Riflessione pacata e seria. Dammi un'cchiata qui.
L’uomo che rivestiva le colline
Primavera d'intorno brilla nell'aria e per li campi esulta.
E' sempre un'emozione il risveglio della primavera; tanto più per chi come me ha la possibilità di godersi queste giornate di fine aprile dentro un'insenatura della valle del Casentino che sta sotto il Pratomagno, tra Raggiolo, Quota e Larniano. Si parte dal Grande Prato, ora quasi totalmente libero dalla neve, si scende verso Quota tra faggeti e abetine per arrivare ai grandi castagni e poi ai querceti. Scendendo da Quota verso Larniano si prosegue in direzione di Poppi, inconfondibile per il grande Castello dei Conti Guidi, e si passa da Rimolle: una casa colonica come le altre, bella come le altre che hanno mantenuto la loggia, l'aia e il fontanile delle vacche; diversa dalle altre perché lì ci sta Pietro; Pietro di Rimolle, appunto. E' un piacere di un genere particolare vedere i campi, i fossi, il bosco di castagni dove passa quest'uomo gentile, dalla mano d'artista, dalla parlata fluida e schietta, limpidamente toscana.
"Pietro veniva spesso alla stradina erbosa dove andavo a prendere l’acqua. Entrava nel campo e si metteva a lavorare. Tirava su i pomodori puntellandoli con dei lunghi bastoni messi a forma di piccola capanna indiana, poi zappava intorno strappando le erbacce e in ultimo apriva l’impianto di irrigazione. Allora gli spruzzatori si mettevano in funzione e una miriade di perline argentate si rovesciava sui pomodori e sulle zucche. Attraverso il tendone di pioggia lo intravedevo sarchiare più in là intorno alle file dei fagiolini, ripulire le piantine delle fragole, potare, pareggiare la terra. A volte lo trovavo già là, nel prato a destra dell’orto, che col rastrello raccoglieva mannelli di fieno fino a farne un gran fascio che poi si caricava sulle spalle. Quando andava via piccolo piccolo sotto il peso da cui spuntavano solo le gambette magre nei calzoni color foglia secca, era inevitabile pensare a scene di gnomi nel bosco, tanto più quando appariva lei, la moglie, che potrei chiamare Rosa, un tappettino di donna tutta tonda che il grembiule a quadri bianchi e neri faceva somigliare a un pallone. Insieme risalivano la stradina erbosa e sparivano tra gli alberi. Qualche volta mi avvicinavo per parlarci perché Pietro era un gran raccontatore e usava parole bellissime come ” lo sciutto” (la siccità), la lucciola (l’ulcera), le moniche, il vetrinaio (veterinario). Mi indicava nel campo l’erba medica che bisogna dare ai conigli ben asciutta perché sennò li fa gonfiare e poi si schiantano, il mentastico che si mescola in piccole quantità alle altre erbe e le rende più saporite, la capomilla che va tenuta a seccare ben bene prima di essere usata, sennò non fa bene, e via dicendo. Ascoltavo divertita. La voce abbelliva le cose con commenti gustosi e saggi; si parlava anche del passato, quando Pietro era giovane.
- Ma come mai – dicevo – a quei tempi i giovani si adattavano a farsi trovare la moglie dalla famiglia? –
- Ma che vole – ridacchiava lui – erano sempre stati dietro alla coda delle vacche, non s’arrischiavano. –
Ridevo di gusto. Anche lui rideva sornione, assestandosi il cappelluccio.
Perché vede – continuava – loro, le donne, erano più svelte.Se li sarebbero rigirati quanto volevano. Allora la famiglia cercava quelle un po’ sicure, sa, bone per la casa. -
- - E per il lavoro dei campi – aggiungevo io. E intanto vedevo questi giovanotti seduti al pascolo con le vacche intorno che annoiati masticavano fili d’erba e sognavano ragazzotte bene in carne a fargli ciao ciao e tirarsi su la sottana a scoprire i ginocchi tondi e bianchi. Ma quello che più mi innamorava di lui era il modo come ripuliva il campo intorno, raccogliendo le foglie in mucchi rotondi o in cerchi. Il campo diventava una tela da ricamo, un arazzo in cui si mescolavano il marrone, l’ocra, il verde. E se socchiudevo gli occhi, lo vedevo passare dall’uno all’altro mucchio col lungo rastrello che a un certo punto mi pareva fosse lui a portarlo e insieme perfezionavano il tondo di un cerchio, rialzavano la sommità di un mucchio, correvano a raccogliere le foglie sparse che componevano in serpentoni lunghissimi. A un certo punto mi pareva che si sollevassero da terra il rastrello e Pietro e volassero intorno a rassettare anche le colline vicine e tutto prendeva quell’aspetto ravviato e fantasioso che sapeva di bello e di incantato. Allora gli gridai:
- - Pietro, che si vede da lassù? –
- - Il mondo, il fiume, la casa con la gente che mangia, dorme e bestemmia, litiga e fa pace. –
- - E che altro? –
- - Gli uomini all’osteria, il prete nella chiesa, gli animali nei boschi che stanno caldi nelle tane, tutti intorcinati insieme, le fonticine che spingono per uscire allo scoperto, i funghi che gonfiano le gote per mettere il capo fuori, la volpe che va alle galline. – Gli gridai di scendere perché volevo vedere riflesse nei suoi occhi le cose che aveva visto da lassù. Poi capii improvvisamente che non era possibile, solo se anch’io avessi potuto salire lassù come Pietro, sarei stata in grado di vedere le cose come le vedeva lui, più belle, più tranquille, depurate da quel senso di ansia che dà l’esserci immersi e rese libere dal velo opaco che gli mettiamo addosso a forza di guardarle senza vederle. Ma a cosa attaccarmi, non avevo un rastrello come il suo né un altro strumento e il mio desiderio da solo non bastava. Mi venne in aiuto Rosa.
- - Attaccati a me, svelta – Mi attaccai al suo vestito e presto lei si alzò come un pallone leggero e si diresse verso una nuvola bianca. – Ma Pietro è là – dissi, indicando un pezzo di cielo azzurrissimo. – E noi siamo qua – fece lei, sedendosi leggera sulla nuvola. Sotto il vestito a quadrettoni, spuntava allegro il pizzo di una sottoveste arancione.
- - Voglio vedere le cose di Pietro – dissi io.
- Le nostre non sono meno belle. Guarda -. Guardai e vidi due donne che camminavano e chiacchieravano fitto fra loro, ridendo ogni tanto, vidi una ragazza che portava un bambino a cavalluccio e ogni tanto voltava gli occhi in su e lui glieli copriva con le mani, strillando ba ba ba ba e ridendo come un matto. – Le farà la pipi sul collo – mi venne da pensare. Vidi una vecchietta che annaffiava un geranio rosso fuoco e sorrideva a chi sa quale ricordo e una ragazzina bruna che nel chiuso di una stanza, dietro le persiane accostate, si guardava nuda allo specchio dell’armadio, tirandosi su i capelli neri e lucidi e facendoli poi ricadere lungo la curva dolce della schiena. Vidi, o credetti di vedere, una ragazza dal viso dolce e assorto con una lunga vestaglia celeste a pallini neri. Stava china su un lavoro di cucito. Aveva delle belle mani affusolate e la vera al dito. – Mamma – dissi d’impulso. Ma le immagini ora si confondevano le une con le altre e si allontanavano sfumando. – Aiutami, Rosa – pregai – tu che sei una donna. Non voglio perdere la mia mamma, ora che l’ho ritrovata. – Lei si stava dondolando sulla nuvola e sporgeva il viso al sole; si era anche tirata su il vestito per abbronzarsi le gambe cicciottelle. – Ma no – disse con condiscendenza – non le puoi fermare le cose, proprio non le puoi fermare. - Le cose no, ma lei sì – gridai disperata.
- Mi guardò con un occhio solo, mentre l’altro continuava imperterrito a fissare il sole. – Perché? – replicò – pretenderesti di essere felice due volte? – E con un volteggio impeccabile andò a sedersi su una nuvola più bassa."
La presentazione è di Barbabianca, la rievocazione - tra virgolette - è di Paola.
Martin Sullivan
Non so nulla di lui. Ma un americano che in questo momento, da una posizione di grande prestigio, abbandona la cordata di Bush è da segnare nel nostro taccuino. Certo, non lo ha fatto per il sangue versato, ma per per i cocci del museo di Bagdad. Meglio che niente. Sicuramente perde tanti vantaggi. Forse altri ne acquisterà; l'America è grande.
Volevo solo dire che nel mondo la stragrande maggioranza degli uomini tende al bene e alla giustizia; se questo è vero, vedremo altre defezioni eccellenti. Dobbiamo - anche noi blogghisti - esser sempre capaci di raccontare il male, facendo vedere a chi ci legge che noi crediamo nella superiorità del bene.
Per questo ci facciamo gli auguri di Buona Pasqua.
1
Quando vincer da l'impeto e da l'ira
si lascia la ragion, né si difende,
e che 'l cieco furor sì inanzi tira
o mano o lingua, che gli amici offende;
se ben dipoi si piange e si sospira,
non è per questo che l'error s'emende.
Lasso! io mi doglio e affliggo invan di quanto
dissi per ira al fin de l'altro canto.
2
Ma simile son fatto ad uno infermo,
che dopo molta pazienza e molta,
quando contra il dolor non ha più schermo,
cede alla rabbia e a bestemmiar si volta.
Manca il dolor, né l'impeto sta fermo,
che la lingua al dir mal facea sì sciolta;
e si ravvede e pente e n'ha dispetto:
ma quel c'ha detto, non può far non detto.
3
Ben spero, donne, in vostra cortesia
aver da voi perdon, poi ch'io vel chieggio.
Voi scusarete, che per frenesia,
vinto da l'aspra passion, vaneggio.
Date la colpa alla nimica mia,
che mi fa star, ch'io non potrei star peggio,
e mi fa dir quel di ch'io son poi gramo:
sallo Idio, s'ella ha il torto; essa, s'io l'amo.
4
Non men son fuor di me, che fosse Orlando;
e non son men di lui di scusa degno,
ch'or per li monti, or per le piagge errando,
scorse in gran parte di Marsilio il regno,
molti dì la cavalla strascinando
morta, come era, senza alcun ritegno;
ma giunto ove un gran fiume entra nel mare,
gli fu forza il cadavero lasciare.
5
E perché sa nuotar come una lontra,
entra nel fiume, e surge all'altra riva.
Ecco un pastor sopra un cavallo incontra,
che per abeverarlo al fiume arriva.
Colui, ben che gli vada Orlando incontra,
perché egli è solo e nudo, non lo schiva.
- Vorrei del tuo ronzin (gli disse il matto)
con la giumenta mia far un baratto.
6
Io te la mostrerò di qui, se vuoi;
che morta là su l'altra ripa giace:
la potrai far tu medicar dipoi;
altro diffetto in lei non mi dispiace.
Con qualche aggiunta il ronzin dar mi puoi:
smontane in cortesia, perché mi piace. -
Il pastor ride, e senz'altra risposta
va verso il guado, e dal pazzo si scosta.
7
- Io voglio il tuo cavallo: olà non odi? -
suggiunse Orlando, e con furor si mosse.
Avea un baston con nodi spessi e sodi
quel pastor seco, e il paladin percosse.
La rabbia e l'ira passò tutti i modi
del conte; e parve fier più che mai fosse.
Sul capo del pastore un pugno serra,
che spezza l'osso, e morto il caccia in terra.
8
Salta a cavallo, e per diversa strada
va discorrendo, e molti pone a sacco.
Non gusta il ronzin mai fien né biada,
tanto ch'in pochi dì ne riman fiacco:
ma non però ch'Orlando a piedi vada,
che di vetture vuol vivere a macco;
e quante ne trovò, tante ne mise
in uso, poi che i lor patroni uccise.
9
Capitò al fin a Malega, e più danno
vi fece, ch'egli avesse altrove fatto:
che oltre che ponesse a saccomanno
il popul sì, che ne restò disfatto,
né si poté rifar quel né l'altr'anno;
tanti n'uccise il periglioso matto,
vi spianò tante case e tante accese,
che disfe' più che 'l terzo del paese.
10
Quindi partito, venne ad una terra,
Zizera detta, che siede allo stretto
di Zibeltarro, o vuoi di Zibelterra,
che l'uno e l'altro nome le vien detto;
ove una barca che sciogliea da terra
vide piena di gente da diletto,
che solazzando all'aura matutina,
gìa per la tranquillissima marina.
11
Cominciò il pazzo a gridar forte: -Aspetta! -
che gli venne disio d'andare in barca.
Ma bene invano e i gridi e gli urli getta;
che volentier tal merce non si carca.
Per l'acqua il legno va con quella fretta
che va per l'aria irondine che varca.
Orlando urta il cavallo e batte e stringe,
e con un mazzafrusto all'acqua spinge.
12
Forza è ch'al fin nell'acqua il cavallo entre,
ch'invan contrasta, e spende invano ogni opra:
bagna i genocchi, e poi la groppa e 'l ventre,
indi la testa, e a pena appar di sopra.
Tornare a dietro non si speri, mentre
la verga tra l'orecchie se gli adopra.
Misero! o si convien tra via affogare,
o nel lito african passare il mare.
13
Non vede Orlando più poppe né sponde
che tratto in mar l'avean dal lito asciutto;
che son troppo lontane, e le nasconde
agli occhi bassi l'alto e mobil flutto:
e tuttavia il destrier caccia tra l'onde,
ch'andar di là dal mar dispone in tutto.
Il destrier, d'acqua pieno e d'alma voto,
finalmente finì la vita e il nuoto.
14
Andò nel fondo, e vi traea la salma,
se non si tenea Orlando in su le braccia.
Mena le gambe e l'una e l'altra palma,
e soffia, e l'onda spinge da la faccia.
Era l'aria soave e il mare in calma:
e ben vi bisognò più che bonaccia;
ch'ogni poco che 'l mar fosse più sorto,
restava il paladin ne l'acqua morto.
15
Ma la Fortuna, che dei pazzi ha cura,
del mar lo trasse nel lito di Setta,
in una spiaggia, lungi da le mura
quanto sarian duo tratti di saetta.
Lungo il mar molti giorni alla ventura
verso levante andò correndo in fretta;
fin che trovò, dove tendea sul lito
di nera gente esercito infinito.
Il diavolo non è mai brutto come Bush lo descrive
La scomoda verità
La scomoda verità è che, secondo l'Unicef, i baathisti hanno costruito i servizi sanitari più moderni di tutto il Medio oriente. Nessuna contesta il carattere totalitario del regime, ma Saddam Hussein era stato attento a utilizzare il reddito del petrolio per costruire una società laica moderna e un ceto medio forte e prospero. L'Iraq era l'unico paese arabo con un sistema di erogazione di acqua potabile sul 90% del territorio, e con la scuola gratuita. Tutto questo è stato distrutto dall'embargo angloamericano, e l'invasione attuale dà il colpo di grazia. Allorchè è stato imposto l'embargo, nel 1990, il servizio civile iracheno aveva organizzato un sistema di distribuzione alimentare che la Fao aveva definito «un modello di efficienza - indubbiamente aveva salvato l'Iraq dalla carestia». Anche quello è stato distrutto, quando è iniziata l'invasione.
Da un articolo di John Pilger
That’s America
Religione, bandiera, storia
La foresta del dissenso
Da un articolo di
Edward W Said
Vorrei tratteggiare rapidamente lo straordinario panorama dell'America di oggi, visto da un cittadino americano come me che per anni ha potuto vivere confortevolmente in questo paese, pur conservando, grazie alle sue origini palestinesi, la visione comparativa di uno straniero. Il mio proposito è semplicemente di suggerire alcuni strumenti di comprensione, di intervento e, se mi è concesso usare questo termine, di resistenza nei confronti di un paese che non è affatto monolitico come generalmente si tende a credere.
Ciò che distingue in particolare gli Stati uniti è la loro sorprendente ostentazione di benignità, innocenza e di un quasi celestiale altruismo.
A sostegno di questa pericolosa illusione è stata reclutata una nuova falange di intellettuali dal passato liberal o di sinistra, che storicamente si erano schierati contro le guerre americane all'estero, ma sono oramai disponibili a sostenere quest'idea di un impero della virtù e del bene.
... Certo, gli eventi dell'11 settembre hanno avuto un ruolo in questo voltafaccia. Ma il fatto più sorprendente è che nel loro orrore, gli attacchi alle torri gemelle e al Pentagono sono trattati come se fossero nati dal nulla, e non provocati dall’ossessiva presenza dell’America e dal suo interventismo in ogni parte del mondo.
Ciò che i nuovi «falchi liberal» fingono di non vedere è la massiccia, decisiva presenza della destra cristiana (così simile all'estremismo islamico nel suo fervore moralistico) negli Stati uniti di oggi.
La visione del mondo alla quale si ispira è tratta soprattutto dall'Antico Testamento, e coincide in larga misura con quella israeliana. Un aspetto peculiare dell'alleanza tra i neo-conservatori filoisraeliani e i cristiani estremisti è il particolare favore con cui questi ultimi vedono il sionismo.
Di fatto, lo considerano come il modo migliore per convogliare tutti gli ebrei in Terra Santa e preparare la strada alla seconda venuta del Messia; allora gli ebrei dovrebbero scegliere tra la conversione al cristianesimo o l'annientamento. Ma queste tesi teologiche sanguinarie e violentemente antisemite di solito non vengono citate nei discorsi dei cristiani fondamentalisti americani, e sono ovviamente ignorate dagli ambienti ebraici filoisraeliani.
...
Tra tutti i paesi del mondo, l'America è quello che più esplicitamente si richiama alla religione.
. La vita della nazione - dalle scritte su edifici e monumenti a quelle incise sulle monete - è tutta permeata di riferimenti a Dio, frequenti anche nelle più locuzioni più comuni, quali «in God we trust», «God's country», «God Bless America». La base elettorale di George W. Bush comprende da 60 a 70 milioni di uomini e donne che come lui credono di aver incontrato Gesù e di essere sulla terra per compiere l'opera di dio nel paese di dio.
Nel loro insieme, questi fattori convergono in un'ideologia che alimenta l'idea di un'America virtuosa e benefica, portatrice di libertà e di progresso economico e sociale: un'immagine onnipresente nella vita quotidiana, tanto da apparire come una realtà assolutamente naturale e incontrovertibile.
bandiera
In nessun altro paese la bandiera ha una tale valenza iconografica.
La si vede dovunque - sui taxi, sui risvolti delle giacche, sulle facciate delle case, alle finestre, sui tetti.
È la principale incarnazione della nazione, simbolo dell'eroica resistenza di una comunità assediata da nemici indegni.
Il patriottismo rimane tuttora la prima delle virtù americane, ed è strettamente legato allo spirito religioso e alla convinzione di essere sempre dalla parte della ragione, non soltanto all'interno dei propri confini ma dovunque nel mondo.
L'economista Julie Schor ha dimostrato che gli americani lavorano più a lungo di trent'anni fa, guadagnando relativamente di meno.
Ma finora, a livello politico i dogmi liberisti dell'economia di mercato non sono mai stati oggetto di una discussione seria e sistematica.
Come se a nessuno fosse mai venuto in mente che qualcosa andrebbe cambiato in un sistema in cui la stretta alleanza tra il governo federale e il grande capitale non riesce neppure ad assicurare ai cittadini americani un minimo di copertura sanitaria universale e un livello di istruzione decente
Ma le notizie di borsa hanno la precedenza su qualsiasi analisi o revisione del sistema.
Ma in questa società, che di fatto è straordinariamente complessa, esistono anche numerose correnti contrarie e alternative.
Le crescenti resistenze alla guerra, che il presidente tenta di minimizzare, provengono da un'altra America, più informale, in gran parte ignorata o travisata dai grandi media - dal New York Times alle emittenti televisive, passando per la maggior parte delle maggiori riviste e case editrici.
Non si era mai arrivati a una così spudorata, scandalosa complicità tra l'informazione televisiva e le smanie belliciste del governo in carica.
Ormai i telespettatori che seguono abitualmente la Cnn o di una delle altre grandi emittenti generaliste parlano con eccitazione del malefico Saddam e di quanto il «nostro» intervento sia urgente e necessario, per fermare il mostro prima che sia troppo tardi. Come se non bastasse, i vari canali sono ormai monopolizzati da veterani dell'esercito, esperti di terrorismo e politologi specializzati nelle questioni mediorientali, che il più delle volte non conoscono neppure una delle lingue della regione, e magari non hanno mai messo piede in Medioriente. Ma non per questo rinunciano ad arringare i telespettatori, in un gergo infarcito di luoghi comuni, sostenendo che «noi» dobbiamo occuparci dell'Iraq. Senza dimenticare di attrezzare le nostre finestre e le nostre automobili per proteggerci in caso di attentati con gas letali.
storia patria
Questo consenso, proprio perché scientemente costruito e gestito, è come immerso in una sorta di presente atemporale, per il quale il concetto stesso di storia è anatema.
Nei discorsi pubblici, il termine stesso di storia è usato sistematicamente in senso spregiativo, come indica una locuzione diffusa negli Stati uniti: «you're history» (sei un reperto storico, un pezzo da museo, cioè un rottame). D'altra parte, la storia nella sua accezione positiva è ciò che ogni cittadino americano è tenuto a credere, senza alcun tipo di analisi storica o di spirito critico, del suo paese (ma non del resto del mondo, definito come «vecchio», generalmente arretrato e quindi irrilevante).
Ma il tentativo di imporre criteri tanto risibili non è andato in porto. Ecco come Linda Symcox ha riassunto l'intera vicenda: «Viene da pensare che questo tentativo [neo-conservatore] sia ispirato a un malcelato desiderio di inculcare agli studenti una visione della storia consensuale e relativamente aconflittuale. Ma il tutto è finito con una netta inversione di rotta. Grazie all'opera degli storici e dei sociologi che hanno curato la redazione del testo, il documento destinato a impartire le direttive per l'insegnamento si è trasformato in veicolo di quella stessa visione pluralistica che il governo aveva tentato di contrastare.
Così, in definitiva il progetto di imporre una versione consensuale della storia (...) è stato contrastato da storici non indifferenti a temi quali la giustizia sociale e la redistribuzione del potere, e che ritengono necessaria una lettura più articolata del passato.
Ancora più sorprendente è la censura, persino istituzionalizzata, di due aspetti determinanti della storia americana: la schiavitù dei neri e lo sterminio degli amerindi.
Washington vanta un importantissimo Museo dell'Olocausto, ma sulle tragedie di quei popoli non esiste nulla del genere, in nessuno stato del paese.
. Non resta molto spazio per le questioni quali i profitti finanziari, il saccheggio delle risorse, l'aspirazione a un potere egemonico, i cambiamenti di regime ottenuti con la forza e/o con la sovversione (come ad esempio in Iran nel 1953 o in Cile nel 1973).
Ancora più fitta è la cortina di silenzio su realtà straordinariamente inique e crudeli, nella quali l'America ha responsabilità dirette, come ad esempio gli attacchi di Ariel Sharon contro i civili palestinesi, o le tremende conseguenze delle sanzioni contro l'Iraq per la popolazione, o ancora le pratiche punitive disumane dei governi della Colombia e della Turchia, che godono dell'appoggio degli Stati uniti.
all'estero raramente i commentatori tengono in debito conto questa
«foresta del dissenso»
Citerò innanzitutto l'ala sinistra della comunità afro-americana, formata da gruppi urbani che si mobilitano contro la brutalità della polizia, le discriminazioni in campo occupazionale, il degrado dell'habitat e del sistema scolastico, guidati e rappresentati da personalità quali il reverendo Al Sharpton, Cornel West, Mohammed Ali, Jesse Jackson (per quanto in ribasso come leader) e vari altri che si richiamano a Martin Luther King Jr.
A questi movimenti si associano numerose altre collettività etniche di latinoamericani, amerindi e musulmani.
È il caso di notare una particolarità interessante di alcuni personaggi quali ad esempio il reverendo Al Sharpton o il verde Ralph Nader, ormai più o meno tollerati, tanto da essersi conquistati una certa visibilità, che però non si prestano ad essere cooptati perché troppo intransigenti, o non sufficientemente interessati al tipo di premi abitualmente offerti dalla società statunitense.
Tra le componenti del dissenso va citata una parte preponderante del movimento delle donne, impegnate su temi quali il diritto all'aborto, la lotta contro le violenze e molestie sessuali e la parità sul lavoro.
Anche alcune associazioni professionali (in particolare di medici, avvocati, scienziati, universitari, più alcuni sindacati e un settore del movimento ambientalista) contribuiscono alla dinamica dei gruppi contro corrente, pur rimanendo legate, in quanto corpi istituzionalmente costituiti, all'ordine sociale e a tutto ciò che le sue esigenze comportano. Un paese percorso da conflitti Non va poi sottovalutato il ruolo delle Chiese organizzate, divenute in molti casi veri e propri vivai del dissenso e della volontà di cambiamento. I fedeli di queste Chiese vanno nettamente distinti dai cristiani fondamentalisti e dai tele-evangelisti di cui già si è parlato. I vescovi e i laici cattolici ad esempio, così come il clero della Chiesa episcopale, i quaccheri e il sinodo presbiteriano - nonostante gli scandali sessuali nel primo caso e la perdita d'influenza negli altri tre - hanno adottato in materia di pace e di guerra posizioni straordinariamente progressiste, protestando contro le violazioni dei diritti umani perpetrate all'estero, contro l'ipertrofico bilancio militare e la politica economica neoliberista, che fin dal primi anni '80 ha portato alla mutilazione dei servizi pubblici.
Storicamente, una parte della comunità ebraica organizzata è da sempre impegnata nella lotta per i diritti delle minoranze, sia negli Stati uniti che all'estero.
Ma, dopo Reagan e l'ascesa dei neoconservatori, le sue potenzialità positive sono in gran parte soffocate dall'alleanza della destra religiosa statunitense con Israele, e dalla febbrile attività delle organizzazioni sioniste, sempre pronte a tacciare di antisemitismo chiunque critichi la politica israeliana.
Molti altri gruppi e individui che aderiscono ad assemblee, riunioni e manifestazioni pacifiche hanno preso le distanze dall'alienante coro patriottico del dopo 11 settembre, facendo quadrato in difesa delle libertà civili (tra cui la libertà d'espressione) minacciate dall'Us Patriot Act.
Anche il ceto medio, che vive una situazione di disagio costante, è sempre più sensibile agli appelli contro la pena capitale e contro vari abusi (dei quali l'esempio più noto è il campo di detenzione di Guantanamo), e tende a condividere la diffidenza verso le autorità in genere, siano esse militari o civili, e la perplessità a fronte di un sistema carcerario sempre più privatizzato (la percentuale dei detenuti rispetto alla popolazione è la più alta del mondo, e nelle carceri quella degli uomini e delle donne di colore è proporzionalmente altissima).
Tutto questo si riflette nella confusa mischia del cyberspazio, luogo di svolgimento di inarrestabili contese tra l'America ufficiosa e quella ufficiale.
In una situazione economica in continuo deterioramento in cui il fossato tra ricchi e poveri si allarga sempre più, e a fronte degli incredibili sperperi, della corruzione ai più alti livelli della società e delle privatizzazioni selvagge, che mettono e repentaglio quanto rimane del sistema di sicurezza sociale, le tanto celebrate virtù del sistema capitalistico appaiono sempre più indifendibili.
Davvero l'America è unita intorno al suo presidente, alla sua politica estera bellicista, al pericoloso semplicismo della sua visione economica?
O in altri termini: l'identità americana è stata veramente stabilita una volta per tutte? E il mondo dovrà quindi adattarsi a convivere con l'immensa potenza militare di un blocco monolitico che ha dispiegato le sue truppe in decine di paesi e bombarda a destra e a manca chiunque non si pieghi al suo volere, con il pieno assenso di «tutti gli americani»?
Ho cercato di suggerire qui un altro modo di vedere l'America: un paese percorso da conflitti, ove la contestazione è molto più vivace di quanto generalmente si creda.
Un paese che sta vivendo una grave crisi d'identità. Avrà anche vinto la guerra fredda, come oggi ci si compiace di dire, ma le conseguenze di questa vittoria sul piano interno sono tutt'altro che univoche. E la lotta non è finita. Limitandosi a concentrare l'attenzione sul potere centrale, politico e militare si perde di vista una dialettica interna tuttora in atto, e ben lontana dall'essere risolta.
... Ogni cultura - e in particolar modo quella americana, che è essenzialmente una cultura di immigrati - è formata da numerose componenti che si accavallano e si sovrappongono in vari modi.
E forse, una delle conseguenze «collaterali» della globalizzazione è il sorgere di comunità transnazionali, che si mobilitano su tematiche di carattere globale - come nel caso dei movimenti impegnati per i diritti umani, per la liberazione della donna o contro la guerra.
Gli Stati uniti non sono affatto isolati da tutto questo. L'importante è saper vedere al di là delle apparenze, e non lasciarsi scoraggiare da una superficie apparentemente compatta, per collegarsi alle varie correnti del dissenso su temi che interessano tanta parte dell'umanità su questo pianeta.
Da questo diverso modo di guardare all'America possono sorgere motivi di speranza e d'incoraggiamento.
Per l’articolo intero vedi qui.
Gracias a la vida
Brindiamo alla caduta di Saddam.
Dichiarazione di un pacifista dichiarato.
Il regime di Saddam è finito: provo una grande soddisfazione quando vedo le statue rovesciate.
Ringrazio...(qui mi fermo a riflettere)... dovrei ringraziare i soldati americani e inglesi che hanno con rischio e sacrificio cacciato il gruppo di potere che si era impossessato delle ricchezze del paese, succhiando il sangue e l’anima di quel popolo – grande popolo, variegato, per niente omogeneo, ricco di storia, evoluto mentalmente in maniera superiore ad altri popoli circonvicini, anche per merito delle donne che non si fanno trattare come le compagne, per esempio, dell’Arabia Saudita...
Ma questo ringraziamento è fuori luogo, perché questi soldati, "strumenti ciechi d'occhiuta rapina", hanno seminato morte e distruzione. Essi non sono stati mandati per liberare il popolo iracheno.
La liberazione da Saddam è soltanto un effetto collaterale, che viene utile per questa ennesima “operazione camuffata.” Saddam si sarebbe potuto chiamare Mossadeq (1953) o Allende (1973).
La liberazione da Saddam potrebbe voler dire la sua sostituzione con un regime ancora peggiore: i falchi che hanno mandato i soldati contro tutto il resto dell'umanità, sono specialisti nel succhiare sangue e anime.
Il gruppo di potere rappresentato da Cheney e Rumsfeld, Paul Wolfowitz (impariamo questo nome: per lui vale forse un discorso a parte) ha in mente banalmente e semplicemente e tranquillamente la conquista del pianeta: europa, inghilterra compresa, medioriente, america latina sono i cortili dello zio protettore, l’ONU è il tappetino davanti alla porta (doormat= stoino, zerbino).
Ma dai cortili si è alzata una polvere tempestosa e lo zerbino è scivolato sotto i piedi.
Tocca a questi cortili, a questo zerbino rimediare al male fatto, non permettere che il sangue versato vada ad alimentare la macine di questo mulino assassino. Tutto il sangue, quello degli assaliti e quello degli assalitori. E insieme al sangue le altre distruzioni fisiche, materiali, morali.
Abbiamo visto la Direttrice del (ex) museo archeologico di Bagdad piangere come una vite tagliata di fronte alle vetrine vuote, ma chi scrive ha visto un intero tempio egiziano dentro un museo americano (dono dell’Egitto in cambio dell’aiuto per la costruzione della diga di Assuan) . Le agenzie di stampa già pubblicano le bozze di Legge che permetteranno il trasferimento legale della colonna di babele, dell’arca di noè, delle piante originali del paradiso terrestre, delle mura di Ninive, delle tavolette di Ur, della culla del vecchio padre Abramo dai deserti dell’arabia alle ampie distese dell’america. Le stesse agenzie pubblicano i nomi degli uomini d’affari ai quali verrà affidato l’appalto del commercio antiquario.
Non parliamo del petrolio, perché questo l’han capito anche i polli in batteria degli allevamenti arena.
Pare che la nuova democrazia irachena programmata da Rumfeld-Wolfowitz debba avere come braccio-ladro un bancarottiere e come braccio-armato un generale filoisraeliano.
Questi sono i conti, fatti in lunghi anni di preparazione in territorio dixieland, dagli oilmen texani arrivati al potere in maniera fortunosa col 18% dei voti degli aventi diritto.
Ma non si possono fare i conti senza l’oste.
E l’oste c’è stato; e pare ci sia ancora.
E’ un oste a più braccia; queste braccia si chiamano Opinione pubblica mondiale, Francia, Belgio, Germania, Russia e Cina, confessioni religiose, vaticano in testa...
In questo momento l’Iraq è disfatto, bottino di guerra. Teniamo gli occhi ben aperti. Dopo gli sciacalli arriveranno le tigri e/o i leoni. Non perdiamoli di vista per un solo momento. Aiutiamo gli americani, intendo il popolo americano, prima ancora degli iracheni.
Gli americani sono in mano ad una oligarchia potente. Gli americani sono più ingenui di noi europei, non è così difficile far loro credere che cristo è morto dal sonno. Bastano le televisioni di Murdoch, anche la CNN (pare), la benzina a prezzo stracciato, la luce elettrica gratis, e gli hamburger dei fratelli McDonald, una scuola inferiore fatta alla io boia, e la grande periferia americana è a posto.
Aiutiamo anche Blair, prima che se lo mangino i texani, aiutiamo anche gli Israeliani a domandarsi: " ma ci conviene proprio continuare a fare la testa di ponte in territorio arabo per i petrolieri Usa, a uso e consumo degli affari di Cheney and Company?"
L'Europa ha qualcosa da insegnare agli americani; a loro non è mai capitato di vedere i sindacati nazionali in sciopero allo scoppio di una guerra con il numero 1 del più grande sindacato in corteo dietro le bandiere arcobaleno: mentre scrivo vedo Epifani alla manifestazione pacifista di Roma, di fronte alla TV sta parlando di legalità internazionale e dichiara che questa è una guerra di colonizzazione. Nel corteo di Roma sento un altro personaggio che non conosco dichiarare che negli USA la stampa e la tv ce l’hanno in mano gli amici di Bush.
Sento che il nostro capo del governo ha detto che la nostra Costituzione contiene articoli di stampo sovietico. Non è possibile. Sovietica sarà l’annunciatrice del terzo canale che afferma questo.
Sul canale regionale toscano appare Gilberto Gibs, musicista di Bahia, ministro della cultura brasiliano: è qui a Firenze, ospite d’onore in Palazzo Vecchio.
Viva il Brasile, viva la Toscana.
Stiamo vivendo un grande momento storico.
Manteniamo la calma e cantiamo latinoamericano:
Gracias a la vida, que me ha dado tanto. |
Scarica la musica con Winmix o con Kazaa o iMesh.
Winmix me la scaricata con la voce di Joan Baez. Ma per questa canzone preferisco Mercedes Sosa.
Alle 20,50 sul primo canale Laura Pasini e Gianni Morandi cantano Grazie perché. La canzone finisce dicendo: non siamo soli.
Appunto. Buonasera dal Barba.
La casa di Loreto e l'arcangelo Gabriele
Stanotte ho sognato: il palazzo delle Nazioni Unite si è staccato dai fondi rocciosi di Manhattan, ha fatto alcune circonlocuzioni intorno alla strada del muro, una sosta d'un attimo su ground zero, poi si è alzato e ha puntato verso nord: Boston, i Grandi Laghi e giù in planata via via rallentata con atterraggio morbido su Toronto.
Il palazzo ha sorriso e lì è rimasto.
Secondo sogno: Tel Aviv, vento caldo dal deserto iracheno, una tromba d'aria, via via più lucente, va verso il palazzo del governo, entra e ne esce con dentro Sharon. Un breve giro su Jenina, Hebron, Gaza e poi via verso il Nord Europa fino in Olanda, all'Aia, l'antica capitale. A fianco della tromba, a mo' di scorta, una forma biancastra come d'un fantasma: l'arcangelo Gabriele con la faccia di Rabin.
E lasciatemi dormire.
Bowling a Columbine
CAST TECNICO ARTISTICO
Regia: Michael Moore
Sceneggiatura: Michael Moore
Fotografia: Brian Danitz, Michael McDonough
Montaggio: Kurt Engfehr
Musiche: Jeff Gibbs
Prodotto da: Tia Lessin, Siobhan Oldham
Distribuzione: Mikado
Durata: 123'
Bowling a Columbine è un documentario. Un documentario che prende di petto la passione/assuefazione per le armi del popolo americano, cercando non solo di mostrarne la manifestazioni in superficie, eclatanti, odierne, come il massacro tra studenti all'high school di Columbine, ma di risalire alle cause profonde radicate nella storia del paese, ripercorsa tramite una geniale sequenza animata. Michael Moore, il 49enne regista, ha fatto un mezzo miracolo, di coraggio, passione, obiettività, opportunità. Perché solo un folle dalle spalle larghe poteva permettersi di tirare fuori quest'opera in questo momento storico, in un America post 11 settembre battuta dai venti del riarmo, della paranoia collettiva elevata a sistema di vita, condendo il tutto con una vena umoristico-sarcastica che lascia attoniti per brillantezza e intelligenza.
...due cose ci piacciono in particolare perché testimoniano l'onestà intellettuale di Moore.
La prima è quella di non "trattare" la singola immagine o inquadratura, ricercando, come è giusto che sia in un impresa delicata come questa, il funzionamento e la dimensione estetica nella fase di assemblaggio/montaggio di materiale eterogeneo, teso alla "costruzione" di un discorso coerente.
La seconda è l'attitudine dialettica che lo porta ad effettuare sempre un percorso a ritroso, dal fenomeno alle cause sottese, dalle stratificazioni esterne al nucleo.
In questo caso, le stratificazioni esterne sono gli undicimila morti all'anno per arma da fuoco in America, la diffusione capillare di armi nei quartieri residenziali bianchi, le stragi scolastiche.
Il nocciolo è la "paura", la cultura della paura in cui l'americano medio cresce e sguazza, che alimenta il paranoico istinto alla conservazione e protezione di se stessi e auspica l'individuazione di un nemico a tutti i costi.
Cultura imposta dai media e dai poteri economici, strumento di guadagno e di controllo.
Perché, dice Moore, l'uomo insicuro è un buon "consumatore", e, aggiungiamo noi, l'uomo insicuro è più facilmente manipolabile.
Bowling a Columbine. Dovrebbero vederlo tutti, dovrebbe essere proiettato nelle scuole.
Giorgio Nerone
Per il testo completo, qui.
I mass media
Negli USA le intelligenze vengono sfruttate solo per la ricerca scientifica e militare; la popolazione, al contrario, viene allevata nella più spaventosa stupidità dai mezzi di comunicazione."
( Dal blogger di Aldo)
I mass media sono solo uno degli elementi del più vasto sistema dottrinale: ne fanno parte anche i giornali di opinione, le scuole, le università, gli studi accademici eccetera.
Il sistema dottrinale mira a colpire due diversi bersagli. Il primo viene talvolta chiamato "classe politica": quel 20% circa di popolazione relativamente istruita, più o meno articolata, che svolge un qualche ruolo nel meccanismo decisionale. Che costoro accettino la dottrina è vitale, perché occupano una posizione tale da poter definire le direttive e l'attuazione dell'azione politica.
Poi c'è il restante 80% circa della popolazione. Sono i "semplici spettatori" di Lippman, di cui egli parla come del "gregge disorientato". Da loro ci si aspetta che obbediscano agli ordini e si tengano fuori dai piedi della gente importante. Sono il bersaglio degli autentici mass media: i giornali popolari, le situation comedy (=spettacoli di varietà), il Super Bowl (= Coppa Campioni), eccetera.
Questi settori del sistema dottrinale servono a distrarre il popolo ancora grezzo ed a rafforzare i valori sociali fondamentali: la passivítà, la sottomissione all'autorità, la virtù suprema dell'avidità e del profitto personale, l'indifferenza verso gli altri, il timore dei nemici, reali o immaginari, eccetera. Lo scopo è di fare in modo che il gregge disorientato continui a non orientarsi. Non è necessario che si preoccupino di quel che accade nel mondo. Anzi, non è desiderabile: se dovessero vedere troppo della realtà, potrebbero farsi venire in mente di cambiarla.
Ciò non significa che i media non possano farsi influenzare dalla società civile. Le istituzioni dominanti - politiche, economiche o dottrinali che siano - non sono immuni dalle pressioni esercitate dall'opinione pubblica. Anche i media indipendenti (alternativi) possono svolgere un ruolo importante. Sebbene dotati (per definizíone) di scarse risorse, acquistano importanza allo stesso modo delle organizzazioni popolari: unendo le persone con risorse limitate che, interagendo tra loro, possono moltiplicare la loro efficacia e la loro comprensione - il che costituisce esattamente quella minaccia democratica tanto temuta dalle élite dominanti.
Tratto da: Noam Chomsky "I cortili dello Zio Sam" - Gamberetti da tasca, pg.99-100.
Puoi leggere il capitoletto qui.
Guida alla lettura
Gli Etruschi erano bravi a leggere e scrivere.
Da bravi agricoltori usavano la penna come l’aratro: sinistra-destra, destra-sinistra, senza mai staccare.
Si chiama scrittura bu-strofedica: la svolta del bue.
Ma qui con i post il sistema etrusco non vale. Qui ci vuole lo specchio del dentista; chiamiamolo tooth-mirror: si guarda sotto per capire sopra.
C’è anche un’espressione greca che ci può forse aiutare: ùsteron-pròteron, che significa dopo-prima, nel senso che il dopo viene prima.
Si usava questa espressione per indicare il trucco usato in tanti libri sacri, dove si scrivevano cose già accadute, dicendo che erano state scritte prima che accadessero. Così da semplici notizie di cronaca diventavano profezie: che era tutta un’altra cosa.
Insomma, per questa volta, per il post su S.Francisco, vi consiglio di cominciare dal pezzo del 3 Aprile, che per voi viene dopo ma è scritto prima: ùsteron-pròteron.
Buona lettura.