Su "la Repubblica" di oggi è stata pubblicata una parte della lezione su "Laicità e governo della vita" che il ns. socio onorario Stefano Rodotà terrà oggi 10 marzo all'Università di Torino, in occasione al premio a lui conferito di "Laico dell'anno".
Nel riportare qui sotto il testo pubblicato, e nel chiedere a Stefano se può inviarci il testo integrale della sua "lectio magistralis", a nome di tutti i soci gli inviamo il nostro sentito ringraziamento per la coerente e continua opera a difesa della laicità delle istituzioni, che costituisce la base della stessa democrazia e ci consente di essere padroni della nostra esistenza.
Cordiali saluti
Giampietro Sestini
ESSERE PADRONI DELLA NOSTRA ESISTENZA - DI STEFANO RODOTÀ
da: la Repubblica di mercoledì 10 marzo 2010
(la seguente è una parte della lezione su "Laicità e governo sulla vita" che Stefano Rodotà ha tenuto il 10 marzo all´Università di Torino, ove ha ricevuto il premio "Laico dell´anno").
Laicità rinvia ad autonomia, e questa si declina come autodeterminazione. Sì che, parlando di laicità, non possiamo più ritenere che l’orizzonte sia individuato soltanto dal rapporto tra due poteri, lo Stato e la Chiesa, «ciascuno nel loro ordine, indipendenti e sovrani», o dallo stesso confronto tra secolarizzazione e religiosità. È avvenuta una più complessa distribuzione dei poteri, che individua la persona come protagonista istituzionale. La laicità, oltre che come principio di organizzazione istituzionale e sociale, si manifesta così anche come principio di governo della vita, che inquieta a tal punto da suscitare la tentazione di mimare un incipit famoso, e annotare che «uno spettro s’aggira per l’Italia – lo spettro dell’autodeterminazione».
«La circostanza che il consenso informato trova il suo fondamento negli articoli 2, 13 e 32 della Costituzione pone in risalto la sua funzione di sintesi di due diritti fondamentali della persona: quello all’autodeterminazione e quello alla salute». Queste parole della Corte costituzionale individuano una distribuzione di poteri, la cui portata può essere colta attraverso due rapidi esercizi di riflessione storica. Partiamo dal 1215, dalla Magna Charta e dal suo habeas corpus, con la promessa del re a ogni "uomo libero": «non metteremo né faremo mettere la mano su di lui, se non in virtù di un giudizio legale dei suoi pari e secondo la legge del paese». Siamo di fronte all’abbandono di una prerogativa regia, a un autolimitazione, a un atto che laicizza il potere del re, che non riposa più sulla sovranità/sacralità, ma si cala nel mondo, si presenta come l’esito di una negoziazione complessa, che porterà poi alla "autolimitazione" dello Stato sovrano come atto di fondazione dei diritti pubblici subiettivi.
Sette secoli dopo, nel 1947, l’Assemblea costituente approva l’articolo 32 della Costituzione, che riconosce la salute come diritto fondamentale e prevede che i trattamenti obbligatori possano essere imposti solo per legge. Ma si aggiunge: «la legge non può in nessun caso violare il limite imposto dal rispetto della persona umana». È una delle dichiarazioni più forti della nostra Costituzione, pone al legislatore un limite invalicabile. Quando si giunge al nucleo duro dell’esistenza, siamo di fronte all’indecidibile. Nessuna volontà esterna, fosse pure espressa da tutti i cittadini o da un Parlamento unanime, può prendere il posto di quella dell’interessato. Siamo di fronte ad una sorta di nuova dichiarazione di habeas corpus. Il sovrano democratico, una assemblea costituente, rinnova a tutti i cittadini la promessa di intoccabilità: «non metteremo la mano su di voi», neppure con una legge. La rottura è netta. Non vi è più una autolimitazione, ma un vero trasferimento di potere, anzi di sovranità. Sovrana nel decidere della propria salute, e dunque della propria vita, diviene la persona.
Passiamo al secondo esercizio storico, al quarto secolo prima di Cristo quando Ippocrate formula il giuramento che accompagnerà la professione medica. «Sceglierò il regime per il bene dei malati secondo le mie forze e il mio giudizio, e mi asterrò dal recar danno e offesa». Di nuovo una autolimitazione del potere, di cui scopriremo la radicale inadeguatezza ventitre secoli dopo, nel 1946, quando a Norimberga vengono processati i medici nazisti. L’abuso del potere medico attraverso la sperimentazione sugli esseri umani provoca una reazione, affidata al Codice di Norimberga, che si apre con le parole «il consenso volontario del soggetto umano è assolutamente necessario». Dall’autolimitazione del potere del medico, definita unilateralmente dal giuramento, si passa ad un integrale trasferimento del potere alla persona che, sottratta a quel potere, rinasce come "soggetto morale".
L’autodeterminazione si identifica così con il progetto di vita della persona. Qui vita è davvero quella di cui ci parla Montaigne, «un movimento ineguale, irregolare, multiforme», governato da un esercizio ininterrotto di sovranità che permette quella libera costruzione della personalità iscritta in testa alla nostra e ad altre costituzioni. E sovranità e proprietà sono parole che, non da oggi, accompagnano la definizione del nostro rapporto con il corpo, dunque con la vita tutta intera. Respinto sullo sfondo il riferimento alla proprietà, si creava la condizione propizia all’incontro con la sovranità. Certo tra "sovrani" sono sempre possibili tensioni o conflitti. Ma, proprio per evitare che la vita divenga un campo di battaglia, vengono definiti confini che potere politico e medico non possono varcare, escludendo che lo Stato abbia giurisdizione sulla vita, possa considerare il corpo come un luogo pubblico, che è cosa diversa da limiti coerenti con la natura dell’autodeterminazione.
Ma le controversie rimangono. L’iconografia tradizionale e gli antichi scritti sono fitti di descrizioni nelle quali figure diverse si contendono corpo e vita di una persona. La virtù e il diavolo, il sacerdote e il principe, il medico e il soldato, le donne tentatrici e i mercanti avidi sono tutti lì intorno ad una spoglia, privata di libertà e autonomia. Un grumo di quelle rappresentazioni è ancora presente. Il pane e le bottiglie d’acqua sul sagrato d’una chiesa o davanti ad una clinica, le scritte che rivendicano la proprietà d’un corpo e d’una vita, la presentazione del diritto come un’arma che uccide ripropongono con deliberata violenza la negazione dell’autodeterminazione. E il Presidente del consiglio manda una lettera alle suore che avevano ospitato Eluana Englaro, addolorato «per non aver potuto evitare la sua morte». Non è il rammarico di un Re Taumaturgo al quale è stato impedito di imporre le sue mani per una guarigione altrimenti impossibile. È la rivendicazione di un potere sulla vita, di cui il politico vuole tornare a essere l’unico depositario.
Intorno a noi è tutto un cercar di chiudere i varchi aperti perché l’autodeterminazione potesse essere esercitata. In un’ansia di rivincita, l’alleanza tra libertà e tecnologie viene rovesciata. Le tecniche contraccettive avevano reso possibile una sessualità liberata e una maternità consapevole. Ma le tecnologie della riproduzione o la pillola Ru 486 diventano l’occasione per riprendere il controllo del corpo delle donne. Le tecnologie della sopravvivenza vengono trasformate nell’obbligo di sopravvivere attraverso manipolazioni sconosciute alle leggi di altri paesi. Si dovrà rinunciare ai loro benefici per il timore di divenirne, poi, prigionieri?
Via via che si entra nel mondo nuovo della scienza e della tecnologia l’autodeterminazione guadagna nuovi spazi e, proprio per questo, richiede un ambiente pienamente laicizzato, dove tutte le opportunità possano essere valutate senza pregiudizi. Ma scienza e tecnologia avviano anche processi di riduzione drammatica della libertà di scelta che possono essere contrastati solo esaltando al massimo le potenzialità dell’autodeterminazione. Segnalo quella che chiamerei la consegna della persona alla società dell’algoritmo. Scopriamo sempre più spesso un mondo governato dall’algoritmo, quello di Google o quello al quale la finanza aveva affidato le scelte di investimento. E scorgiamo pure una costruzione dell’identità sempre più sottratta alla consapevolezza degli interessati, affidata invece a processi variamente automatici.
Tornando alle parole iniziali, e senza la pretesa di chiudere un cerchio, la laicità si rivela un presidio contro la pretesa di qualsiasi potere di impadronirsi della vita, fino alla sua totale spersonalizzazione.
Non dirò che la laicità sia il più umano dei principi, ma pure ad esso è affidata la nostra problematica umanità.
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Art. 2
La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.
Art. 13.
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La legge stabilisce i limiti massimi della carcerazione preventiva.
Art. 32.La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti.
Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.