Corsi e ricorsi storici
oppure
Andava meglio quando andava peggio?
Quest’anno passeremo il mese di Maggio in Andalusia, e precisamente a Jimena de la frontera, vicino a Gibilterra e Algesiras, col sistema ormai collaudato dello scambio casa. Naturale quindi che Paola e Barbabianca comincino ad interessarsi di questa parte d’Europa. E’ così che abbiamo imparato che i tanti paesi della zona che finiscono con de la frontera si trovavano sul confine col Regno moresco di Granada, di cui tutti conosciamo l’Alhambra. Andremo naturalmente a rivederlo. Ma ciò che mi ha spinto a scrivere il presente post è quanto sto leggendo sulla guida turistica dell’Andalusia, comprata da Marzocco, prima che questa storica gloriosa libreria fiorentina chiudesse i battenti per fallimento ( roba di questi giorni). Zona centrale tra Via Cavour e Via Martelli, a due passi dalla Cupola del Brunelleschi: ci faranno un’altra banca?
Ecco quindi tre paginette della Guida turistica, scannerizzate e formattate alla meglio:
La nuova tolleranza
Dal momento in cui Tarik, capo berbero, nel 711 sbarcò per la prima volta a Gibilterra, trascorsero solamente tre anni prima che la gran parte della Spagna finisse sotto il dominio islamico. Tra i motivi fondamentali che favorirono il successo incredibilmente rapido del conquistatore nomade c’era anche la situazione interna del regno visigoto, sconvolto da intrighi e internamente diviso, I nuovi dominatori non avrebbero infatti potuto prender piede così velocemente se non fossero stati appoggiati dalla popolazione locale. Quasi nessuno era pronto a lottare per il dominatore visigoto, mentre molti parevano disposti ad accogliere l’invasore musulmano. Cosa ancor più facilmente comprensibile se si pensa che lo strato più ampio della popolazione locale era dominato da una minoranza di nobili visigoti. Gli ebrei soffrivano invece molto la pressione della Chiesa, attraverso la quale i Visigoti esercitavano il loro potere. Entrambi i gruppi aiutarono così i Berberi nella conquista della penisola.
A differenza dei Visigoti, i nuovi dominatori tessevano contatti con la popolazione e la trattavano in modo più tollerante e senza fare discriminazioni. Pur essendosi sottomessi all’autorità islamica, cristiani ed ebrei potevano praticare il proprio culto e mantenere aperte chiese e sinagoghe. Accanto alle tasse patrimoniali che tutti dovevano pagare, questi gruppi erano tenuti a versare un’imposta particolare per poter essere esonèrati dal servizio militare. Le comunità possedevano una propria giurisdi
zione e venivano anche rappresentate presso il governo musulmano.
Grazie a questo modello di tolleranza, davvero unico nel panorama occidentale delle nazioni cristiane, si venne a formare una società in cui musulmani, ebrei e cristiani mozarabi, cioè cristiani convertitisi all’islamismo, che pur conservando la propria fede avevano assunto usi e costumi islamici, convivevano pacificamente.
I musulmani giunti in Spagna potevano anche sposare donne cristiane e formare così con le figlie dei vinti nuove famiglie. Inoltre, gli stessi conquistatori erano un gruppo etnicamente misto, composto da arabi e siriani, egiziani e nordafricani, che diedero vita all’incomparabile capolavoro di una pacifica convivenza tra più popoli in terra andalusa.
I fondamenti della nuova tolleranza: l’Islam
Che queste tre diverse comunità religiose potessero vivere una accanto all’altra nello stesso regno dipese in massima parte dal fondamentale riconoscimento dell’ebraismo e del cristianesimo attraverso l’Islam. Esattamente come quest’ultimo, infatti, anche le altre due grandi religioni si basano sulla dottrina originaria monoteista di Abramo, che annuncia il credo in un solo Dio, ma hanno poi spesso—e anche in questo accomunate con l’islam —dimenticato o modificato i comandamenti ricevuti da Dio. I musulmani accusano gli ebrei di avere diffamato e rinnegato Gesù Cristo, l’inviato di Dio, e la Santa Vergine; i cristiani di essere incappati nell’errore della dottrina che sancìsce il culto della Trinità. Ma a patto che non minaccino la comunità islamica e riconoscano il protettorato dell’islam, ebrei e cristiani possono continuare a praticare il proprio culto —
Questo è quanto stabilisce il diritto islamico.
La cultura moresca
Questo straordinario spirito di tolleranza era alla base di una nuova cultura, che si diffuse per tutto il Medioevo e fu caratterizzata da una forte impronta moresca. Gli arabi non solo importarono le proprie tecniche di coltivazione, introducendo sistemi innovatìvi di irrigazione, ma diffusero anche nuove specie di piante e frutti. Inoltre svilupparono particolari forme di artigianato, come la lavorazione del cuoio e la tessitura di seta e cotone, la produzione di vasellame e piastrelle smaltate. Eressero poi moschee e palazzi secondo uno stile che fondeva l’eredità classica con decorazioni e tecniche del Vicino Oriente. Nelle città le strade furono lastricate e illuminate da fiaccole, si ebbe un sistema di fognatura pubblico, scuole e bagni pubblici, ospedali e biblioteche, mentre in tutto il resto d’Europa il Medioevo imperava con le proprie rozze e aspre forme di vita quotidiana. I conquistatori introdussero così in Andalusia una nuova forma di vita, più raffinata; a seconda delle occasioni ci si cambiava d’abito e la tavola veniva elegantemente imbandita, si recitavano poesie con accompagnamento musicale. Nel Sud moresco fiorirono le scienze, che a lungo ebbero un influsso determinante su tutte le università europee. Senza medici e farmacisti mori sarebbero stati davvero impensabili tutti i progressi fatti dalla medicina. Si studiarono gli effetti delle cure con le piante, si praticarono interventi chirurgici, si ampliarono le conoscenze nel campo dell’anatomia ricorrendo alla dìssezione dei cadaveri; i testi redatti dai medici arabi furono tradotti in latino ed ebraico, e fu proprio in Andalusia che si aprirono le prime farmacie di tutta Europa. I filosofi moreschi come Ibn Rusd (chiamato anche Averroè di Cordoba), con la sua riscoperta e chiosa dei testi di Aristotele, avrebbero introdotto nel mondo spirituale occidentale nuovi impulsi, mentre la poesia araba influì su quella dell’amor cortese, che si sarebbe poi sviluppata nella Francia meridionale. L’arabo era la lingua delle persone istruite, in cui tutti —~ filosofi e teologi, poeti e studiosi — redigevano i propri scritti. E sebbene i cristiani avessero conservato la liturgia in latino, si adattarono alla nuova cultura araba a tal punto che un vescovo di nome Àlvaro lì ammonì con queste parole: “I miei confratelli cristiani amano la poesia e i romanzi degli arabi; studiano le opere di teologi e fìlosofi musulmani non per opporvisi, ma per adattarsi a uno stile arabo corretto ed elegante. Dove mai si può trovare al giorno d’oggi un laico che possa leggere le chiose latine alle Sacre Scritture? Ah! I giovani cristiani, il cui talento è palese, non conoscono altra letteratura che quella araba; leggono e studiano su libri arabi; a costi incredibili si allestiscono biblioteche intere e si cantano ovunque le lodi dei costumi arabi.”
Quanto sia stata in odio alla Chiesa cattolica una simile assimilazione culturale è dimostrato anche dagli 80.000 libri in arabo che furono bruciati nel 1449 per decisione del cardinale Cisnero, che definì l’arabo come “la lingua di una massa eretica e spregevole”.
Nonostante tutto un buon numero di parole arabe è rimasto nella lingua comune, conservandosi sino ad oggi.
Gli arabismi sono quindi da considerarsi come un ricordo di quei secoli in cui l’eccezionale tolleranza dei conquistatori permise la pacifica convivenza di più comunità e sfociò in una cultura onnicomprensiva, che, nella sua molteplicità creativa rappresenta anche una simbiosi di forme di vita e cultura orientali e occidentali.
La Guida è questa:
Andalusia, Arte e Architettura, pgg. 230-233 Brigitte Hintzen-Bohlen 1999.
Traduzione dal tedesco di Cristina Pradella.
Koeneman ed.
vi invidio molto cari amici.Caro barbabianca mi rispecchio sempre nei tuoi begli anni, vissuti con accorata saggezza e amore per la gente e il mondo.
RispondiEliminaMa l' orto delle Lame soffrirà un po'.
Oggi piove e l'orto gode. Ho preparato l'erba cipollina da seminare accanto ai baccelli ( fuori Toscana li chiamano fave, ma da noi stona un po').
RispondiEliminaQuando mi regalerai un bel post con la tua esperienza di raffinato documentarista? O anche su qualcuna delle tue esperienze di lavoro.
I blog sono un campo aperto, come il nostro orto: tutti possono seminare e piantare.