martedì 15 aprile 2008

Il golpe

Stavo pensando

(cogitanti mihi saepenumero et memoria vetera repetenti, Quinte frater)


L'eliminazione in toto e come per incanto della sinistra dal Parlamento rende evidente che ci troviamo pari pari di fronte a un golpe. Un golpe bianco rispetto al sangue che non c'è stato, ma vero; tanto più pericoloso perché strisciante nel senso che è arrivato strisciando, presentandosi non con le zanne della iena ma con il grugno del porco o porcellum. La sinistra è stata fatta fuori in anestesia totale della società una volta chiamata civile. Dove si dimostra che Beppe Grillo va preso sul serio quando grida all'esproprio del nostro fondamentale diritto, quello di scegliersi i dipendenti. Beppe Grillo fa i suoi sbagli come tutti, ma la sua funzione è essenziale e va aiutato condiviso e difeso, sia pure  con qualche se e con pochi ma. Le sue analisi e previsioni vanno fatte uscire dall'etere del blog più letto in Italia e per il vasto mondo e vanno poste sulla terra, insieme ad Arcoiris, lasciando il posto rimasto libero in cielo a rete 4. Piedi in scarpe comode per i giovani, mani al portafoglio per noi anziani.


by Marcus Tullius Cicero (dedicato, con simpatia e affetto, a Romano, mio contemporaneo)

 I. 1. Cogitanti mihi saepenumero et memoria vetera repetenti perbeati fuisse, Quinte  frater, illi videri solent, qui in optima re publica, quom et honoribus et rerum gestarum gloria florerent, eum vitae cursum tenere potuerunt, ut vel in negotio sine periculo vel in otio cum dignitate esse possent. Ac fuit cum mihi quoque initium requiescendi atque animum ad utriusque nostrum praeclara studia referendi fore iustum et prope ab omnibus concessum arbitrarer, si infinitus forensium rerum labor et ambitionis occupatio cursu honorum etiam aetatis flexu constitisset. 2. Quam spem cogitationum et consiliorum meorum cum graves communium temporum tum varii nostri casus fefellerunt. Nam qui locus quietis et tranquillitatis plenissimus fore videbatur, in eo maxumae moles molestiarum et turbulentissumae tempestates extiterunt; neque vero nobis cupientibus atque exoptantibus fractus otii datus est ad eas artis, quibus a pueris dediti fuimus, celebrandas inter nosque recolendas. 3. Nam prima aetate incidimus in ipsam perturbationem disciplinae veteris et consulatu devenimus in medium rerum omnium certamen atque discrimen et hoc tempus omne post consulatum obiecimus [iis] fluctibus qui per nos a communi peste depulsi in nosmet ipsos redundarent. Sed tamen in eis vel asperitatibus rerum vel angustiis temporis obsequar studiis nostris et quantum mihi vel fraus inimicorum vel causa amicorum vel res publica tribuet otti ad scribendum potissimum conferam. 4. Tibi vero, frater, neque hortanti deero neque roganti. Nam neque auctoritate quisquam apud me plus valere te potest neque voluntate.

(De Oratore Liber Primus by Marcus Tullius Cicero)


Quando frequentemente rifletto e richiamo con la memoria i tempi andati, Quinto fratello mio, di solito mi sembra che siano stati molto felici e molto fortunati quegli uomini che, nell’età più fiorente della repubblica, insigni per le cariche rivestite e per la gloria delle loro imprese, riuscirono a condurre il corso della loro esistenza in modo tale da potere partecipare alla vita pubblica senza pericolo e godersi poi con dignità la quiete della vita privata; e ci fu un tempo in cui pensavo che anche a me sarebbe stato, per così dire, concesso da tutti il diritto di cominciare a riposarmi e di volgere l’animo ai nobili studi cari a entrambi noi, una volta che, chiusa la carriera politica e giunto alla soglia della vecchiaia, fossero venute meno le infinite fatiche del foro e le preoccupazioni elettorali. [2] Ma da una parte le tristi condizioni dello stato e dall’altra diverse vicende personali resero vani le speranze e i progetti che nutrivo; infatti, proprio nel periodo che sembrava dovesse essere il più ricco di pace e tranquillità, sorsero le più numerose e le più gravi difficoltà e le più violente tempeste e, benché lo desiderassi con tutto il cuore, non mi fu dato il vantaggio del tempo libero per praticare quelle discipline cui fui avviato fin da bambino e per riprenderle assieme a te. [3] Infatti, da giovane mi vidi coinvolto proprio nello sconvolgimento dell’antica costituzione e da console fui trascinato in una lotta decisiva per l’esistenza dello stato, e tutti questi anni successivi al consolato li ho impiegati per oppormi a quei flutti, la cui incombente minaccia fu grazie a me stornata dalla comunità e che su di me dovevano finire per rovesciarsi. Nondimeno, pur in queste condizioni avverse e nonostante il poco tempo a disposizione, mi dedicherò agli studi che ci stanno a cuore, e tutto il tempo che mi concederanno l’ostilità degli avversari, gli interessi degli amici e la politica, lo dedicherò soprattutto allo scrivere; [4] comunque, non vorrei venir meno alle tue esortazioni e preghiere, caro fratello, perché non c’è altra persona che abbia su di me più autorità e influenza di quanto ne hai tu.


Caro amico e fratello Tullio Romano! Il miglior modo di difendersi è quello di attaccare. O sbaglio? Urb. Quintus.


Appendice  ( Dal blog di Riccardo Orioles)

< Io Romano, fig.lo del quondam Mario Prodi di Bologna, dell'età mia d'anni 68, constituto personalmente in giudizio, e inginocchiato avanti di voi Emin.mi e Rev.mi Cardinali, giuro che sempre ho creduto, credo adesso, e con l'aiuto di Dio crederò per l'avvenire, tutto quello che tiene, predica e insegna la Ss.ma Cattolica e Apostolica Chiesa. Ma da questo Santo Offizio, per aver tenuto, difeso e insegnate in voce e in scritto, la falsa dottrina che i cittadini siano eguali fra loro, sono stato giudicato veementemente sospetto d'eresia.



Pertanto volendo io levar dalla mente delle Eminenze Vostre e d'ogni fedel Cristiano questa veemente sospizione, giustamente di me conceputa, con cuor sincero e fede non finta abiuro, maledico e detesto li sudetti errori e eresie, e generalmente ogni e qualunque altro errore, e eresia e setta contraria alla S.ta Chiesa; e giuro che per l'avvenire non dirò mai più né asserirò, in voce o in scritto, cose tali per le quali si possa aver di me simile sospizione; ma se conoscerò alcun eretico o che sia sospetto d'eresia lo denonzierò a questo S. Offizio, o vero all'Inquisitore o Ordinario del luogo, dove mi trovarò.



Giuro anco e prometto d'adempire e osservare intieramente tutte le penitenze che mi sono state o mi saranno da questo S. Offizo imposte; e contravenendo ad alcuna delle dette mie promesse e giuramenti, il che Dio non voglia, mi sottometto a tutte le pene e castighi che sono da' sacri canoni e altre constituzioni generali e particolari contro simili delinquenti imposte e promulgate.

Io Romano Prodi sodetto ho abiurato, giurato, promesso e mi sono obligato come sopra; e in fede del vero, di mia propria mano ho sottoscritta la presente cedola di
mia abiurazione e recitatala di parola in parola, in Roma, nel convento della Minerva, questo dì 15 aprile 2008. >


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