lunedì 16 febbraio 2004

La umana commedia - II

 La umana commedia - II


La "peste nera"  (scheda storica)


Giovanni Boccaccio, nel Decamerone, spiega ai lettori che il ricordo della pestilenza del 1348, apparsa nella città di Firenze da Marzo a Settembre, è molto doloroso. Gli abitanti delle città hanno attribuito a questa pestilenza due ipotesi: 1- maligno influsso degli astri e dei corpi celesti 2- castigo di Dio


La peste è’ una malattia acuta, infettiva e contagiosa dei roditori e dell'uomo, causata da un batterio Gram-negativo, classificato come Yersinia pestis. Nell'uomo la peste si manifesta in tre forme: peste bubbonica, peste polmonare e peste setticemica. La peste nera era la peste bubbonica, portata dai topi o piuttosto da una pulce parassita dei topi, e si propagò, date le circostanze favorevoli, nelle città medioevali, affollate e sporche. La peste colpì dapprima i paesi del Mediterraneo. Subito dopo il suo arrivo a Genova, raggiunse il porto siciliano di Messina. Quasi contemporaneamente, alla fine cioè del 1347, navi provenienti da Costantinopoli la portavano a Marsiglia, da dove si sparse velocemente in tutta la Francia. In Italia la mortifera pestilenza del 1348, che aveva svuotato la città di Firenze e sconvolto l'autorità di ogni legge, sia umana che divina, offrì lo sfondo per il Decamerone di Boccaccio.


Dall'Italia la peste dilagò rapidamente in tutta Europa. La peste infuriò nella sua forma piú acuta per tre anni; ma anche quando parve che il peggio fosse passato, essa continuò ad  aggirarsi sul suolo d'Europa. Ci furono cinque gravi recrudescenze della pestilenza prima del 1400. Né esse cessarono del  tutto con il finire del secolo. Sebbene si andasse lentamente contraendo nelle grandi città, la peste non fu domata in Europa  che verso la metà del Seicento. La grande peste di Londra nel 1665 fu l'ultima eruzione in Inghilterra, la peste di Marsiglia nel 1720 l'ultima sul territorio continentale europeo. Poi le condizioni mutarono. Nel 1727 una nuova invasione venne dalle  steppe russe. Topi scuri proruppero a frotte oltre il Volga, scacciandone i topi neri con i loro parassiti e la peste. Le immediate conseguenze della terribile mortalità, che si portò via in alcune zone persino una metà della popolazione, in  generale forse un terzo, furono enormi.


(H. R. Trevor-Roper)


Sintomi della peste

I primi sintomi della peste bubbonica sono cefalea, nausea, vomito, dolore articolare e generale sensazione di malessere. I  linfonodi inguinali o, meno comunemente, ascellari e del collo, diventano all'improvviso dolenti e gonfi. La temperatura,  accompagnata da brividi, sale a 38,5-40,5 °C. Il polso e la frequenza respiratoria aumentano e il soggetto colpito è esausto  e apatico. I bubboni si gonfiano fino a raggiungere le dimensioni di un uovo. Nei casi non fatali la temperatura inizia a scendere in circa 5 giorni, tornando normale in circa 2 settimane. Nei casi fatali il decesso avviene entro circa 4 giorni.  Nella peste polmonare l'espettorato è inizialmente mucoso e tinto di sangue, per poi diventare molto abbondante e rosso vivo.  Nella maggior parte dei casi il decesso avviene 2-3 giorni dopo la prima comparsa dei sintomi. Nella peste setticemica la  temperatura della persona infetta sale improvvisamente e il colorito diventa violaceo nel giro di alcune ore; spesso la morte  sopravviene lo stesso gioi si manifestano i primi sintomi. Il colorito violaceo, a cui è dovuto il nome popolare di Morte  Nera, è presente nelle ultime ore di vita di tutte le vittime di peste.

( FIAMENI Riccardo)




La fine annunciata (scheda letteraria)


Dialogo di un Folletto e di uno Gnomo


Folletto: Oh sei tu qua, figliuolo di Sabazio? Dove si va?

Gnomo: Mio padre m'ha spedito a raccapezzare che diamine si vadano macchinando questi furfanti degli  uomini; perché ne sta con gran sospetto, a causa che da un pezzo in qua non ci danno briga, e in  tutto il suo regno non se ne vede uno.


Gnomo: Ma come sono andati a mancare quei monelli?

Folletto: Parte guerreggiando tra loro, parte navigando, parte mangiandosi l'un l'altro, parte  ammazzandosi non pochi di propria mano, parte infracidando nell'ozio, parte stillandosi il cervello  sui libri, parte gozzovigliando, e disordinando in mille cose; in fine studiando tutte le vie di far  contro la propria natura e di capitar male.


Folletto: Ma ora che ei sono tutti spariti, la terra non sente che le manchi nulla, e i fiumi non  sono stanchi di correre, e il mare, ancorché non abbia più da servire alla navigazione e al traffico,  non si vede che si rasciughi.

Gnomo: E le stelle e i pianeti non mancano di nascere e di tramontare, e non hanno preso le  gramaglie.

Folletto: E il sole non s'ha intonacato il viso di ruggine; come fece, secondo Virgilio, per la morte  di Cesare: della quale io credo ch'ei si pigliasse tanto affanno quanto ne pigliò la statua di  Pompeo.

(Leopardi, operette morali)

 


Un'esplosione che nessuno udrà.

 Qualunque sforzo di darci la salute è vano. Questa non può appartenere che alla bestia che conosce 

un solo progresso, quello del proprio organismo. Allorché la rondinella comprese che per essa non 

c'era altra possibile vita fuori dell'emigrazione, essa ingrossò il muscolo che muove le sue ali e 

che divenne la parte piú considerevole del suo organismo. La talpa s'interrò e tutto il suo corpo si 

conformò al suo bisogno. Il cavallo s'ingrandí e trasformò il suo piede. Di alcuni animali non 

sappiamo il progresso, ma ci sarà stato e non avrà mai leso la loro salute.

        Ma l'occhialuto uomo, invece, inventa gli ordigni fuori del suo corpo e se c'è stata salute e 

nobiltà in chi li inventò, quasi sempre manca in chi li usa. Gli ordigni si comperano, si vendono e 

si rubano e l'uomo diventa sempre piú furbo e piú debole. Anzi si capisce che la sua furbizia cresce 

in proporzione della sua debolezza. I primi suoi ordigni parevano prolungazioni del suo braccio e non 

potevano essere efficaci che per la forza dello stesso, ma, oramai, l'ordigno non ha piú alcuna 

relazione con l'arto. Ed è l'ordigno che crea la malattia con l'abbandono della legge che fu su tutta 

la terra la creatrice. La legge del piú forte sparí e perdemmo la selezione salutare. Altro che 

psico-analisi ci vorrebbe: sotto la legge del possessore del maggior numero di ordigni prospereranno 

malattie e ammalati.

        Forse traverso una catastrofe inaudita prodotta dagli ordigni ritorneremo alla salute. Quando 

i gas velenosi non basteranno piú, un uomo fatto come tutti gli altri, nel segreto di una stanza di 

questo mondo, inventerà un esplosivo incomparabile, in confronto al quale gli esplosivi attualmente 

esistenti saranno considerati quali innocui giocattoli. Ed un altro uomo fatto anche lui come tutti 

gli altri, ma degli altri un po' piú ammalato, ruberà tale esplosivo e s'arrampicherà al centro della 

terra per porlo nel punto ove il suo effetto potrà essere il massimo. Ci sarà un'esplosione enorme 

che nessuno udrà e la terra ritornata alla forma di nebulosa errerà nei cieli priva di parassiti e di 

malattie. ( La coscienza di Zeno, 1923)

2 commenti:

  1. “Sento” fortemente il collegamento fra i tre testi, ma non riesco ad esprimerlo in concetti chiari: l’unica ipotesi che mi viene alla mente con concretezza è l’immagine dell’uomo come “virus” di cui la Terra cerca di liberarsi (vedi la peste) ma che probabilmente si eliminerà da solo (vedi Svevo), mentre la natura non ne sentirà la mancanza (vedi Leopardi). Le malattie sembrano esprimere l’insofferenza e l’aggressione di tutti gli elementi del creato gli uni verso gli altri (natura contro uomo, uomo contro natura, uomini contro uomini). Di più la mia mente oggi non riesce a “partorire” e tra l’altro questa mi sembra una visione anche troppo pessimistica. Una curiosità: la mia ultima mail ti ha “scioccato”? Ciao!

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  2. La via d'uscita meno pessimista la troviamo ne La Peste di Camus.
    Il Leopardi è ancora più pessimista nel Cantico del Gallo Silvestre (la finale) che trovi nel sito Operette morali già segnalato nel post.
    Quanto al Boccaccio vedremo in corso d'opera.

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