sabato 28 maggio 2005

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...e par che sia cosa venuta

da cielo in terra a miracol mostrare
.

Vita Nuova XXIV 5-7

Sagrato di S.Croce, sera del 26 maggio. Con ancora negli orecchi il suono dell’ultima terzina lettaci da Vittorio Sermonti siamo usciti dal portico della Cappella de’Pazzi sul sagrato di S.Croce, “ a riveder le stelle”, in un’aria tiepida e fresca, tipo questa:
 Un'aura dolce, sanza mutamento

avere in sé, mi feria per la fronte

non di più colpo che soave vento.

Mi ero immaginato una cosa diversa da quella che lo sponsor Telecom aveva predisposto: un gioco di luci tipo quello visto a Torino durante le vacanze di Natale, chiamato “luci d’artista”; mi trovo invece di fronte a una grande bolla rotante di plastica trasparente con all’interno, dentro una bubble più piccola, una giovane che si lascia scivolare all’interno in sintonia con la rotazione del globo (terrestre, nella metafora). Notevole ma non trascendentale. Ma ecco che dal centro della piazza, occupato da giorni da grandi tende quadrate bianche, vedo innalzarsi un pallone con l’immagine del sole, e poi, sotto una donna vestita di luce che volteggia e s’avvicina, si alza, plana sulle nostre teste e s’allontana, si rovescia su se stessa e si rialza. Il cerchio di luce di due grandi fari proietta la sua figura mobile sulle pareti della piazza e ne moltiplica l’effetto. Finché dalla strada laterale che affianca la grande statua di Dante, a sinistra di chi guarda la facciata, vedo, oh meraviglia, Beatrice Portinari, ritornata ai suoi 18 anni, proveniente dal Borgo S.Piero, come in una festa organizzata dai priori per esaltare i nuovi “Ordinamenti di Giustizia” di Giano Dalla Bella:  si muove in aria sul trapezio con la disinvoltura con cui si muove, coi piedi in terra, Lia nel paradiso terrestre. La bravura della trapezista e quella dei 4 personaggi che tirano da terra, in mezzo a tanta gente, le corde della grande rificolona, quando Beatrice si avvicina a volo a Dante, impietrito nella grande statua marmorea, e lo accarezza e lo bacia. Ma lui niente: il mio corpo è a Ravenna. Galileo lì accanto freme dentro il monumento. O forse era la donna di Casentino, pentita del suo antico rifiuto, (Fatto ha d'orgoglio al petto schermo tale Ch'ogni saetta lì spunta suo corso; Per che l'armato cor da nulla è morso)  che veniva a chieder perdono del suo peccato come la figliuola di Paolo Traversaro da Ravenna. Ma Dante non si crolla: fatto di marmo di fronte alla "donna Pietra". Oppure: vediamoci aRavenna.

A parte le battute dovute a esibite reminiscenze scolastiche,

bella serata,

degna conclusione

della Lectura Dantis

di Vittorio Sermontis

al quale va qui il mio

sentimento riconoscente

per averci fatto salire 


in paradiso con Dante

come se fosse niente.


 

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