mercoledì 17 gennaio 2007

Ciao Francesco




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Ti ho visto stamani per l'ultimo addio, nel salone di Parte Guelfa. Ma sai che assomigliavi a Dante! D'accordo anche Stefano. Non nel carattere; più dolce il tuo, ma sempre arguto. Sei andato a morire a Bibbiena, in Casentino, non per scelta, ma perché tutti i reparti di rianimazione fiorentini erano al completo. Succede. Ma a Bibbiena hai avuto un'ottima assistenza e anche il riguardo dovuto alle tue ripetute frequentazioni aretine e casentinesi sulle orme dei passi di Dante esiliato e ramingo, corrucciato e mai rassegnato, sempre in lotta per riavere giustizia e rientrare a Firenze.



Ritorno a te, caro Francesco, con questo post vecchio di un anno (1 anno esatto): ti ricordo quando sei salito sul palco, passo malfermo e voce tenue, ma tutto il tuo spirito, la tua arguzia, il piacere di esserci, l'affetto di tutti noi, l'applauso della platea.  Quale cielo ti è stato assegnato? E Dante che ti ha detto?

Devo rileggere qualcuno dei tuoi libri, o almeno i due opuscoli che mi regalasti con dedica sulle
epistole di Dante e su Dante in Casentino? 

Tu sorridi. Non pretenderai che legga tutti i quaderni degli "Studi danteschi" della tua collana.


Questo scrivevo un anno fa.



Venerdi 13 gennaio 2006

Ore 16 al Teatro della Pergola di Firenze.


Ho passato la giornata in compagnia di Dante. Ancora una volta. Prima amore giovanile, ora passione senile.

In effetti sentire le parole di Brunetto Latini, maestro di vita e d'arte, e poi quelle di Cacciaguida, antenato duro, orgoglioso e intransigente, riportate dalla voce clamante di Sandro Lombardi, mio compaesano doc, in compagnia di Francesco Mazzoni, cattedra dantesca all'Università di Firenze, amico di famiglia, affabile come sempre, è veramente una boccata di cultura fresca in questo momentaneo, è una speranza, decadere di tensioni ideali e di civici costumi.

Il tema è quello dell'esilio di Dante, prima subito per necessità e poi accettato per coerenza.

Brunetto Latini prima e Cacciaguida poi profetizzano a Dante l'esilio e il trattamento che riceverà dalla sua città. In entrambi i brani torna il tema della 'fortuna' che regge il destino degli uomini a cui Dante dice di essere pronto.

L'Epistola II risale circa al 1304; sono più di due anni che Dante è in esilio e scrive ai signori Guidi di Romena, capi della parte Bianca, per fare le condoglianze per la morte del loro zio; dice che non potrà andare al funerale per la povertà che lo affligge a causa dell'esilio.

"Tre donne" è la grande canzone dell'esilio che culmina nell'affermazione dell'umana dignità del poeta' pur nel riconoscimento del desiderio di tornare in patria; ma tale ritorno dovrà essere in una patria che riconosce grandi valori morali. Questa canzone è dei primissimi tempi dell'esilio (forse del 1302) ma queste saranno le tematiche anche dell'Epistola XII del 1315.

L'Epistola XII fu scritta quando il 19 maggio 1315 fu fatto a Firenze un ribandimento generale, cioè un'amnistia nella quale venivano riammessi molti degli esiliati negli anni precedenti a patto che chiedessero perdono in Battistero con un rito pubblico. Dante, avvisato di ciò, ringrazia ma rifiuta il rientro a queste condizioni che corrisponderebbero ad una dichiarazione di colpevolezza quando invece la sua innocenza è sotto gli occhi di tutti.

In Par. XXV 1-12,  abbandonata definitivamente con l'Epistola XII la speranza di tornare a Firenze per motivi politici Dante afferma il desiderio di tornarvi per meriti letterari, incoronato poeta come autore della Commedia.

Continua qui, se vuoi.

Due foto. 

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