martedì 14 dicembre 2004







 


    Giuseppe Pinelli



      L'anarchico sbagliato.


 


 
















15 dicembre 1969: era lì in questura da tre giorni; in Questura c'era di casa, questo ferroviere addetto ai magazzini; con Luigi Calabresi, che lo convocava in Questura per abbonamento e gli regalava libri, ci scherzava; lui gli aveva contro-regalato L'antologia di spoon river.
Pinelli aveva un gran carattere, tipo tranquillo, coglioni quadrati; la questura di Milano gli era più familiare del dopolavoro ferroviario.
Dopo tre giorni tra quei poliziotti che avevano avuto l'ordine dall'Intelligence di Aviano di incastrare gli anarchici a tutti i costi e in maggior numero possibile, il Giuseppe aveva capito tutto: ma proprio tutto. In fondo in fondo si trattava di un riguardo speciale per l'Italia: invece di far la fine della Grecia dei colonnelli, bastava un governo di destra-falsosinistra, senza i comunisti, e la cosa si risolveva con 16 morti e 90 feriti. L'alternativa era la devastazione di Emilia e Toscana, la sospensione dei campionati di calcio in tutto il nord per riempire gli stadi degli ex partigiani, chissà forse anche la violazione della estraterritorialità vaticana. Giuseppe, non insistere; non ci costringere...Niente da fare: l'ordine arrivò perentorio - dalla sede Nato direttamente, da Aviano: questo uomo non può tornare libero. E fu il diciassettesimo. Ma il 17 porta sfiga. Questo cadavere non si consumava mai. Entrava nei sogni e disturbava i sonni di Luigi Calabresi, il più intelligente dei nuovi arruolati dell'intelligence; ma con qualche risvolto umano di troppo. Stava cambiando, non era più lui, si mostrava dubbioso, insicuro. Da Aviano arrivò, non subito, l'ordine per il diciottesimo: oportet ut unus moriatur pro populo (quelli tengono tutti la bibbia sul comodino da campo). Altri agenti vanno in crisi di coscienza, anche quelli meno svegli e intelligenti (che formano la grande stratificazione dell'Azienda centrale di inintelligenza); per far capire a loro che Calabresi non è stato anche lui suicidato dagli stessi suicidatori di Pinelli bisogna dare la prova di S.Tommaso che non ci crede finché non ci ficca il naso: forza Marino, deciditi. Ed ora gli agenti sono tranquilli: il nostro l'hanno ammazzato quelli di lotta continua. La Cassazzione non è la cazzazzione. Non siate titubanti; guardate la torre pendente: lì vicino, nel carcere D.Bosco (grande amico dei carcerati torinesi ai suoi tempi), giace la prova provata: si chiama Adriano e ce l'abbiamo in mano. Andate pure tranquilli a Genova e non abbiate timore a rimettere i piedi anche nella scuola, soprattutto se porta il nome del Generale della Vittoria; quello del telegramma: i resti di quello che fu uno dei più grandi eserciti del mondo risalgono in fuga disordinata - peggio di quel cacone di Cadorna mio predecessore a Caporetto - quelle colline da cui erano discesi con orgogliosa sicurezza.
- Ma Adriano, quelli di Aviano aspettano che tu chieda la grazia: così tu vai libero e i nostri rimangono convinti; non siamo sadici, solo un po' sudici. Eh via! -
Forza Adriano! Forza Adriano! (Mancini, stai sbagliando tattica - L'Inter è tutta da rifare).
Ma la finestra della questura di Milano nessuno riesce più a richiuderla.
















 


 






 


 


 



Intervista a Licia Pinelli
...la morte di Luigi Calabresi non mi risarcisce della morte di Pino".
Ha conosciuto il commissario?
"L'ho visto una sola volta, in tribunale durante il processo a Lotta Continua".
Che impressione ne ebbe?
"Mi ha fatto pena. Quando è entrato in aula, hanno preso a gridargli dal pubblico: 'Assassino!'. Per un attimo mi sono sentita nei suoi panni. La gente continuava a gridare e mi ha fatto pena".
Perché?
"Perché erano colpevoli tutti, non soltanto Luigi Calabresi, mentre in quell'aula, agli occhi della gente, soltanto lui era l'imputato, soltanto lui era il colpevole. Per me erano tutti imputati allo stesso modo, il questore, il prefetto, il ministro e ancora più su. Io non volevo, non trovavo giusto che si aggredisse il capro espiatorio. Per questo ne avevo pena".
Per l'assassinio di Calabresi sono stati condannati Sofri, Bompressi e Pietrostefani...
"Io non credo alla loro colpevolezza. Anche a Lotta Continua, come a me, è stata sottratta la verità. La 'campagna' di Lotta Continua aveva lo scopo di dare una verità alla morte di Pino. Avevano ottenuto il processo, non avevano alcuna ragione di ucciderlo. Questo penso...".
Giuseppe D'Avanzo, La Repubblica,18 maggio 2002


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