Riabilitazione (II)
(seguito del post precedente)
Oggi, lunedi 9 giugno al Consiglio comunale di Firenze
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L'altra volta era andata così:
Il Sindaco-Podestà si chiama Guido (dei Guidi di Poppi). Siamo nel maggio 1315. Il 24 giugno è la festa di S. Giovanni a Firenze, città ormai stanca di risse e di vendette. Il nuovo Podestà è stato chiamato per riportare pace e serenità. Manca un mese alla festa. Niente di meglio che una bella Ordinanza che riporti in patria vecchie conoscenze, nobili, mercanti, artigiani, poeti ex ambasciatori e ormai noti personaggi. L'Impero non fa più paura, il papa si è trasferito in Francia, le gualchiere lungo l'Arno battono i panni a pieno ritmo, è l'inizio del boom che porta i lanieri fiorentini fin nei porti del Baltico, i banchieri della città del fiore prestano fiorini anche agli ebrei, si prepararano a raccoglier le tasse a romani e napoletani per conto del papa e degli angioini di Francia. Avanti c'è posto. Una bella processione per le vie di Firenze inargentate, un velo da penitente sulla testa, una preghiera pubblica a S.Giovanni Battista, una multa simbolica a sconto di tutti gli abusi edilizi e il condono è fatto. Per tutti, anche per lui.
Dante riceve sollecitazioni ripetute e insistenti da parenti e conoscenti. Ha davanti tante lettere e messaggi, di amici, di nipoti, di persone buone e influenti. Tra queste un monaco, un francescano dei tempi di Santa Croce o un domenicano di Santa Maria Novella, chissà.
Potrebbe davvero rientrare tra i suoi, ritrovare ogni cosa diletta più caramente, passeggiare per le vie di Firenze inargentate, contemplare l’Arno balsamo fino, ritrovare Gemma, i figli Pietro, Iacopo, Atonia, il fratello Francesco, la sorella Tana, gli amici di giovinezza, musici e letterati, poeti e stornellatori...
Qualche ora tormentata davanti allo scrittoio, forse una notte insonne, una risposta abbozzata, stracciata, ricomposta e poi ancora distrutta. Finalmente eccola qui, giunta fino a noi nella sua interezza.
Il grande rifiuto
(XII Lettera a un amico fiorentino maggio 1315)
Amico Fiorentino (All’amico fiorentino - la lettera è in latino)
Nella vostra lettera ricevuta con l’affettuoso rispetto dovuto ho appreso con mente grata e attenta considerazione quanto il mio ritorno in patria vi sia a cura e a cuore; e perciò tanto più strettamente mi avete obbligato quanto più di rado capita che gli esuli trovino amici.
Ma la risposta al contenuto di quella, anche se non sarà quale forse la pusillanimità di alcuni vorrebbe, io chiedo sentitamente che, prima di ogni giudizio, sia passata al vaglio della vostra saggezza.
Ecco dunque ciò che dalle lettere vostre e di mio nipote nonché di parecchi altri amici mi è stato comunicato, per l’ordinamento testé fatto a Firenze sull’assoluzione degli sbanditi, che se volessi pagare una certa quantità di denaro e volessi sopportare la vergogna dell’offerta, potrei essere assolto e ritornare subito.
Nella quale assoluzione invero due cose sono risibili e mal suggerite, o padre; dico mal suggerite da coloro che tali cose hanno scritte, giacché la vostra lettera formulata con diverso discernimento e saggezza niente di ciò conteneva.
Estne ista revocatio gratiosa qua Dantes Alagherii revocatur ad patriam, per trilustrium fere perpessus exilium? Hocne meruit innocentia manifesta quibuslibet? Hoc sudor et labor continuatus in studio?
E’ questa la grazia del richiamo con cui Dante Alighieri è richiamato in patria dopo aver patito quasi per tre lustri l’esilio? Questo ha meritato una innocenza evidente a chiunque? Questo i sudori e le fatiche continuate nello studio?
Lungi da un uomo familiare della filosofia una bassezza d’animo a tal punto fuor di ragione da accettare egli, quasi in ceppi, di essere offerto, a guisa di un Ciolo e di altri disgraziati.
Absit a viro predicante iustitiam ut perpessus iniurias, iniuriam inferentibus, velut benemerentibus, pecuniam suam solvat!
Lungi da un uomo che predica la giustizia il pagare, dopo aver patito ingiustizie, il suo denaro ai persecutori come a benefattori.
Non est hec via redeundi ad patriam, pater mi; sed si alia per vos ante aut deinde per alios invenitur que fame Dantisque honori non deroget, illam non lentis passibus acceptabo; quod si per nullam talem Florentia introitur, nunquam Florentiam introibo.
Non è questa la via del ritorno in patria, o padre mio; ma se una via diversa da voi prima o in seguito da altri si troverà che non deroghi alla fama e all’onore di Dante, quella non a lenti passi accetterò; che se non si entra a Firenze per una qualche siffatta via, a Firenze non entrerò mai.
Quidni? nonne solis astrorumque specula ubique conspiciam? nonne dulcissimas veritates potero speculari ubique sub celo, ni prius inglorium ymo ignominiosum populo Florentineque civitati me reddam? Quippe nec panis deficiet.
E che mai? Forse che non vedrò dovunque la luce del sole e degli astri? Forse che non potrò meditare le dolcissime verità dovunque sotto il cielo, se prima non mi riconsegni alla città, senza gloria e anzi ignominioso per il popolo fiorentino? Né certo il pane mancherà.
PS. Però, che carattere!
Restiamo in attesa della risposta di Dante all'Ordinanza 9 giugno 2008 del Comune di Firenze. Se non risponde, si può tentare con la richiesta di un'intervista.
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