2 Gennaio 2012 – lunedì
Stamani ci ritroviamo più tardi ed alle 10 si va a visitare il Centro antiviolenza Mehawar, aperto nel 2000 con l’aiuto anche della Cooperazione italiana, per aiutare le donne che hanno subìto violenza. Da una delle responsabili del Centro ci viene spiegato che le donne che non si attengono alla legge islamica e scappano di casa hanno solo due alternative: il carcere o la strada, dove spesso sono soggette a violenza. Adesso sono ospitate 16 donne con i loro figli e l’obiettivo del Centro è di tutelarle sia fisicamente che psicologicamente, e di rafforzarle attraverso vari strumenti perché possano affrontare autonomamente la loro vita successiva. Rivestono molta importanza gli incontri di gruppo dove comunicano fra loro e vengono sollecitate a parlare per la prima volta di se stesse. La maggior parte di esse ha più di 18 anni ma il Centro ospita in casi speciali anche minorenni con bambini. Le operatrici lavorano molto sulla parte psicologica per far recuperare l’autostima in questa società palestinese dove le donne sono soggette ad una tradizione millenaria che le considera non in parità con l’uomo neanche nella gestione dei figli. Non c’è una legge palestinese sul divorzio e la custodia dei figli spetterebbe alla madre finchè essi non raggiungono i 12 anni, ma secondo la tradizione i figli appartengono alla famiglia del padre e se la donna non è autonoma economicamente, si procede secondo la tradizione. Per questo il Centro che le accoglie per 6 mesi/1 anno, le aiuta nell’inserimento lavorativo e nel trovare un’abitazione dove si continua a seguirle. In 3 anni sono state ospitate nel Centro 220 donne. L’amministrazione adesso si avvale di un fondo dell’ONU e dell’autorità palestinese. Il Centro ha rapporti anche con l’Università per un’azione educativa anche sugli uomini, ma la strada per il superamento delle differenze e per il rispetto della donna è lunga e difficile, non esistendo alcuna forma di educazione sessuale fin dalle scuola primarie, malgrado le direttive della attuale Ministra dell’educazione. Nel sistema scolastico pubblico e nelle scuole islamiche i ragazzi sono separati dalle ragazze mentre nelle scuole private vi sono molti esempi di classi miste.
Verso le 12,30 siamo al villaggio di al- Wallaja (?). Qui ci aspetta Omar con i suoi due figli, che ci conduce subito a vedere la sua casa e a mostrarci quello che accadrà dopo che gli israeliani avranno costruito il muro a pochi metri dalla sua abitazione. La zona è ormai un cantiere e già si vedono in terra le fondamenta del muro. Quando esso sarà finito, la casa di Omar resterà isolata al di là del muro, separata di fatto dalla strada che conduce al vicino villaggio e circondata da recinzione elettrica. Ma lui potrà comunque raggiungerla perché è in costruzione un tunnel scavato sotto il muro che consentirà il passaggio, naturalmente solo in certe ore e solo alla famiglia. Ci spiega che non è stato loro possibile demolirla in quanto la casa è stata regolarmente acquistata con atto registrato legale. Questo muro metterà a dura prova la resistenza dei contadini residenti del villaggio, perché delle 27.000 dune (1 duna = circa 4 ha) attuali, rimarranno solo 2.200 dune, in pratica solo il terreno su cui sono costruite la abitazioni. In particolare a Omar rimangono solo 36 dune di tutto l’oliveto piantato su un terreno che corre tutto intorno alla collina su cui sorge la sua casa. Anche qui Omar e il suo bambino più grande ci ringraziano con molto calore, fiduciosi che potremo fare qualcosa per loro. Ed ancora una volta ci sentiamo addosso tutta la responsabilità che tali aspettative suscitano in noi, insieme a un fastidioso senso di inadeguatezza di fronte a simili grandi problemi.
Salutati i nostri amici, si prosegue per Betlemme, dove andiamo subito a mangiare in una delle tante botteghine situate sulla strada principale. Anche qui si mangia bene e il padrone ci accoglie con grande gentilezza e affabilità. Betlemme è una città piena di pellegrini di ogni razza e colore. Anche la grande Basilica della Natività è affollata di gente e c’è una coda lunghissima per entrare dove la tradizione vuole sia stata la grotta della nascita di Gesù. Così preferiamo scendere nella suggestiva cripta dove Giuseppe avrebbe avuto dall’angelo l’annuncio dell’editto di Erode. Poi comincia a piovere e il giro intorno all’orribile muro che divide in due la città è ancora più angosciante. Solo i colorati murales che esprimono speranze, desiderio di libertà, voglia di riscatto della gente palestinese riescono a rendere meno triste il nostro pellegrinaggio nel dolore di un popolo.
Dopo cena in albergo abbiamo l’incontro con Mahmoud Zawhare, responsabile del Comitato popolare di resistenza non violenta, che è appena arrivato da Madrid. Con lui un giovane volontario italiano. L’incontro è interessante e coinvolgente e Mahmoud mette molta foga e passione nell’illustrare la situazione del suo paese e i programmi del Comitato Popolare. (Tornati in Italia sapremo da Luisa del suo arresto).
(dal diario di Fiorella - continua)
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