domenica 19 marzo 2006

Riflessione domenicale
 Togliere il velo alla mente



Nawal Al Saadawi (1939), laurea al Cairo (1955). Il suo primo libro, Woman and sex, nel 1972 le costa la cacciata dal Ministero della Sanità e la persecuzione delle autorità religiose. A metà degli anni 90, è costretta all'esilio perché il suo nome compare nella lista di morte di un gruppo fondamentalista. L'ultima persecuzione nel 2001, quando solo una grande mobilitazione internazionale la salva da un processo per apostasia e dal divorzio coatto chiesto, contro la volontà sua e di suo marito, da un avvocato integralista. Le sue posizioni le sono costate complessivamente dieci anni di carcere. Tra i suoi scritti Firdaus, storia di una donna egiziana (2001) e Una figlia di Iside (2003).


Dott.ssa Al Sadawi, come vede la sua vita in un paese arabo ed islamico, come l’Egitto?


In occidente credono che la gente del cosiddetto mondo islamico sia tutta velata e oppressa. Non è vero! Io sono nata, cresciuta, ho studiato e lavoro in Egitto. E combatto tuttora contro il regime egiziano. Viviamo in un solo mondo, quelle terminologie non hanno senso. Io mi arrabbio quando mi declassano a cittadina “del terzo mondo”. E non capisco chi parla di Medio Oriente. Medio rispetto a chi? Rispetto a Londra, quando occupava l’area? Ebbene.. Io oggi spesso dico ai miei amici, quando vado negli Stati Uniti che sto partendo “per il Far West”. E loro ridono, giustamente. Non capisco nemmeno chi si dichiara scrittore post-coloniale. Ma se viviamo nella nuova era coloniale!


Il suo lavoro intellettuale è soggetto a censura o impedimenti di qualche natura?


Il mio ultimo libro, intitolato “Il romanzo”, è stato censurato sia dall’Azhar (l’università islamica del Cairo, ndr) che dalla Chiesa Copta. La protagonista era una ragazza povera rimasta incinta al di fuori del matrimonio, e che non voleva abortire. Parte per la Spagna, alla ricerca di un lavoro. Non voleva abortire, e parlava a sé e al suo bambino invisibile che ho paragonato al figlio della Vergine. Ebbene, la Chiesta si è arrabbiata e lo ha censurato. Ho anche scritto della povera gente che guarda il cielo, chiede aiuto ma il Cielo guarda silenziosamente e non risponde. E anche l’Azhar si è offeso e l’ha censurato. Alle istituzioni religiose non piace chi critica la religione. Quarant’anni fa, scrivevo cose molto più audaci e non venivano censurate. Oggi si, invece.


Secondo lei l’Islam è la fonte dei guai del mondo arabo, come sostengono altri scrittori e scrittrici, soprattutto in Occidente?


Chi scrive queste cose è un ignorante che non ha studiato l’Islam. Perché non si può capire l’Islam senza paragonarlo alle altre religioni. E il comune denominatore di tutte le religioni, senza eccezione, è il razzismo e la misoginia. Dobbiamo reinterpretare la religione, cambiarla, rivoluzionarla. Non dobbiamo essere spaventati nel farlo. E’ paradossale come oggi la gente riesce a criticare la religione altrui e non la propria. Oggi, la religione è diventata una comodità commerciale, sbandierata dai politici per guadagnare voti. Il fanatismo religioso e il sistema politico capitalistico-imperialista si stanno alleando e aumentando.


Cos’è la religione, allora, per lei?


La religione è la creatività, l’immaginazione, la scienza, la libertà, l’amore. Se la religione non è per l’amore, allora non ne abbiamo bisogno: mi ricordo ancora mia nonna, analfabeta, mentre fronteggiava il sindaco del villaggio, seduto come un faraone con il Corano in mano. Quando gli disse che stava sfruttando i contadini e lui le rispose: “Stai zitta, analfabeta! Tu non hai letto il libro di Allah”, lei gli rispose: “Conosco Dio meglio di te. Dio è giustizia!”. Ecco: Dio è amore, uguaglianza, pace: non è un libro. Non esce dalle tipografie. La mia prima lettera a Dio l’ho scritta quando avevo sette anni, quando mia nonna giustificò il trattamento speciale riservato a mio fratello: non capivo perché Dio avrebbe dovuto discriminarmi in quanto donna. La religione, in realtà, non è un’ideologia morale o spirituale: è un’ideologia politica ed economica. In tutti i libri sacri troviamo doppi standard per i governanti e i governati, per i maschi e le femmine. Troviamo rapporti di forza, concezioni di classe. Guardi il giudaismo: è una religione molto politica, che parla di una “terra promessa”. L’invasione e l’occupazione delle terre altrui non è religione, deve essere inserita in un contesto storico e politico.


E la democrazia?


La democrazia non è quella americana dove solo alcuni milionari hanno la possibilità di concorrere, facendo leva su una buona percentuale di votanti appartenenti alla coalizione fondamentalista cristiana. Non è nel sistema multi partitico o nel voto. Non è nemmeno nella libertà di espressione. La democrazia è il diritto di ogni cittadino ad avere un buon lavoro, una vita sessuale, una giustizia sociale, politica e religiosa. La mia candidatura alle elezioni presidenziali in Egitto era un atto simbolico: volevo scuotere il sistema faraonico di governo. Volevo dimostrare ai 70 milioni di egiziani che era possibile per una donna candidarsi alle elezioni. Ma era anche un modo per denunciare le modalità con cui si sono svolte. Le abbiamo smascherate davanti all’opinione pubblica.


Come vede la situazione, oggi, in Iraq e in Palestina?


Ogni popolo ha il diritto di difendere sé stesso con tutti i mezzi a sua disposizione. Deve fare il possibile per cacciare l’occupante. Bush ha ucciso migliaia di persone e lo stesso vale per Sharon. Perché nessuno li processa? L’Onu dovrebbe farlo, ma Kofi Annan è in combutta con loro. I terroristi grandi sono quelli che devono essere puniti perché quelli piccoli sono il risultato del terrorismo di quelli grandi.


Lei si è particolarmente distinta nella battaglia contro il fondamentalismo islamico. Cosa fa per vincere la paura? Non sente il bisogno di avere una scorta?


Una scorta? Non esiste! Non c’è, non la voglio e ho sempre rifiutato la scorta: Uno potrebbe salire su un aereo e precipitare in un istante. Chi è coraggioso muore una volta sola. Guardi…Siamo diventati, io e mio marito, parte integrante del pericolo, come se fossimo dentro un aereo, e quindi non lo sentiamo affatto. Quando dice qualcosa che proviene dal cuore, è potente. Il mio secondino, in Egitto, frugava nella mia cella e diceva: se dovessi trovare carta e penna, sarebbe più pericoloso che trovare un fucile. Ecco perché gli scrittori non cooptati dal governo vanno in prigione, o in esilio.


Qual è la missione di uno scrittore o di intellettuale in questo nuovo contesto internazionale?


Gli slogan in cui credo sono due: “Togliere il velo alla mente” e “l’Unione fa la forza”. Dobbiamo svelare il linguaggio, demistificare l’informazione. Il velo della mente è quello pericoloso e noi oggi abbiamo le menti velate dai media, dal sistema educativo, dall’informazione frammentata che riceviamo. Oggi partecipo ad un convegno sulla Spiritualità, ma io ero contraria alla stessa denominazione: non possiamo dividere lo spirito dalla mente e dal corpo. Altrimenti non saremmo esseri umani. E gli esseri umani devono celebrare la loro similitudine, non le loro differenze. Dobbiamo assolutamente trascendere le differenze religiose, sociali, sessuali, nazionali, etniche e unirci come esseri umani.
Intervista a cura di Sherif El Sebaie, pubblicata su "Minerva". 


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