domenica 1 aprile 2007

Moni Ovadia


  



Visto ieri sera al Puccini. All'apertura del sipario si presenta un quartetto di giovani con due violini, una viola, il contrabbasso. Bella musica, un po' diversa, molto bravi. Poi arriva Moni. Si scusa per il leggero ritardo, ma hanno aspettato un'ora e un quarto alla stazione il taxi che non è arrivato (!?), sono stati portati al teatro dallo staff del Puccini. Ha la voce roca, causata da un attacco "antisemita" alle sue corde vocali. Poi ci spiega la liturgia ebraica, la Thora, la bibbia, il santo benedetto...Grande umanità, grande intelligenza, coi tempi che corrono. Un po' lungo l'intrattenimento, quasi due ore. Mi sono piaciute le barzellette morali sugli ebrei, grande affabulatore, soprattutto mi ha fatto conoscere Soeur Marie Keyrouz, parlandone con una grande ammirazione e cognizione di causa. Indimenticabile il canto di Marie accanto alla madre del bambino appena ucciso in una strada di Beirut...Dopo quella esperienza Suor Sorriso cominciò a cantare in pubblico.

Il quartetto veramente grande, meglio quando non accompagnato dalla sua voce al momento afflitta dalla raucedine antisemita. Fatta eccezione per l'ultima esecuzione, non ne so indicare il nome, un grande lamento nostalgico che richiamava il ghetto di Varsavia e suoi dintorni euro-orientali - Mariella se lo sai spiegare meglio di me, mettilo nel commento -

Scrivo ascoltando un canto di Soeur Marie Keyrouz regalato dal suo sito. Per te, mio pellegrino lettore, metto un paio di schede illustrative. Con le mie scuse, per questa relazione assolutamente inadeguata..


Prima scheda

Moni Ovadia e Arkè String Project in

KAVANÀH canti della spiritualità ebraica

- Moni  Ovadia, voce

- Carlo Cantini, violino

- Valentino Corvino, violino

- Sandro di Paolo, viola

- Stefano Dall’Ora, contrabbasso


“Kavanàh”, che significa “partecipazione” al canto, raccoglie brani di differente ispirazione, partendo dagli inni sacri ebraici della sinagoga per arrivare a quelli di tradizione tzigana. Voci lontane accomunate nell’esaltazione dell’amore  per il divino, linguaggi differenti che si intrecciano nella medesima partecipazione.

“La Toràh racconta che l’universo è stato creato dalla parola del Santo Benedetto: “Disse luce e luce fu”. Lo strumento della creazione è la voce dell’Onnipotente.

La creazione è dunque un fenomeno acustico così come in seguito lo sarà la rivelazione ad Abrahamo prima, a tutto il popolo ebraico poi, nel deserto del Sinai: “Avete udito una voce, solo una voce”. Non c’è teofania nel monoteismo ebraico ma “teofonia”. Dio si manifesta con una voce ed è la sua parola parlata che consente sia la creazione, sia la rivelazione.

Che differenza c’è fra la parola scritta che custodisce il patto e la legge, e quella parlata che crea e rivela? La risposta è semplice anche se non evidente: il suono, il canto.

Il canto conferisce dunque statuto generativo alla parola.

I maestri della cabalàh, la mistica ebraica, osservano che la prima parola della Torah, “in principio” - bereshit in ebraico - contiene uno straordinario anagramma: taev shir, voluttà di un canto. Si può poeticamente affermare con i cabalisti, che il mondo è stato creato per la voluttà di un canto. I cabalisti ci segnalano anche che l’ultima parola del pentateuco, la legge biblica, israel, contiene un ulteriore potente anagramma: shir el, canto a Dio. Come una culla, il canto culla la legge. Il canto è lo strumento principe della comunicazione interiore, il canto è la prima gemmazione della nostra identità quando appariamo alla luce uscendo dal ventre materno. Ancora non vediamo, non sentiamo, eppure già cantiamo, urliamo il nostro hinneni, il nostro “eccomi” e, vagito dopo vagito, vocalizzo dopo vocalizzo, sillaba dopo sillaba, conquistiamo la lingua mettendoci in cammino per il canto. In seguito perderemo la grazia di quel canto interiore perché saremo imprigionati in un contesto di apprendimento burocratico e rigidamente normativo.

La cantoralità ebraica, khazanuth, una delle grandi arti della spiritualità monoteista, ci consente di riprendere il viaggio nei territori profondi dell’animus umano dove si manifestano le pulsioni primarie a costruire senso nelle proprie emozioni e nelle strutture profonde del sentimento. Per questo lo strumento interpretativo più importante del cantore è la kavanàh, la partecipazione, l’adesione al canto come dialogo intimo con l’urgenza del divino in presenza come in assenza”
. [Moni Ovadia]



Seconda scheda



Soeur Marie Keyrouz è una suora libanese delle sorelle di san Basilio.

Soeur Marie è accompagnata da un gruppo, che ha chiamato 'Ensemble de la Paix', composto da musicisti e coristi di religioni diverse - cristiani, ebrei e musulmani - e di differenti nazionalità: proprio quelle religioni e nazionalità tra le quali le tensioni oggi sono più forti. Il suo scopo è infatti quello di esprimere attraverso il canto la sua preghiera per la pace, per la tolleranza, per il compimento di un cammino ecumenico. Alla preghiera soeur Marie affianca le opere: fermamente convinta che l'ignoranza e la povertà siano alla base delle tensioni sociali e delle guerre, con i proventi della sua attività artistica, sostiene concretamente, attraverso la sua congregazione, un programma di scolarizzazione per bambini in diverse parti del mondo, soprattutto rivolto alle piccole vittime della guerra, che con grande amore chiama "mes orphelins". Laureata in antropologia religiosa e musicologia, diplomata in canto classico sia orientale sia occidentale, ricercatrice e compositrice, soeur Marie Keyrouz ha saputo porre il canto e la musica al servizio della propria vocazione religiosa, dando vita a una figura di grande fascino, che sa trasmettere in modo naturale l'emozione della sua più intima spiritualità insieme alle proprie radicate convinzioni. La sua voce è coinvolgente, la sua musica è unica. Suor Marie ha sviluppato un genere musicale che, mentre si rifà alle antiche sorgenti del canto sacro orientale, nello stesso tempo è fortemente innovativo, per la capacità di fondere quelle radici con la più genuina tradizione occidentale. Ne sono testimonianza anche gli strumenti delle due culture che nei suoi concerti coesistono con un'armonia perfetta. Un'armonia che è anche in qualche modo un simbolo della missione di suor Marie: dimostrare attraverso il canto che non esistono contrapposizioni tra uomini, culture e religioni, ed esprimere il suo grande desiderio di tolleranza, di ecumenismo, di pace.


Ecco alcuni suoi dischi (tutti molto belli e di grande fascino ed ispirazione):


Chant Byzantin: Chant Traditionnel Maronite

Chants sacrés de l'Orient (tradition melchite)

Chant Byzantin- Passion et Resurrection

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