mercoledì 5 marzo 2008

Colombo, gli indiani e il progresso umano (1)

 Colombo, gli indiani e il progresso umano

 (L'Occidente, il Medio Oriente e il progresso umano)

Uomini e donne arawak, nudi, abbronzati e colmi di meraviglia, accorsero dai villaggi alle spiagge dell'isola e si lanciarono a nuoto per vedere meglio quella grande barca strana. Quando Colombo e i suoi marinai raggiunsero la riva, con le loro spade e la loro parlata bizzarra, gli arawak corsero ad accoglierli portando cibo, acqua, doni. Colombo avrebbe poi scritto sul suo giornale di bordo:

Ci portavano pappagalli, matasse di filo di cotone, zagaglie e tante altre cose e le scambiavano con altre che noi davamo loro, come granelli di vetro e sonagli. Insomma prendevano tutto e davano di quanto avevano con buona volontà L .. ] sono tutti di bella figura, bellissimo corpo e gradevoli nella fisionomia [ ... ] non portano armi, né le conoscono: perché mostrai loro le spade ed essi per ignoranza, prendendole per il taglio, si ferivano. Non hanno alcuna sorta di ferro. Le loro zagaglie sono certe verghe senza ferro [ ... ]. Devono essere buoni e ingegnosi servitori L .. ]. [Le Altezze Vostre] con una cinquantina di uomini li terranno tutti sottomessi e potranno far fare loro tutto ciò che vorranno.

 

Questi arawak delle isole Bahamas somigliavano molto agli indiani della terraferma, che si distinguevano (i viaggiatori europei lo avrebbero ripetuto più volte) per la loro ospitalità, per la volontà di condividere ciò che avevano. Non erano qualità diffuse nell'Europa del Rinascimento, dominata dalla religione dei papi, dal governo dei re, dalla brama di denaro tipica della civiltà occidentale e del suo primo messaggero nelle Americhe, Cristoforo Colombo.

Scrisse Colombo: «E dopo essere giunto nelle Indie, nella prima isola che trovai presi a forza alcuni di essi, perché venissero istruiti e mi dessero notizia di quello che c'era da quelle parti». II navigatore voleva innanzitutto sapere dove si trovava l'oro. Aveva persuaso il re e la regina di Spagna a finanziare una spedizione verso le terre e le ricchezze che pensava di trovare dall' altra parte dell' Atlantico: le Indie, l'Asia, l'oro e le spezie. Infatti, come altre persone della sua epoca, sapeva che la terra è rotonda e che navigando verso ovest si poteva raggiungere l'Estremo Oriente.

La Spagna, unificata di recente, era uno dei nuovi stati nazionali moderni, come la Francia, l'Inghilterra e il Portogallo. I suoi abitanti, per lo più contadini poveri, lavoravano per la nobiltà, che costituiva il 2 percento della popolazione e possedeva il 95 percento della terra. La Spagna si era legata alla chiesa cattolica, aveva espulso tutti gli ebrei e scacciato i mori. Come altri stati moderni, cercava l'oro, che stava diventando il nuovo emblema della ricchezza, più utile della terra perché poteva comprare qualsiasi cosa.

Si pensava che in Asia ci fosse l'oro, oltre alle sete e alle spezie di cui si aveva già la certezza: Marco Polo e altri viaggiatori avevano riportato secoli prima oggetti meravigliosi dalle loro spedizioni via terra. Ora che i turchi avevano conquistato Costantinopoli e il Mediterraneo orientale, e controllavano quindi le vie di terra per l'Oriente, c'era bisogno di una rotta marittima. I navigatori portoghesi stavano esplorando quella che passava per l'estrema punta meridionale dell'America; la Spagna decise di scommettere sulla lunga traversata di un oceano sconosciuto.

In cambio dell'oro e delle spezie che avrebbe riportato, Ferdinando e Isabella promisero a Colombo il 10 percento dei profitti, la carica di governatore delle terre che avrebbe scoperto e la fama che avrebbe accompagnato un nuovo titolo creato per lui: ammiraglio del Mare Oceano. Colombo era agente di un mercante di Genova, talvolta lavorava come tessitore (il mestiere di suo padre) ed era un marinaio esperto. Salpò con tre caravelle, la più grande delle quali era la Santa Maria, lunga una trentina di metri e con un equipaggio di trentanove uomini.

Non avrebbe mai potuto raggiungere l'Asia, che era migliaia di miglia più distante di quanto avesse calcolato, immaginando una terra più piccola. Quella immensa distesa d'acqua lo avrebbe condannato a morte. Ma fu fortunato; percorso un quarto del cammino, si imbatté  in una terra ignota e inesplorata situata fra l'Europa e l’Asia: le Americhe. Era l'inizio di ottobre del 1492, trentatre giorni dopo l che lui e il suo equipaggio avevano  lasciato le isole canarie, al largo della costa atlantica dell’Africa.

…Poi, il 12 ottobre, un marinaio di nome Rodrigo vide brillare la luna del primo mattino sulla sabbia bianca e gridò. Era un'isola delle Bahamas, nel Mar dei Caraibi. Al primo uomo che avesse avvistato la terra era stata promessa una pensione vitalizia di diecimila maravedì, ma Rodrigo non la ebbe mai: Colombo affermò di aver visto una luce la sera precedente, e la ricompensa toccò a lui.

Così, mentre si avvicinavano alla riva, furono accolti dagli indiani arawak, che uscirono a nuoto per dare loro il benvenuto. Gli arawak vivevano in villaggi comunitari, avevano un'agricoltura sviluppata, coltivavano mais, batata e manioca. Sapevano filare e tessere, ma non avevano cavalli né animali da lavoro. Non conoscevano il ferro, ma portavano alle orecchie piccoli ornamenti d'oro.

Questa usanza avrebbe avuto conseguenze di grande portata: indusse Colombo a condurre alcuni di loro a bordo come prigionieri, perché voleva che lo guidassero dove si trovava l'oro. Poi navigò fino all' attuale Cuba e quindi a Hispaniola (l'isola che oggi comprende Haiti e la Repubblica Dominicana). Qui, scorgendo tracce d'oro nei fiumi e ricevendo da un capo locale una maschera aurea, cominciò a sognare campi auriferi.

A Hispaniola, con il legname della Santa Maria, che si era incagliata, Colombo costruì un forte, la prima base militare europea nel continente americano. Lo chiamò Navidad (Natale) e vi lasciò trentanove uomini dell' equipaggio, con l'ordine di trovare e raccogliere l'oro.  Prese altri prigionieri indiani e li portò a bordo delle due navi rimanenti. In una località dell'isola ebbe una scaramuccia con alcuni indiani che rifiutavano di scambiare tutti gli archi e le frecce che lui e i suoi uomini volevano; due arawak furono passati da parte a parte con le spade e morirono dissanguati. Poi la Nina e la Pinta salparono per le Azzorre e la Spagna. Quando il clima si fece più freddo, i prigionieri indiani cominciarono a morire.

A corte, a Madrid, Colombo fece racconti esagerati. Sostenne di aver raggiunto l'Asia (si trattava di Cuba) e un'isola allargo della costa cinese (Hispaniola). Le sue descrizioni erano in parte reali, in parte inventate:

La Hispaniola è una meraviglia: le catene di monti, le montagne, i terreni coltivabili, le campagne e le terre cosi belle ed ampie [ .. ,]. I porti del mare di qui sono incredibili se non si vedono e i fiumi sono molti e grandi, buone le acque e la maggior parte di essi porta oro [ .. ,] ci sono molte spezie e grandi miniere d'oro e di altri metalli.

 

Gli indiani, riferì Colombo, erano «così sinceri e così generosi con ciò che possiedono, che non lo può credere se non chi lo vede. Non dicono mai di no, se uno glielo chiede, di qualunque cosa abbiano, anzi con l'occasione invitano la persona». La sua relazione si concludeva chiedendo alle loro maestà un piccolo aiuto, in cambio del quale, con il viaggio successivo, avrebbe riportato «oro quanto ne avranno bisogno» e «schiavi quanti vorranno». I suoi discorsi erano pieni di slanci religiosi e di riferimenti all' «eterno Dio Nostro Signore, che dà a tutti quelli che seguono la sua strada la vittoria in cose che sembrano impossibili».

Grazie alla relazione e alle promesse esagerate di Colombo, la sua seconda spedizione poté contare su diciassette navi e su oltre milleduecento uomini. Lo scopo era chiaro: procurare schiavi e oro. Nei Caraibi passarono da un'isola all' altra catturando prigionieri indiani. Quando però si diffuse la notizia delle loro intenzioni, gli europei trovarono sempre più spesso villaggi deserti. Ad Haiti scoprirono che i marinai lasciati a Forte Navidad erano stati uccisi in una battaglia con gli indiani, dopo che avevano imperversato in lungo e in largo nell'isola alla ricerca dell'oro, portando via donne e bambini come schiavi da sfruttare per il sesso e il lavoro.

Dalla sua base ad Haiti, Colombo inviò nell' entroterra una spedizione dopo l'altra. Non trovarono campi auriferi, ma dovevano pur riempire le navi di ritorno in Spagna con qualche tesoro. Nel 1495 condussero una grande razzia di uomini, donne e bambini arawak: ne catturarono millecinquecento, li chiusero in recinti sorvegliati dagli spagnoli con i cani, poi scelsero i cinquecento esemplari migliori da caricare sulle navi. Duecento di loto morirono durante il viaggio; gli altri arrivarono in Spagna e furono messi in vendita dall' arcidiacono della città, il quale riferì che, sebbene fossero «nudi come il giorno in cui erano nati», gli schiavi si mostravano privi di vergogna «come animali». Colombo avrebbe poi scritto: «In nome della Santa Trinità, continuiamo a inviare tutti gli schiavi che si possono vendere.

Ma troppi schiavi morivano in cattività, perciò Colombo, mosso dalla necessità di garantire un profitto a chi aveva finanziato l'impresa, doveva mantenere la promessa di riempire d'oro le navi. Nella provincia di Cicao, ad Haiti, dove lui e i suoi uomini pensavano che esistessero enormi campi auriferi, ordinarono a tutte le persone dai quattordici anni in su di raccogliere e consegnare ogni tre mesi una certa quantità d'oro. In cambio ricevevano dischetti di rame da appendere al collo. Agli indiani trovati senza dischetti venivano mozzate le mani e li si lasciava morire dissanguati.

 

Gli autoctoni avevano ricevuto un compito impossibile. Il solo oro presente nella zona era quel poco di polvere che si riusciva a raccogliere nei corsi d'acqua. Così fuggivano, ma venivano inseguiti con i cani e uccisi.

Quando tentavano di organizzare una resistenza, gli arawak si trovavano di fronte spagnoli protetti da armature, con moschetti, spade e cavalli. Quando gli europei prendevano prigionieri, li impiccavano o li bruciavano vivi. Gli arawak cominciarono a suicidarsi in massa con un veleno ricavato dalla manioca; uccidevano anche i neonati per "salvarli" dagli spagnoli. Nel giro di due anni, metà dei duecentocinquantamila indiani di Haiti era morta a causa degli assassini, delle mutilazioni e dei suicidi.

Quando fu chiaro che non rimaneva altro oro, gli indiani furono utilizzati come schiavi in grandi latifondi divenuti poi noti come encomiendas. Erano costretti a lavorare a ritmi massacranti e morivano a migliaia. Nel 1515 rimanevano forse cinquantamila indiani; nel 1550 erano ridotti a cinquecento. Da una relazione del 1650 si ricava che sull'isola non rimaneva nemmeno un arawak.

La fonte principale e per molti aspetti unica di informazioni su ciò che accadde in quelle isole dopo la partenza di Colombo è Bartolomé de Las Casas, un giovane prete che partecipò alla conquista di Cuba. Per un certo periodo fu proprietario di una piantagione coltivata da schiavi indigeni, ma se ne disfece e divenne un critico convinto della crudeltà degli spagnoli. Las Casas trascrisse il giornale di bordo di Colombo e dopo i cinquant'anni cominciò una Storia delle Indie in più volumi.

Nella società indiana, le donne erano trattate così bene che gli Spagnoli ne furono stupiti. Las Casas descrive i rapporti tra i sessi:

Non esistono leggi sul matrimonio: uomini e donne ugualmente scelgono i propri compagni e li lasciano a proprio piacimento, senza offesa, gelosia o rancore. Si moltiplicano assai abbondantemente; le donne gravide lavorano fino all'ultimo e partoriscono quasi senza dolore; in piedi il giorno successivo, si bagnano nel fiume e sono pulite e sane come prima di partorire. Se si stancano del proprio uomo, si procurano aborti con erbe che provocano la nascita di un bambino morto, coprendo le parti vergognose con foglie o  stoffa di cotone; anche se in genere gli  uomini e le donne indiani vedono la nudità totale con la stessa indifferenza con cui noi guardiamo la testa o le mani di un uomo.

 

Gli indiani, racconta Las Casas, non attribuiscono valore all'oro e ad altre cose preziose:

 Mancano di qualsiasi forma di commercio, non comprano e non vendono e contano solo sul loro ambiente naturale per il sostentamento. Danno con estrema generosità ciò che possiedono e per la stessa ragione agognano i beni dei loro amici e si aspettano lo stesso grado di liberalità.

 

Las Casas descrive il trattamento che gli spagnoli riservano agli indiani:

Infinite testimonianze [ ... ] confermano che i nativi hanno un temperamento mite e pacifico [. .. ]. Ma la nostra opera è stata esasperare, devastare, uccidere, dilaniare e distruggere; non sorprende, allora, che di tanto in tanto tentassero di uccidere uno di noi [ ... ]. L'Ammiràglio, certo, fu cieco come quelli che sono venuti dopo di lui e tanto ansioso di compiacere il Re che commise crimini irreparabili contro gli indiani.

 

Il dominio totale produceva crudeltà totale. Gli spagnoli «non esitavano ad accoltellare gli indiani dieci o venti alla volta e a tagliarli a fette per provare il filo delle loro lame». Las Casas narra che «un giorno due di questi cosiddetti cristiani incontrarono due fanciulli indiani, ciascuno dei quali recava un pappagallo; presero i pappagalli e per divertimento decapitarono i fanciulli».

Mentre gli uomini nativi venivano inviati nelle miniere a molti chilometri di distanza, le loro donne erano utilizzate per l'agricoltura,costrette a svolgere faticosissimi lavori di sterro per creare migliaia di collinette destinate alla coltivazione della manioca:

I mariti e le mogli si riunivano solo una volta ogni otto o dieci mesi e quando si incontravano erano entrambi così esausti e sconfortati  che cessavano di procreare. Quanto ai neonati, morivano presto, perché le madri, stremate e affamate, non avevano latte e per questa ragione, mentre ero a Cuba, morirono settemila bambini in tre mesi. Alcune madri giungevano ad affogare i propri neonati per pura disperazione [ .. .]. Perciò i mariti morivano nelle miniere, le mogli morivano sul lavoro e i bambini morivano per mancanza di latte  e in breve tempo questa terra che era così grande, possente e fertile [ .. .] fu spopolata L.,]. I miei occhi hanno veduto questi atti così estranei alla natura umana e ora fremo mentre scrivo.

 

Al momento del suo arrivo a Hispaniola nel 1508, racconta Las Casas, «vivevano su quest’isola    sessantamila persone, inclusi gli indiani; quindi dal 1494 al 1508 più di tre milioni di persone erano  perite a causa della guerra, della schiavitù, delle miniere.Chi tra i posteri potrà crederlo?».

Cominciò così, cinquecento anni fa, la storia dell'invasione europea degli insediamenti indiani delle Americhe, una storia di conquista, di schiavitù e di morte. Nei libri di storia studiati da generazioni di bambini statunitensi, tutto ha inizio con un'avventura eroica, senza spargimento di sangue, e il Columbus Day è una data da celebrare. Solo in anni recenti si sono visti piccoli segni di cambiamento.

Dopo le scuole elementari e secondarie si potevano trovare tracce di una storia diversa. li più autorevole specialista su Colombo era lo storico di Harvard Samuel Eliot Morison, autore di una biografia in più volumi e navigatore che aveva ripercorso personalmente la rotta di Colombo attraverso l'Atlantico. Nel suo noto libro Cristoforo Colombo uomo di mare, scritto nel 1954, diceva a proposito dell'asservimento e dell'uccisione degli indiani: «La crudele politica inaugurata da Colombo e proseguita dai suoi successori portò al genocidio totale».

Ma si tratta di un unico accenno, in una pagina sepolta a metà della narrazione di una grande avventura romantica. Nell'ultimo capoverso del libro, Morison riassume la sua idea di Colombo:

Aveva le sue pecche e i suoi difetti, ma in larga misura coincidevano con le stesse qualità che lo rendevano grande: la volontà indomabile, la grandiosa fede in Dio e nella propria missione di portatore di Cristo nelle terre d'oltremare, l'ostinata perseveranza, anche quando era ignorato, povero e scoraggiato. Ma non vi erano macchie o lati oscuri nella sua qualità più sostanziale e notevole, quella di navigatore.

 

Sul passato si può mentire direttamente, oppure si possono omettere fatti che suggerirebbero conclusioni inammissibili. Morison non sceglie di mentire su Colombo, e non tace sulle uccisioni di massa, anzi le definisce con il termine più pesante: genocidio.

Ma fa anche qualcos' altro. Accenna rapidamente alla verità e poi passa a ciò che più gli importa. La menzogna aperta, così come l’omissione, rischia infatti di essere scoperta e di indurre il lettore a diffidare dell'autore. Esporre i fatti seppellendoli sotto una massa di altre notizie, invece, è come dire al lettore con una noncuranza contagiosa: sì, lo sterminio c'è stato, ma non è poi così importante; non deve pesare troppo sul nostro giudizio finale, né influenzare ciò che facciamo.

Howard Zinn, Storia del popolo americano dal 1492 a oggi. Il Saggiatore, Milano 2007 Pag. 9-15

1 commento:

  1. Ciao! Bello il tuo blog.

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