seconda giornata, venerdi 30 dicembre, Da Gerusalemme a Nablus
Nablus
Il muro lungo la via
Dai finestrini del
pullman abbiamo il primo impatto con il famigerato muro bordato di rotoli di
filo spinato che si è insinuato come una metastasi verso Gerusalemme, ben al di
là della linea verde, presidiato da decine di checkpoint. Attraversiamo una
zona brulla, caratterizzata da alture separate da piccole valli. In cima a molte
colline si ergono le case delle colonie
israeliane. Esse sono generalmente costruite in cerchi concentrici, con un
misto di architettura civile e militare e hanno una duplice funzione, di
aggressione e di difesa, in quanto la loro posizione garantisce il controllo
territoriale e militare delle aree circostanti. La collina viene inizialmente
occupata da un presidio militare, successivamente vengono portate delle case
mobili, infine si dà il via alla costruzione definitiva. Tutto ciò è il
risultato della sistematica confisca delle terre che ha portato all’assurda
situazione odierna che vede i palestinesi israeliani, che rappresentano il 20%
dell’attuale popolazione dello stato di Israele, detenere non più del 3% della
terra, mentre il 93% della superficie del paese è stata dichiarata “suolo
demaniale”. Decine di villaggi arabi non vengono semplicemente riconosciuti e
conseguentemente privati della proprietà e dei servizi (acqua, elettricità,
servizi sanitari ecc). Si sta progressivamente realizzando quel progetto politico noto come piano “Stella
di Davide” il cui obiettivo è creare una maggioranza ebraica nelle regioni a
prevalenza araba, spezzando nel contempo la contiguità territoriale fra le zone
occupate da palestinesi. Già alla fine del 2006 erano in Cisgiordania circa
200 insediamenti con 527.000 coloni, il 43% dei quali vivevano in insediamenti
intorno a Gerusalemme Est. Dopo lo scoppio dell’Intifada di al-Aqsa sono state
realizzate altre 15 colonie ebraiche. Si
può ragionevolmente affermare, pur se in modo approssimativo, che dall’inizio
della colonizzazione Israele abbia speso per gli insediamenti 80 bilioni di
dollari, finanziati in larga misura dal governo americano.
Ogni tanto, soprattutto nelle zone pianeggianti, appaiono
piccoli appezzamenti lavorati strappati alla pietrosità del suolo.
Si lascia la strada
principale per quella vecchia che si addentra in territorio palestinese. In una
bella valle ci fermiamo vicino ad un vecchio caravanserraglio ormai cadente e
ci avviciniamo ad un campo lavorato che ospita una bella piantagione di agrumi.
Sulla collina soprastante sorge un insediamento dei coloni. Un contadino ci
viene incontro e inizia a raccontare la storia delle sue giornate, le angherie
che lui e la sua famiglia sono costretti a subire da parte dei coloni che
spesso scendono nella valle per attaccarli. Oggi non c’è scuola e tutta la
famiglia è a lavorare nel campo perché, ci spiega il contadino con i baffi, i
figli si affezionino sempre di più alla terra e la sentano una cosa loro, da
mantenere e curare. Nel frattempo il
ragazzo più grande sta arando una striscia di terreno con un aratro a chiodo
trainato da un asinello, mentre la moglie, che ci dice di chiamarsi Tagrid,
cuoce delle focacce appena impastate su una piastra di ferro scaldata su un fuoco
di legna. Sorride e ci offre volentieri un assaggio. I bimbi più piccoli
lasciano la zappa e offrono a tutti mandarini, limoni e spremute di agrumi.
Siamo stupiti e commossi, in quel momento sentiamo di odiare quei coloni ancora
di più.
Dopo un giro fra le rovine del bel caravanserraglio
ottomano, si riparte per Nablus. Questa è una città di 134.000 abitanti e sorge
in una stretta gola larga meno di 1 km fra due monti alti circa 900 metri. La
città vecchia di Nablus, Shechem, si sviluppò intorno a una fonte sotto quello
che oggi è il campo profughi di Balata. Divenne
famosa in tutto il mondo arabo per la produzione di sapone, tessuti di cotone e
dolci. Durante la rivolta del movimento nazionale palestinese del 1936, Nablus
fu la prima città a creare un Comitato Nazionale Palestinese. Per la sua
posizione di avanguardia contro l’occupazione, fu soprannominata Jabal en-Nar
(montagna di fuoco). Nella primavera del 1963, i movimenti di liberazione della
Palestina dichiararono Nablus “repubblica di Palestina”. L’occupazione
israeliana portò a molte forme di repressione e a molti attentati, fra cui uno
nel 1980 al sindaco che sopravvisse allo
scoppio della sua auto, ma perse entrambe la gambe e fu arrestato. Nel 1995
Nablus divenne città autonoma, area A, ma fu completamente circondata da
insediamenti ebraici.
Arriva un uomo (anche lui, come tutti quelli che abbiamo
incontrato e incontreremo in seguito, conosce bene Luisa, l’abbraccia e
ringrazia per la nostra visita. Conosce bene la storia della sua città e
insieme a due giovani ci guidano alla visita della città vecchia. Sulle pareti delle
case appaiono i manifesti raffiguranti i caduti della prima e seconda intifada.
Ci infiliamo nel labirinto di stradine e vicoli, spesso scavati sotto le
abitazioni con scure gallerie. Molti sono gli edifici storici di epoca ottomana
ma anche mamalucca, crociata e bizantina. Intorno ai portoni di antichi edifici
ogni tanto appaiono caratteristiche decorazioni geometriche e molti sono gli
scorci interessanti, anche se purtroppo negli angoli più appartati si
ergono cumuli di spazzatura di ogni
tipo. Molte abitazioni sono fatiscenti e abbandonate ed anche una bella antica
fabbrica di saponi mostra i segni del bombardamento subito dall’esercito israeliano
nel 2002. Nablus era famosa in tutto il medio oriente per la sua fiorente
industria di saponi che venivano esportati fino in Europa. Anche adesso il
sapone di Nablus è ampiamente diffuso nel mondo arabo per le sue proprietà
naturali, sfruttando l’olio d’oliva che qui viene soprannominato “oro
verde”. Ad un incrocio ci assale un
forte odore di spezie e si invade tutti questo enorme e tortuoso magazzino per
i nostri acquisti di saponette e spezie varie. Le foto sono d’obbligo.
Si giunge alla piazza
dei martiri, dove il giovane che ci ha accompagnato ci mostra la sua casa dove
sono stati uccisi alcuni suoi familiari e ci racconta l’attacco dell’esercito
israeliano del 2002 durante la prima Intifada. Nablus oppose una strenua resistenza
all’esercito e ai carri armati che avanzavano in città distruggendo e
uccidendo, tanto da meritarsi il soprannome da parte degli israeliani di
“capitale del terrorismo”. Fu bombardata ripetutamente e assediata per molto
tempo. Nell’aprile del 2002 fece il suo ingresso in città l’esercito israeliano
e la popolazione, ormai stremata e vessata dalla presenza di sette checkpoint
che la circondavano, subì da luglio a metà ottobre un coprifuoco quasi
permanente, tolto solo per 79 ore complessivamente.
Luisa continua a presentarci persone che la salutano
affettuosamente, incluso il babbo di un bambino ucciso a 11 anni. Nella sede dell’Associazione palestinese Human
Supporters ci presenta un signore che è stato in carcere per 32 anni dopo essere stato
arrestato a soli 15 anni. Racconta la
sua storia anche una donna, ora assistente sociale, che ha un incontro molto
affettuoso con Luisa. Essa è stata
arrestata incinta, ha avuto il figlio in carcere, dove lo ha allevato per 5
anni. Anche il figlio è presente, è ormai adulto ed anche lui, come gli altri,
vuole farci conoscere le sue vicende e spiegare ancora la drammatica situazione
in cui sono costretti a vivere (quando si riparte da Nablus salirà con noi in
pullman). Si termina la socializzazione, trovandoci a mangiare insieme intorno
ad un tavolo improvvisato, dove troneggia un dolce spettacolare a base di
formaggio fuso ricoperto di miele e marmellata, il “kunafa”. Squisito.
(dal diario di Fiorella e Piero - continua)
(dal diario di Fiorella e Piero - continua)
Sempre più difficile la verità delle cose. Saluti da Salvatore.
RispondiEliminaE' vero. Per questo è giusto andare a ricercarla. Noi che abbiamo avuto la fortuna di vedere con i nostri occhi queste realtà siamo impegnati a diffonderne la conoscenza.
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