mercoledì 18 gennaio 2012

Occhi dentro Gaza


Per ricordare “Piobo Fuso 27 dicembre 2008 – 18 gennaio 2009”
Una delle pubblicazioni di chi è stato testimone.

“Occhi dentro Gaza”. Reportage dall’Abisso (a cura della casa editrice che lo ha pubblicato in Italia)

“Restiamo umani”. Quante volte abbiamo sentito riecheggiare il motto che è stato di Vittorio Arrigoni e che, oggi, dopo la sua tragica morte, è stato idealmente consegnato a tutti coloro che si sono schierati dalla parte della pace? Tante, mai abbastanza.
Ebbene, a ricordarci ancora una volta che dobbiamo restare umani a tutti i costi sono le 317 pagine di “Occhi dentro Gaza”, testimonianza pubblicata da Bianca e Volta Edizioni. Il volume inaugura la collana “Sotto la lente”, che già si preannuncia tutta da seguire per chi vuole cogliere davvero la cifra ultima dell’attualità, attraverso gli occhi di quei protagonisti spesso loro malgrado lontani dalle luci della ribalta.
In questo caso due medici norvegesi il cui curriculum parla da sé. Mads Gilbert, primario del Reparto di Medicina d’Emergenza presso l’Ospedale dell’Università di Tromso, nonché professore di anestesiologia presso la stessa sede. Erik Fosse, medico e primario presso il Centro di Intervento dell’Ospedale di Oslo, oltre a essere professore di chirurgia all’Università della capitale norvegese.
Entrambi da più di trent’anni lasciano periodicamente il proprio paese e accorrono in soccorso delle vittime di guerra. Lo hanno fatto a fianco del Norwac, (Norwegian Aid Committee), organizzazione umanitaria che offre assistenza medica e sanitaria seguendo principi di solidarietà e uguaglianza, a prescindere dall’appartenenza etnica o religiosa delle popolazioni soccorse. Sono stati in Libano e in Palestina, lavorando in condizioni al limite della resistenza umana, eppure mantenendo sempre quell’oggettività medica e professionale che oggi consente loro di essere testimoni preziosi del presente.
Occhi dentro Gaza” è un lucido reportage, al di là di qualsiasi ideologia o considerazione politica. La storia di due medici, due testimoni oculari, tra i pochissimi occidentali presenti a Gaza durante l’operazione “Piombo Fuso”, sferrata dalle forze armate israeliane a partire dal 27 dicembre 2008 e condotta con estrema violenza per ventidue giorni. Ventidue lunghissimi giorni in cui, di fronte ai continui oltraggi patiti dalla popolazione civile, si fa sentire sempre più forte l’esigenza di colmare il silenzio mediatico, assieme alla speranza di raccontare “l’altra verità” della striscia di Gaza.
Ben lontano dal voler creare sensazionalismo o stupire il lettore con il colore del sangue, il libro ha l’enorme pregio di descrivere con molto tatto, e rispetto umano e professionale, il tema della chirurgia di guerra. All’esperienza in corsia – tra civili mutilati dagli ordigni, bambini terrorizzati, ambulanze bombardate dagli aerei dell’esercito israeliano, testimonianze dei sopravvissuti, embargo economico e politico – ben presto si affianca quella umana. Si parla della gestione delle emergenze in un ospedale di guerra, del rapporto non sempre facile con gli altri colleghi, della necessità di mantenere una netta linea di demarcazione tra il chirurgo professionista e l’uomo che, vivendo a contatto con la popolazione di Gaza, vede quotidianamente a quali ingiustizie, violenze e brutalità essa é sottoposta. Di rapporto tra un Medio Oriente alla fame e un Occidente sovralimentato, “che straripa di calorie”.
È difficile immaginarsi la percezione di claustrofobia che aleggia su Gaza senza aver vissuto la situazione sulla propria pelle o aver abitato in prima persona in un luogo dove convivono un milione e mezzo di persone prive di comunicazione aeree, ferroviarie o su ruote con il mondo circostante o strade per raggiungere liberamente i paesi vicini”, scrivono a un certo punto, facendo riferimento ad alcune delle restrizioni cui è sottoposta la popolazione civile di Gaza. Mancanza di acqua, energia e cibo, di un sistema scolastico, sanitario, perfino di fognature che possano definirsi tali. Impossibilità di avviare una qualsiasi attività commerciale, perfino di pescare liberamente. E in mezzo a tutto questo – come se non fosse già abbastanza – bombe, ordigni, droni. Perfino la torre di controllo dell’aeroporto civile di Gaza è stata distrutta, come a voler negare al nuovo Stato palestinese qualsiasi simbolo di speranza e rinascita.
Gaza oggi è una prigione a cielo aperto. Un enorme laboratorio sociale di cruda repressione. Lo spiegano molto bene le foto e le mappe di cui il libro è corredato. Sembra una versione postmoderna del ghetto di Varsavia, all’interno del quale si assiste a un agghiacciante ribaltamento dei ruoli. La Storia è un processo dinamico: le vittime di un tempo diventano i carnefici di oggi. Il tutto mentre il mondo fa finta di non vedere, quando direttamente non finisce col distorcere i fatti, ricompattando l’enorme varietà umana qui descritta in categorie generiche come “terrorismo” e “violenza”. Finendo però col trascurare mandanti e vittime, da entrambe le parti.
In mezzo a tutto questo due medici. Due professionisti, che con linguaggio semplice e diretto ricordano a tutti noi la necessità di guardare nell’abisso. E operare per restare umani.
Occhi dentro Gaza” riporta alla memoria la lezione di Calvino: l’Inferno dei Viventi non è una dimensione astratta, un qualcosa che sarà. È già qui, tra noi. Abita il presente e le pieghe irrisolte della Storia dei popoli.
Ma c’è una speranza per lottare contro di esso: “Cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio”.


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