La umana commedia – III
Ieri (Decameron)
La peste viene figurata come cornice al grande quadro della vita, ma è una cornice pervasiva che tiene insieme tutta la vicenda e ne permette, per contrasto ma non per assurdo, il suo spensierato svolgimento. In un mondo basato sulle regole ferree della società feudale la Peste fa cadere le vecchie leggi divine e umane costringendo gli uomini a elaborarne di nuove e diverse.
“E in tanta afflizione e miseria della nostra città era la reverenda autorità delle leggi, così divine come umane, quasi caduta e dissoluta tutta per li ministri e esecutori di quelle, li quali, sì come gli altri uomini, erano tutti o morti o infermi o sì di famigli rimasi stremi, che uficio alcuno non potean fare; per la qual cosa era a ciascun licito quanto a grado gli era d'adoperare”. *.*
52...La violenza selvaggia del morbo aveva come spezzato i freni morali degli uomini che, preda di un destino ignoto, non si attenevano più alle leggi divine e alle norme di pietà umana. Le pie usanze che fino a quell'epoca avevano regolato le esequie funebri caddero travolte in abbandono.
Nessun freno di pietà divina o di umana regola: rispetto e sacrilegio non si distinguevano, da parte di chi assisteva al quotidiano spettacolo di una morte che colpiva senza distinzione, ciecamente. Inoltre, nessuno concepiva il serio timore di arrivar vivo a rendere conto alla giustizia dei propri crimini. Avvertivano sospesa sul loro capo una condanna ben più pesante: e prima che s'abbattesse, era umano cercare di goder qualche po' della vita.
53. Anche in campi diversi, l'epidemia travolse in più punti gli argini della legalità fino allora vigente nella vita cittadina. Si scatenarono dilagando impulsi prima lungamente repressi, alla vista di mutamenti di fortuna inaspettati e fulminei...Nessun freno di pietà divina o di umana regola: rispetto e sacrilegio non si distinguevano, da parte di chi assisteva al quotidiano spettacolo di una morte che colpiva senza distinzione, ciecamente.
(Omaggio a un grande: Tucidide – A tutto comodo vai al libro II della Guerra del Peloponneso, apri al cpv 47 e gustati qualche pagina di questo grandissimo: la Peste l'ha colpito e poi risparmiato perché nessuno come lui l'avrebbe potuta raccontare).
Morti proprietari ed eredi, le case e le terre sono a disposizione di tutti i sopravvissuti: finisce la proprietà privata, non esiste più l’organizzazione statale.
Uomini e donne rimasti soli al mondo, coperti di piaghe, bisognosi d’aiuto, accettano la presenza e l’aiuto di chiunque nella loro casa: la peste distrugge il privato, la famiglia e gli altri rapporti, primo fra tutti il comune senso del pudore…
Chi sopravvive non è più lo stesso: finisce il ME, si fa avanti la nuova classe: la borghesia; irrompe il nuovo valore: il denaro. Nuove leggi governano la società senza più stato, famiglia, religione.
Nella tragica situazione che si viene a creare, le soluzioni d’emergenza sono diverse:
- chiudersi in casa
- far vita sana e temperante, senza isolarsi del tutto, prendendo precauzioni
- vivere sfrenatamente
- fuggire nella campagna.
Si scatena l’egoismo, ci si tiene lontano dai malati. Si muore comunque, si muore soli, ripagati della stessa moneta.
In questa “cornice” si inquadra “Il grande fratello” boccacciano.
...stando in questi termini la nostra città, d'abitatori quasi vota, addivenne, sì come io poi da persona degna di fede sentii, che nella venerabile chiesa di Santa Maria Novella, un martedì mattina, non essendovi quasi alcuna altra persona, uditi li divini ufici in abito lugubre quale a sì fatta stagione si richiedea, si ritrovarono sette giovani donne tutte l'una all'altra o per amistà o per vicinanza o per parentado congiunte, delle quali niuna il venti e ottesimo anno passato avea né era minor di diciotto, savia ciascuna e di sangue nobile e bella di forma e ornata di costumi e di leggiadra onestà
la prima, e quella che di più età era, Pampinea chiameremo e al seconda Fiammetta, Filomena la terza e la quarta Emilia, e appresso Lauretta diremo alla quinta e alla sesta Neifile, e l'ultima Elissa non senza cagion nomeremo.
Mentre tralle donne erano così fatti ragionamenti, e ecco entrar nella chiesa tre giovani non per ciò tanto che meno di venticinque anni fosse l'età di colui che più giovane era di loro; ne quali né perversità di tempo né perdita d'amici o di parenti né paura di se medesimi avea potuto amor, non che spegnere, ma raffreddare. De' quali, l'uno era chiamato Panfilo, e Filostrato il secondo, e l'ultimo Dioneo, assai piacevole e costumato ciascuno; e andavano cercando per loro somma consolazione, in tanta turbazione di cose, di vedere le loro donne, le quali per ventura tutte e tre erano tra le predette sette, come che dell'altre alcune ne fossero congiunte parenti d'alcuni di loro. *.*
Comincia così la grande avventura.
I 10 giovani adottano l’ultima soluzione, senza utilizzare la terza: Mangiano (bene), cantano e ballano con accompagnamento di liuto, viola e cornamusa, rispettano i giorni festivi, si fanno un programma di "lavoro", con uno schema matematico. La materia è l’antropologia, la base sperimentale il comportamento umano, così come realmente è; insomma “la verità effettuale della cosa”, un anticipo su Machiavelli.
E’ una nave in gran tempesta in cerca di nocchiero: in una situazione “concentrazionaria” come questa, senza le antiche catene-sicurezze di dio stato famiglia, in presenza della morte incombente sempre e comunque, su tutto e su tutti, non rimane che fermarsi a riflettere insieme, “serenamente”, senza farsi prendere dal panico: vale la pena vivere? La risposta nel vento della vita reale, negli uomini come li vediamo muoversi in tutto il bacino del mediterraneo. Panfilo è l'amante fortunato, Filostrato infelice e travagliato in amore, Dioneo il lascivo, Pampinea opulenta e felice amante, Filomena l'ardente, Elissa l'adolescente che ama non ricambiata, Neifile giovinetta gaia e sensuale, Emilia intenta a sé stessa, Lauretta la gelosa, Fiammetta che gioisce del suo amore. Il tema delle novelle è libero nella prima e nella nona giornata, ma nelle altre esiste un argomento obbligato. Solo Dioneo è di solito libero di esulare un po' dal tema. Ogni giornata si chiude con danze e con una canzone-ballata che suggella una "conclusione" posta al termine del raccontare.
Son 10 giorni di studio appassionato ma lucido, in due settimane lavorative di 5 giorni cadauna, metodo sperimentale “galileiano” dove il cannone-occhiale è puntato non sulle stelle, ma sulla terra, non sul Principe ma sul mondo variopinto degli uomini e delle donne di tutte le classi sociali.
Caleidoscopio fantasmagorico come fantasmagorica è la realtà intravista: 10 giovani, 10 giornate, 100 novelle. La peste dura 6 mesi, i 10 se ne tengono fuori per 15 giorni, dopo i quali decidono di rientrare, perché, dice Dioneo, una cosa come questa non può durare a lungo in un equilibrio meraviglioso come è stato per 15 giorni: la realtà ci sopraffarebbe comunque e quindi tanto vale rientrarci consapevolmente, assumendocene i rischi: “
E per ciò, acciò che per troppa lunga consuetudine alcuna cosa che in fastidio si convertisse nascer non ne potesse, e perché alcuno la nostra troppo lunga dimoranza gavillar non potesse, e avendo ciascun di noi, la sua giornata, avuta la sua parte dell'onore che in me ancora dimora, giudicherei, quando piacer fosse di voi, che convenevole cosa fosse omai il tornarci là onde ci partimmo. Senza che, se voi ben riguardate, la nostra brigata, già da più altre saputa dattorno, per maniera potrebbe multiplicare che ogni nostra consolazion ci torrebbe.
I ragionamenti furon molti tra le donne e tra'giovani, ma ultimamente presero per utile e per onesto il consiglio del re, e così di fare diliberarono come egli aveva ragionato; *.*
La realtà è questa e tale va affrontata: statisticamente 4 o 5 di loro son destinati a morire; questo il Decameron non lo racconta; ma lo faranno con lo stile del fiore del deserto, che piega non renitente il suo capo innocente sotto il fascio mortal .
Ma tutti, i sommersi e i salvati, ci indicano la speranza: l’ultima delle 10 giornate evoca il sogno di un mondo senza peste, un mondo governato da liberalità e magnificenza.
L’ultimissima figura è quella di Griselda che conosce forme di abiezione ai confini dell’assurdo ma, la forza del suo amore, il “cinismo” della sua rassegnata resistenza alla sadica perversione del suo padrone e signore, l’istinto stesso, forse, di sopravvivenza la portano alla finale salvezza.
Dio mio, mi commuovo…
Griselda potrebbe essere l’umanità di oggi; miliardi di uomini – Africa, Asia, Sud America – M.O. – ridotti a strisciare e leccare gli stivali al brutto poter che ascoso a comun danno impera, che non mollano, non si rassegnano, continuano a vivere a dispetto di tutto, fanno figli…
Ma qui siamo a
Oggi
Pentadecadone
Contrappasso per analogia:
Ecco i 10 (provvisori) protagonisti:
Splinder, Bloggando, Blogspot, blogclarence.com, Excite.it/blog, Il cannocchiale.it, Quintostato.it, Daypop.com, Weblogs.com, Tribook.it, Blogmapper.com…
Ecco Fiesole con le due case: Internet con Microsoft e Nescape. Il giardino fiorito di URL e WWW nati spontanei, sempre rinnovatisi, le spine degli Hackers, le malattie dei virus…Il liuto dell’armonia che vince di mille secoli il silenzi, il canto e la poesia dei nostri umani sentimenti, espressi al meglio con spontaneità, vivacità e, quando possibile, dignità d’arte.
Ecco i personaggi del vario spettacolo della vita: noi blogghisti, internauti, privilegiati, figli di mammà, buona tavola, musica vocale e strumentale, servitori a disposizione alle dipendenze di 2 siniscalchi: Hardware e Software.
Forniti di mezzi, istruzione, capacità critica…diversi per gusti e temperamento. Tra di noi ci sono tutti i personaggi delle commedie; e se non sono tra di noi, siamo in grado di individuarli all’interno della grande tela.
Allora incominciamo.
Per una volta così:
Incipit commedia
Sul fiorir del cammin di nostra vita
Ce ne salimmo in cima ad un bel colle
Dalla peste cercando via d’uscita.
A valle lasciavamo un mondo folle
Che sol di piaghe e di tormenti ormai
Tutte le genti far volea satolle.
Non preghiere o bestemmie o turpi lai
Furon nostri compagni in quel frangente
Ma novelle, canzoni e versi gai.
Se comprender vorrete, brava gente,
aguzzando l’ingegno capirete
la nostra nobiltà di cuore e mente.
Chiusi eravamo ancor dentro la rete
D’un mondo vecchio stupido e bigotto
In mano a un re suonato e a un falso prete.
Se da noi accetterai d’esser condotto
Diverrai “forse”più civile e umano
“sicuramente” più cosciente e dotto.
Continua...
Una meraviglia questo post! Tutto è "incastonato" alla perfezione! Mentre leggevo le prime righe, pensavo proprio a Tucidide, quando afferma che la guerra (come la peste) porta ad uno sfasamento di tutti i valori, perché quando si è in continuo pericolo di morte non contano più le regole umane né i precetti divini. E sùbito dopo l'ho trovato citato da te! Ho apprezzato molto anche l'articolo sul Grande Fratello, paragonato alla cornice del Decamerone, e mi è piaciuto il paragone fra i blogghisti e i dieci giovani boccacceschi che riflettono sulla vita... Adesso voglio sapere come andrà avanti la storia, anche se il fatto che Panfilo, Pampinea e gli altri sian tornati alla vita vera (e rischiosa) dopo l'isolamento e la riflessione, fa pensare che forse una vera conclusione (un cambiamento della realtà) non c'è, non ci può essere, se non nella mente più matura, serena ed aperta dei protagonisti...
RispondiEliminaCome andrà avanti la storia? E' proprio questo il punto. Giovanni Boccaccio, come persona, "rientrò in S.Maria Novella", prese gli ordini religiosi (come Petrarca), sopperendo così al fallimento della Banca dei Bardi con i "benefici ecclesiastici" che gli garantirono stipendi e prebende. L'8 per mille di quei tempi (che per i beneficiari era più vicino a un 8 per cento).
RispondiEliminaE Michelangelo, savonaroliano, che crea il Davide nudo contro il Golia romano e poi finisce con l'alzare il nuovo Olimpo agli "assassini" di Savonarola. Si sfogava tirando la cazzuola a Sisto IV quando andava a vederlo dipingere la Sistina. Dante è in posizione diversa, come tu sai.
Tutti noi dobbiamo fare i conti con un sistema "concentrazionario" al quale volenti o nolenti ci adattiamo,l'alternativa essendo il suicidio o il martirio. ...
Come andrà avanti la storia? E' proprio questo il punto. Giovanni Boccaccio, come persona, "rientrò in S.Maria Novella", prese gli ordini religiosi (come Petrarca), sopperendo così al fallimento della Banca dei Bardi con i "benefici ecclesiastici" che gli garantirono stipendi e prebende. L'8 per mille di quei tempi (che per i beneficiari era più vicino a un 8 per cento). E Michelangelo, savonaroliano, che crea il Davide nudo contro il Golia romano e poi finisce con l'alzare il nuovo Olimpo agli "assassini" di Savonarola. Si sfogava tirando la cazzuola a Giulio II quando andava a vederlo dipingere la Sistina. Dante è in posizione diversa, come tu sai. Tutti noi dobbiamo fare i conti con un sistema "concentrazionario" al quale volenti o nolenti ci adattiamo,l'alternativa essendo il suicidio o il martirio. ...
RispondiEliminaLo stoico Catone dantesco, dunque. Ma è un ideale troppo alto: troppa solitudine, troppa sofferenza, troppa apparente sconfitta. La maggior parte di noi preferisce adattarsi ed è normale che sia così, è nella nostra natura sociale, che però a volte mi sembra basata più sulla ricerca di protezione che di vera cooperazione. Ecco perché i singoli, per quanto elevati al rango di eroi, non hanno mai potuto cambiare il resto del mondo. Il cambiamento vero richiederebbe una volontà collettiva, mentre le minoranze, seppur (o forse troppo) orgogliose di essere tali, resteranno sempre deboli e isolate. Perciò la consapevolezza, lo studio, la riflessione, possono forse servire alla crescita individuale o di piccoli gruppi, ma sono ben lontani dal modificare quel sistema "concentrazionario" di cui parli e che ci assorbe e ci schiaccia allo stesso tempo, rassicurandoci ed uniformandoci alla comunità, ma lasciandoci quel senso di frustrazione che ci fa ogni tanto "tirare la cazzuola"...
RispondiEliminaUn’ultima cosa: per Dante era diverso forse anche perché era stato cacciato, esiliato, ed aveva perciò la forza, la rabbia dell'emarginato, al quale è stato tolto tutto e che non ha nulla da perdere. Era stato allontanato dal "sistema" e poteva orgogliosamente, ma anche dolorosamente, sentirsene estraneo... Mi piacerebbe sapere che ne pensi.
RispondiEliminaAnche Thomas Friedman - reazionario intelligente - citato da Giulietto Chiesa e riportato qui sopra (bancarotta festaiola) rientra, mi sembra, in questi nostri discorsi sul sistema concentrazionario...
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