri di Padre Pio e via a seguire. C’è anche papa Giovanni. Candele accese per tutti: 200, per la cronaca. A lato alcuni scaffali di candele nuove, di 25 cm, a self service, 0,30 centesimi l’una.
La gente qui ha fede, mi dice Loriana. Già.
Andando alla Coop, 20 metri avanti, un prete, ben vestito, col borsetto, come un testimone di geova, parla con una signora; penso che sia l’addetto, ma non è detto; lì vicino c’è la chiesa parrocchiale di Saione, molto grande e imponente, con scalinata di accesso piuttosto ripida: troppo più alla mano il Cristo caduto sotto la croce della chiesetta romanica, proprio a due passi due dal marciapiede, dove passa il mondo turbinoso e a volte maligno che si arresta sulla soglia come per un antico diritto di immunità. Lì la senti nel naso la candela che accendi: impregna l’aria e le tue speranze se ne vanno in fumo, ma un fumo quieto e tranquillo che arriva fino in cielo, ancora meglio di quello dei bastoncini buddisti.
Anche il prete è importante, perché dà la legittimazione alle candele e ai santi: così Loriana può chiamare fede quella che altrimenti sarebbe magia o superstizione. Per queste ultime ci sono altri preti: si chiamano maghi e santoni rappresentati frequentemente anche da donne, altrettanto brave che gli uomini: nell’aretino, mi dice Loriana, i maghi e i guaritori imperversano.
Ma i preti doc sono tutti e solo maschi. Non per caso: quando ci han provato, le donne son finite sul rogo, arse vive. La casta poi ha bruciato il suo senso di colpa o coperto tali nefandezze metabolizzando il tutto nel culto spasmodico di Maria, teotocos, madre di dio, immacolata, assunta in cielo, vergine e madre.
E’ una grande casta, destinata a non sparire proprio per la sua funzione di legittimazione resa a tutte le candele che si consumano bruciando per noi poveri mortali, proprio come l’agnello sacrificato al posto nostro per placare l’ira di Lui. Cristo, secondo Barbabianca, dovrà incarnarsi e morire ancora molte volte per tentare di mettervi fine. La prima gli è andata davvero male: aveva tolto gli intermediari tra dio e gli uomini, ma “loro” si sono dichiarati intermediari tra lui e gli uomini. Che beffa.
hai proprio ragione..nn c'è mai stata beffa più grande.Grazie per avermici fatto pensare.
RispondiEliminaAyl