Cara Paola,
approfittando di un viaggio in treno ho letto con calma e piacere i tuoi racconti, riscoprendo sentimenti, situazioni, parole (la manopola della televisione, l'accalappiacani) e sapori (il gorgonzola e la minestrina) quasi dimenticate nella mia affannata quotidianità. Mi sono sentita "aldilà dello specchio" della casalinga della Distrazione anche se non è la casa che ho fin sopra i capelli (anzi vorrei starci di più), ma i "ciuffi" sono anche per me penzoloni...perchè se non è la casa, ci sono sempre mille altre cose fuori di te che premono, quei "doveri" che ami ed odi allo stesso tempo.
Il racconto che più mi ha affascinato è stato il Giardino pubbliuco: avrei voluto che quello scambio di lettere silenziose e discrete non avesse mai fine ed, iniziato così per caso, potesse durare tutta la vita. Non sognamo sempre tutti qualcosa che duri "per sempre"?
Grazie delle belle ore che mi hai regalato,
un caro saluto
Mariella.
Il racconto citato da Mariella Zoppi è il sesto, a pag.25 di "Identità intermedia", Tufani ed. 2006, Ferrara.
Giardino pubblico
Gentile Signora,
due settimane fa passeggiavo per questi giardini in un pomeriggio di sole, quando l’ho vista seduta su una panchina a leggere un libro. La giornata era così fredda, anche se terza e splendente che mi è subito parsa una cosa stupefacente vedere una donna che stava immobile per mezz’ora, ma certo poteva essere anche di più se si pensa che lei era già lì prima di me, sola in quel giardino deserto. Mi sono attardato infatti a girellare intorno, tenendomi a distanza. Un gran desiderio mi ha preso di sapere di che libro si trattava e, siccome insieme alla curiosità sentivo uno stringimento che potrei chiamare di gelosia, ho dovuto rendermi conto che ero geloso del libro che assorbiva tutta la sua attenzione. Un piccolo libro grigio di cui non potevo assolutamente indovinare il contenuto. Un romanzo, un saggio, una cosa seria, un passatempo leggero, non lo so. Ma non potevo avvicinarmi senza distruggere l’incanto che era fatto un po’ anche dal mistero. Così alla fine me ne sono andato e poi ho dimenticato quasi subito. Eppure in queste due settimane i miei pensieri sono stati così a lungo in sua compagnia, cioè di quel poco che so di lei, la linea pensosa del viso, la scriminatura tenue dei capelli nel mezzo della fronte e la mano piuttosto piccola che saliva ogni tanto ad allontanare i capelli, che non sa più come richiamarli ai loro percorsi soliti. Infatti scappano ogni tanto, si assentano per andare a sedersi dove avrei voluto sedermi io, sulla panchina, a rispettosa distanza.
Così sono diventato un uomo estremamente distratto, anzi astratto, completamente perso fuori da me stesso.
Caro Signore,
la ringrazio di non essersi seduto sulla panchina, perché davvero si sarebbe sciupato qualcosa. Io l’ho vista, anche se non subito, ma non ho alzato gli occhi perché mi è piaciuto vederla così come una persona di cui potessi pensare qualcosa che non sarebbe stato sciupato da un gesto non perfetto o da una parola inopportuna. Del resto qualcosa cui appigliarmi ce l’avevo, il suo cappotto scuro col bavero alzato, prima di tutto. Ora i cappotti non si usano più, non li porta più nessuno, ma a me gli uomini coi cappotti scuri son sempre piaciuti perché prendono quell’aria un po’ demodé, decisamente introversa e se posso dire, vagamente sognante. Guardi, mi ha ricordato Gerard Philipe, il mio attore preferito, da sempre. E poi naturalmente il cappello, scuro anche quello, Dio che meraviglia i colori scuri d’inverno perché si inseriscono bene nel paesaggio. Lei lo porta davvero un po’ all’antica il cappello, con la tesa grande e spiovente. Per quanto in un certo senso questi cappelli scuri e così grandi diano anche un aspetto d’ambigiutà.
Quando lei è scomparso per i vialetti del giardino, mi sono resa conto che ero arrivata in fondo alla pagina senza capire nulla.
Cara Signora del libro misterioso,
questa si che è una buona notizia! IL mio vecchio cappotto nero che stava lì nell’armadio da almeno dieci anni e che ho pensato di ritirare fuori perché quest’inverno ha deciso di essere molto freddo e lui invece è molto caldo, le piace. Forse se mi siederò accanto a lei la prossima volta, potrà constatare che gli manca l’ultimo bottone e che la stoffa è piuttosto consumata, ma anche secondo me è ancora un capo molto dignitoso. La ringrazio di cuore per avermi in qualche modo paragonato a Gerard Philipe.
Secondo me, che al cinema ci sono sempre stato di casa, scegliere il suo viso per un personaggio maschile significava mostrare che c’è nell’uomo una componente di poesia che, per la verità , mi sembra sia, almeno per ora, irrimediabilmente scomparsa. Il fatto poi che lei mi veda come un sognatore va a toccare una parte profonda di me, dove sta nascosto per affacciarsi di tanto in tanto il mio umor malinconico. Per molto tempo mi sono vergognato della mia malinconia. Non è di moda, lo so, e non attira nemmeno le simpatie. Eppure oggi propendo a vederla come la fonte di molti piaceri, da quello di saper gustare un paesaggio o un quadro a quello di poter afferrare al volo certi passaggi particolari della musica. Mozart per esempio, che ha tutta le sfumature dell’emozione, quella della malinconia ce l’ha in un modo speciale. Voglio dire una malinconia bella, alta, serena, che può fare grande compagnia. Dolce signora del libro, che lungo discorso ho fatto. Ho proprio approfittato. Un saluto molto interessato al libro misterioso.
Caro Signore,
sono giusto passate quattro settimane e io sono tornata due volte su quella panchina, ma non l’ho più vista. Devo pensare che lei è stato molto molto occupato in tutto questo tempo o che l’avermi scritto quella bella lettera ha esaurito tutta la voglia che lei aveva di mettersi in contatto con me? Mi scusi per la brutalità, forse queste cose non le dovevo dire, perché veramente la sua lettera mi ha fatto tanto piacere dal momento che posso conoscerla meglio e quello che dice di sé mi piace. A proposito della malinconia, sa che ogni volta che arrivava novembre, non ne sopportavo l’atmosfera cupa, il grigiore della nebbia. Questo succedeva prima. Ora sapesse quanto mi piacciono le sue brune dense che sembra nascondano tante cose. E i colori che vedo dalla mia finestra, soprattutto il viola scuro dei boschi inframezzato dagli spiazzi più chiari dell’erba secca. Rimpiango solo che non si vedano animali in questo paesaggio invernale. Non si meravigli se parlo di queste cose. La mia casa sta all’estrema periferia della città e dai piani alti si vede la collina. Del resto, quello che non vedo lo immagino.
Cara amica,
Davvero ogni volta che le scrivo mi pare di essere più vicino a lei, dal momento che sento dietro le sue descrizioni di paesaggi tutta l’emozione e l’amore per la vita che lei ha. Mi pare che veda la campagna con l’occhio di una pittrice. Forse oltre a leggere libri misteriosi, lei dipinge anche quadri suggestivi in cui i colori predominanti sono il giallo e il viola. Chissà se sono molto moderni nell’esecuzione oppure più tradizionali. Non mi rimproveri per non essere venuto. Davvero non è stato possibile. Spero però di poterla rivedere presto, al solito posto.
Signore,
dal momento che non ci siamo più visti, penso che questa sia la mia ultima lettera. Infatti che senso può avere una nostra corrispondenza che rischia di avvicinarsi ogni volta di più senza che la nostra convergenza ci trasferisca sul piano dell’impatto fisico, se questa espressione non le sembra poco poetica. Forse lei ha una moglie e a questo punto vuole agire da marito leale. Sono d’accordo, perfettamente. Dunque, la saluto e le auguro ogni bene.
Mia cara,
accetto con piena consapevolezza il suo tono improvvisamente freddo e sbrigativo, anche se forse mi sembra eccessivamente punitivo e se intuisco nelle sue parole una notevole forzatura. Quale sarebbe la mia colpa? Una moglie? Non sono mai stato sposato. Non ho quindi nessun debito con nessuno. Forse con lei sì, signora del libro, a cui sono costretto a questo punto a confessare il mio segreto. In questo momento non vorrei vedere il suo viso dalle linee dolci, ma la verità è che io sono un fantasma, il fantasma del giardino, ideato dal costruttore cinquanta anni fa insieme a questo luogo. Credo che gli sembrasse in tono col giardino una figura di uomo che si aggirava qua e là come un impronta di vita più forte per un luogo che forse gli era sembrato troppo vuoto. In realtà non è che a me questo ruolo sia piaciuto molto, troppo limitato, troppo poco sostanzioso. Apparire, sparire, trascorrendo la vita fra desideri e rinunce. Poi, ci sono anche gli aspetti poetici, come lei sa. Io capisco che a questo punto lei non mi voglia ascoltare più, però le devo dire ancora una cosa. Erano molti anni che non scrivevo lettere a visitatrici del giardino e se piuttosto sfacciatamente l’ho fatto, gentile signora del libro, è proprio perché non ho saputo farne a meno. Tutta colpa del fatto che io sono un fantasma molto solo e lei una donna dalla seduzione discreta e poco comune, quel tipo di seduzione a cui gli uomini che amano le cose poco comuni difficilmente riescono a resistere. Se lei crede a quello che le sto dicendo, forse capirà il mio stato d’animo di questo momento. Spero che abbia finito il suo libro e che le sia molto piaciuto.
Saluti per me la sua collina dai bei colori invernali.
Signor fantasma,
credo che in fondo le abbia tutta la mia comprensione umana. Davvero il suo ruolo non è invidiabile, eppure far sognare qualche donna solitaria come me, e ce ne sono tante che non si crederebbe, non è cosa da poco. Lei è molto importante qui. Lo sa che questo è il giardino più frequentato della città? E che le donne sono molto più numerose degli uomini? E questo non è motivo di soddisfazione per lei? Via, non mi dica che aiutare a sognare non fa compagnia.
Lo sa qual è il titolo del libro, come lei dice, misterioso? “Racconti di fantasmi di Henry James. Un gran bel libro.
Chi ha trovato questo piccolo scambio di lettere sarebbe molto contento di poter dare una conclusione, per dire così, positiva a questa storia. Ma come? Intrecciare fra loro in maniera dura la vita di una donna viva e quella di un fantasma?
Non che manchino esempi letterari famosi. Jorge Amado, per dirne uno, nel famoso “Doria Flor e i suoi due mariti”, ma qui non c’è l’atmosfera giocosa e fantastica dei romanzi sudamericani e i due personaggi in questione sono in definitiva troppo seri e romantici perché si possa pensare di scherzare con loro. Basterà comunque riflettere al fatto che tutto quello che noi sappiamo della realtà e soprattutto di quello che ne sta fuori è quasi niente. Perciò sarebbe un imperdonabile errore considerare questa storia finita qui.
Un altro racconto lo trovi qui.