Anna a Napoli nel 1951
La prima da destra
Ieri sera, giovedi 17 aprile, ad Anno Zero (**)- la trasmissione di Santoro - nelle riprese fatte al Circolo Arci di Via Maccari, qui all'Isolotto, dove il PD ha avuto più del 60% dei voti (v. post precedente) era l'anziana donna che indicava l'immagine di Enrico Berlinguer appesa alla parete, con affetto e rimpianto, ma anche con determinazione. Eccola qui nel racconto di Franco Quercioli, altro pezzo forte della storia di questo quartiere.
(**) dovresti poterla vedere qui. (8 minuti dopo l'inizio della trasmissione)
Non aveva ancora quindici anni quando l’Anna Sbandati cominciò a portare i pacchi dei volantini antifascisti da via della Vigna Nuova, dove faceva la bardottina in un laboratorio di pellicce, fino alla Querce, in via Palazzo dei Diavoli, dove abitavano i Dolfi, un vero e proprio centro clandestino che copriva la zona Isolotto-Monticelli. Gli Sbandati stavano infatti nelle case popolari di via Annibal Caro.
L’Anna era una morettina agile e smilza con gli occhi neri e vivaci e i calzini bianchi che dimostrava quindici anni anche quando ne ebbe di più. Cosa che le servì in seguito durante l’emergenza per passare inosservata tra le pattuglie tedesche e fasciste che vigilavano la zona, quando in bicicletta portava a casa dei Dolfi borse piene di roba per i partigiani, ai quali si era unito suo fratello Armido dopo l’8 settembre del quarantatre. “ Mi capitò anche di conoscere Aligi Barducci, che poi sarebbe stato Potente, il famoso comandante partigiano. Era un bel giovane biondo con gli occhi azzurri con un fare quasi aristicratico, molto riservato, quasi timido al punto che i suoi compagni all’inizio non sapevano come comportarsi.”
Potente era del Pignone, stava in via Benozzo Gozzoli, vicino a casa sua. Quando Armido fu ferito da una bomba a mano dei fascisti mentre in piedi sul predellino della macchina transitava da via Antonio Del Pollaiolo, l’Anna lo seguì prima all’ospedale militare di Monte Uliveto, poi a quello di Siena e lo assistette finchè non fu guarito.
Finita la guerra cominciò a fare volontariato alla Federazione del PCI. Un giorno il Rossi, il segretario, la chiamò per assegnarle un incarico: organizzare i Pionieri, il nascente movimento dei ragazzi che il PCI aveva deciso di promuovere in tutta Italia. Nell’aprile del ’49 la spedirono a Barberino di Mugello ad un corso di formazione che durò più di un mese. Una quarantina di giovanotti e ragazze di varie parti d’Italia. Il direttore del corso, un certo Gianni Rodari, già noto per i suoi racconti sull’Unità, veniva appunto dalla redazione di Milano.
“Quella mattina si aspettava questo Rodari, quando dalla stradina sterrata che portava al casolare che il sindaco di Barberino ci aveva messo a disposizione, si vide salire un giovane con la valigia, piccolo di statura e un po’ dismesso. Arrivato su, si presentò – Sono Gianni Rodari – Ti facevo più grande – gli dissi e lui – Mi fai un complimento, gli dissero così a Gramsci, i compagni, quando arrivò al carcere di Turi - ”.
Da allora l’Anna cominciò a girare per la provincia di Firenze. Spuntarono Pionieri dovunque ci fosse una Casa del Popolo o una sezione del PCI. Ragazze e ragazzi dagli otto ai tredici anni con il fazzoletto rosso al collo e tanta voglia di giocare, di fare teatro e sport, di cantare insieme, di fare escursioni specie nei giorni festivi e nelle vacanze. E poi “La storia di un pugnello di grano” ovvero il grano raccolto dai Pionieri toscani, una campagna di solidarietà per i bambini di Napoli afflitti dal tracoma, una malattia che viene solo agli occhi dei poveri. Ed è proprio nei “bassi” di Napoli che l’Anna si trova l’anno dopo insieme ad altri giovani animatori, in gran parte toscani ed emiliani, per un’estate di iniziative. “Erano proprio squignizzi, un po’ lazzeroni ma simpatici. Si fecero tante cose: giochi, musica e canto, sport e, aiutati dai compagni universitari della città, anche un po’ discuola, perché tanti di quei bambini erano analfabeti. Alla fine si organizzò la festa finale con Gianni Rodari, in un teatro; me ne ricorderò fin che campo”. A Napoli si fece anche una notte nel carcere di Poggioreale per aver manifestato contro il generale Ridgeway, arrivato a Napoli, dalla guerra di Corea. “Io ebbi il compito di buttare verso di lui una bandiera gialla in segno di disprezzo e i poliziotti mi presero subito, fu una notte piena di pensieri, stavo in pena soprattutto per la mamma. Ma la mattina ci fu la sorpresa, arrivò il compagno Cacciapuoti insieme ad altri compagni con un bel mazzo di garofani rossi e mi portò fuori”.
Quando a Roma fu deciso di creare “ Il Pioniere” il giornale per i ragazzi, un’alternativa al Corriere dei Piccoli e al Vittorioso, fu chiamata in via Piemonte, dove era la sede dell’associazione, per una riunione con Enrico Berlinguer che allora era il segretario della federazione giovanile comunista. C’erano i massimi dirigenti dell’associazione: Carlo Pagliarini, Tina Rinaldi, Gianni Rodari e un certo Francia. “Enrico era un giovane affascinante, gli occhi stretti, luminosissimi ed il sorriso arguto e gentile, mi colpì profondamente. Mi sembrava di averlo partorito io, da quanto lo sentivo simile ad una parte di me”. Con Gianni Rodari nacque anche un amore. “Si stette fidanzati per qualche mese, finchè nell’estate del ’51, mi mandarono a Budapest al campo internazionale dei Pionieri. Fu un esperienza bellissima, conobbi giovani e ragazze di tutti i paesi del mondo. Mi ricordo sempre di due giovani arabi che essendo musulmani non potevano mangiare la carne di maiale, ma una sera che avevano fame, si tolsero gli zuccotti che avevano sulla testa e la mangiarono. L’Ungheria si stava riorganizzando. Era finita la guerra da pochi anni e c’era un clima di speranza per il futuro. Gianni era rimasto in Italia a fare il suo primo libro, e ci scrivevamo spesso. Ma quando arrivò una sua lettera con dentro la mia e gli errori segnati, compresi che non era l’uomo adatto e ci lasciammo. Però siamo rimasti sempre in amicizia. Poco dopo mi fidanzai con Oliviero e nel ’52 ci sposò Mario Fabiani, in Palazzo Vecchio”.
Anna Sbandati Cardinali lasciò i Pionieri e cominciò a fare volontariato nell’Unione Donne Italiane, seguì i problemi delle donne in fabbrica ma continuò ad occuparsi dei bambini del loro diritto alla scuola e all’istruzione. Fu proprio alla testa di una delegazione di mamme che richiedevano l’istituzione di una scuola che conobbe il Sindaco La Pira. “Mi resi conto subito di avere di fronte un uomo eccezionale, soprattutto per come trattava le persone, le faceva sentire importanti e avevi la sensazione che ti ascoltasse davvero e capisse i tuoi problemi. Anche Fabiani era stato un grande sindaco ma era diverso, era come dire più severo, più rigoroso, come i comunisti di una volta, La Pira era più spirituale ma anche più allegro e spontaneo”
La storia continua qui
(nella foto, al centro in piedi)
Nessun commento:
Posta un commento