Paola al Giardino dei ciliegi
Martedì 6 giugno ore 17.30
IL GIARDINO DEI CILIEGI
Indirizzo Via dell'Agnolo 5 - 50100 Firenze
Telefono 055 2001063
Fax 055 2001063
www
E-mail ilgiardinodeiciliegi@gmail.com
Specializzazione Valorizzazione della cultura e dei saperi delle donne, promozione di iniziative culturali.
“Esordienti nelle edizioni di Luciana Tufani”: incontro con Paola Galli (“Un’identità intermedia”), Ingrid Coman (“La città dei tulipani”), Elena Rondi-Gay des Combes (“Messa a fuoco”): introduce Maria Letizia Grossi.
Ci sarò anch'io. Via dell'Agnolo 5 è nel vecchio carcere delle Murate, 200 metri dal Viale Amendola, (tra Piazza Beccaria e l'Arno), autobus 6, 14...Posteggio a pagamento su Viale Amendola.
Come aperitivo, questo racconto (sono 17 i racconti surreali di Paola):
DOPO
Era tornato zitto zitto e si era seduto nella poltrona marrone, in fondo alla stanza. Era ormai quasi buio e dai vetri semiaperti entravano la luce smorzata e il tepore della giornata primaverile.
Come quella sera, pensava, quando aveva sentito improvvisamente una fitta là a destra, poi un dolore diffuso alla schiena che lo assediava improvvisamente, costringendolo in una posizione ripiegata e grottesca. Un uomo d’un tratto diventato un infermo che doveva sorreggersi al bracciolo della poltrona e calarsi giù piano piano, con le poche forze che gli restavano per non lasciarsi cadere giù come un sacco.
Eppure fino a qualche attimo prima aveva respirato l’aria dolce della sera, notando come la luce declinante desse quel bel colore roseo alla parete della stanza. E i fiori, il mazzo dei mughetti bianchi nel vaso azzurro, erano davvero una cosa viva là in quell’angolo vicino alla finestra ed era appunto con loro che poco prima aveva intrecciato un discorso. Discorsi coi fiori se ne fanno a volte, guardandoli mentre splendono vivi nelle aiuole del giardino o si lasciano accarezzare dallo sguardo nella cornice dove li ha fermati per sempre chi ha voluto partecipare agli altri il senso di pienezza che dà la contemplazione del bello. Però quella era una contemplazione speciale, era un discorso su chi aveva curato le stanze di quella casa, dipingendo i quadri alle pareti e mettendo quelle belle tende arricciate che davano luce.
Tutti questi oggetti sapevano raccontare qualcosa. Per questo lui stava seduto in quella stanza. Comunque quel giorno la conversazione era andata persa e poi non era stata più ripresa. E’ che a volte la vita viene improvvisamente sconvolta da avvenimenti più forti di noi, come per esempio una malattia grave e dopo tutto succede così rapidamente e i pensieri che riguardano la vita e quello che ne era il godimento escono dalla tua prospettiva e ti chiedi con più stupore che disperazione se sei proprio tu quello a cui sta capitando tutto il peggio. Ora era tornato perché era permesso di tornare, anche se solo per una volta. Bastava che se ne esprimesse il desiderio. Si ricordava di quando suo padre gliel’aveva detto tanti anni prima: di certo una sola volta era permesso.
- Davvero?- aveva detto senza impedirsi del tutto un sorriso incredulo.
- Certo, è proprio così — aveva ribattuto il babbo piccato e dispiaciuto.
Ma come si farebbe, aveva pensato, a dire quello che si prova in quell’unica volta? E a chi dirlo, chi scegliere per quell’incontro così importante, ma anche così rischioso? Tanto che varrebbe la pena farne a meno. Se non fosse che il desiderio potrebbe essere così forte che… dio mio, che cosa difficile. E ora toccava a lui. In fondo avrebbe davvero potuto farne a meno perché nella casa non c’erano persone da rivedere, solo oggetti appunto. Ma ora gli era preso un desiderio incontenibile di ritrovare le sue cose, i quadri, le luci, le tende, la finestra della sua camera col vetro incrinato sulla parte destra. Perciò stava seduto nella poltrona e guardava tutto intensamente perché doveva recuperare il tempo perso. Mentre era assorto in sé stesso e cercava di immaginare il mazzo di mughetti dove lo aveva visto quel giorno, si sentì fissato. Alzò gli occhi. Lei era lì, la padrona della casa, quella che aveva arricciato la tenda e dipinto i quadri. Fu un colpo. A questo non aveva pensato. Era venuto per la casa, mica per un appuntamento. Gli parve che lei sorridesse un po’, però gli occhi erano scuri e avevano quella luce severa che lui ricordava. Che poteva dire? “Mamma, come stai?” Era troppo diretto e poi non l’aveva mai detto. Non lo poteva dire ora. Forse gli avrebbe domandato perché aveva vissuto solo, ma anche di questo non avevano mai parlato e certo non avrebbe voluto controllarlo proprio ora che non serviva più. Così si guardarono in silenzio per un po’, poi fu lui che si sentì parlare e fu come ascoltare la voce di un altro.
- E’ per te che sono venuto mamma. Vedere la casa era vedere te, però senza il tuo sguardo di rimprovero.
Lo sorprese e insieme lo tranquillizzò il suo sorriso amabile. In fondo non sorrideva tanto spesso allora, ma si vede che dopo siamo proprio persone diverse. Che cosa interessante questa.
- Ma dai - diceva lei con una voce che sembrava quella di una ragazza e intanto lui notava il leggero vestito azzurro a pois neri, quello che gli piaceva tanto da bambino. - Ti pare che ti rimproveri proprio oggi che è il tuo compleanno. Ma che viso colorito hai. Non ti ho mai visto così bene .
Lui non sapeva cosa dire ora, quale ricordo scegliere dei tanti che gli si erano risvegliati in testa. Ne afferrò uno, che gli parve molto lontano.
- Quando feci la prima comunione, piansi perché avevo toccato l’ostia coi denti e sapevo che era peccato. Tutti pensavano che piangessi di commozione. Anche tu lo hai creduto?
- Certo che no – disse lei d’impulso – Pensai che non ti trovassi a tuo agio: le scarpe nuove, il vestito, la cosa in sé. Per questo, pensavo.
Fu contento che lei avesse capito il disagio e l’ansia di quella mattina.
- E quando ti lasciai ad aspettarmi in macchina due ore e più su quel viale la sera. Mi ero proprio dimenticato.
Fu consapevole che il discorso si era spostato su di lei, anche se si trattava sempre dei suoi sensi di colpa.
- Mi lessi un bel po’ di pagine di un libro che avevi lasciato in macchina. Mi piacque - disse lei, accavallando le gambe sotto il lungo vestito azzurro.
Lui intravide la caviglia snella e il sandalo nero elegante coi laccetti incrociati davanti. Due cose di lei che riassumevano in modo eloquente le sue attrattive. Così acchiappò al volo il pensiero che si era subito presentato.
- E quando ti infilai fra i piedi quell’ombrello, all’uscita del teatro e ti ritrovasti nel fango col tuo bel vestito da sera.
Come lo ricordava bene ora, lucido, morbido e lei che ripescava da terra la sua borsetta, sorpresa, un po’ indispettita. La guardò mentre rideva; come una bambina.
- E più ti indisponevi, più mi veniva da ridere.
Rise anche lui e pensò a come gli faceva piacere che lei fosse tanto più allegra di prima.
- Ma come ti sei ringiovanita! - disse e lo sentì quasi come un complimento galante.
- Sono i fiori - rispose lei contenta. - Pianto fiori, li annaffio, li assortisco nei colori. Mi diverto molto.
- Non eri così prima
- Appunto per questo continuiamo a vivere. Per fare quello che non abbiamo saputo fare prima. In fondo il tempo è stato così breve.
Era calato il silenzio. Lui pensava a quante cose non aveva fatto, a quanto tempo aveva perso stando male con se stesso, alle parole che non aveva detto. Per la verità non gli pareva di avere imparato a essere migliore nemmeno in questo suo ultimo tempo.
- Come vorrei riprovare - disse alla fine parlando più che altro a se stesso. - Riprovare a vivere qui insieme. Forse ora avremmo molte cose da dirci. E’ ingiusto che si impari a vivere quando la vita non c’è più.
Vide che lei si stava dando da fare lì nella stanza. Chiudeva le tende, sistemava la tovaglietta per la cena. Si buttò indietro nella poltrona e con gli occhi stretti la guardava, godendosi la scena. Gli parve anche di sentire un vago odorino di cucina.
Pensò che avrebbe mangiato volentieri la minestra di verdure, come la faceva lei e da ultimo il latte alla portoghese. Suo cugino, che era stato in Portogallo aveva detto che lì lo chiamavano “Dolce all’italiana”.
Sentì, ma era quasi come nel sonno, che lei trafficava per la casa, dava l’aspirapolvere, apriva e chiudeva cassetti. Presto sarebbe entrata nella sua camera, avrebbe aggiustato la coperta del letto, scosso il tappetino, aperto la finestra. Aspettò.
(Pag.31 del libro).
Mercoledì 7 giugno ore 18
giuridico, ma si può anche raccontare in versi e cantare… Intervengono Aldo
Meschini (giurista), Chiara Riondino (cantautrice), Anna Sarfatti (scrittrice).
Introduce Mara Baronti.
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