Quella mattina di dicembre, però, quando lessi sul giornale quello che avevano subito il signor Englaro e sua figlia, mi sentii umiliato come cittadino italiano.
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Il testo da me presentato:
Mi misi subito a leggere attentamente tutte le sentenze sul caso Englaro. Dovevo spiegare nei dettagli alla mia Giunta comunale, e in futuro, alla città il perché di una decisione così controversa. Iniziai la lettura di quelle sentenze con l'aspettativa un po' preoccupata di dovermi scontrare con una pesante e quasi incomprensibile prosa giuridica. Trovai, invece, dei documenti di una chiarezza, di una lucidità, ma soprattutto di una umanità esemplari. Mi sentii orgoglioso di essere italiano, di un Paese che, ha questa classe di giudici.
Parlavano con precisione, senza mezzi termini, dicevano che togliere il sondino naso-gastrico non era eutanasia, che mantenerlo era accanimento terapeutico. Toglierlo voleva solo dire garantire a Eluana il secondo comma dell'Art. 32 della Costituzione che sancisce il diritto a rifiutare le cure. Le sentenze parlavano della tragedia di questa donna, di quanto fosse devastante e senza appello la sua condizione di stato vegetativo permanente, di come loro, giudici, avessero proceduto per accertare, nei limiti di quanto possa essere ragionevole, quale fosse la volontà di questa persona. Parlavano dei temi più difficili e delicati, legati alla vita e alla morte e alla scienza, con una forza esemplare. Parlavano dei diritti che la nostra Costituzione garantisce come quelli all'Art. 2 sui diritti fondamentali della persona, all'Art.13 sull'inviolabilità della libertà personale. Parlavano della Convenzione di Oviedo sui diritti dell'uomo di fronte alla biomedicina.
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Pensai, e ne sono ancora convinto, che si dovrebbero leggere nelle scuole le sentenze sul caso Englaro. Tutti i cittadini dovrebbero farlo. Solamente così possono afferrare, di fronte ad un esempio concreto, il senso e la forza della nostra Costituzione. Il significato dei diritti umani, dei principi di libertà sui quali si basa. Feci fare tante fotocopie di queste sentenze che j distribuii a tutti i membri della Giunta e a tutte le persone che incontravo e con le quali parlavo di questo tema. Le diedi a quegli studenti che facevano la tesi con me. Quelle sentenze erano un tesoro di civiltà.
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Il testo integrale (pp.223-234 del libro citato "Gli ultimi giorni di Eluana" (i capoversi evidenziati in neretto sono quelli presentati da me nei due video).
LA TESTIMONIANZA di Furio Honsell
Il sindaco è la prima istituzione pubblica a cui i cittadini si rivolgono quando vivono una difficoltà per la quale non è ovvio a chi chiedere aiuto. Ma è anche l' istituzione a cui si rivolgono per ultima, per extrema ratio, quando tutte le altre istituzioni li hanno abbandonati o sono rimaste sorde alle loro richieste. Mi resi conto, molto presto, una volta eletto sindaco, di questa responsabilità che ricevevo, quasi indipendentemente dalla mia persona. Ne trassi uno dei principi fondamentali sul quale basare le mie azioni: incarnare un potere che sa ascoltare e sa rispondere ai cittadini, perché è loro vicino. Forse, scelsi di candidarmi a sindaco proprio perché, ancorché in modo inconscio, sentii che avrei potuto aiutare i cittadini. Non con l'arroganza di chi è certo di risolvere i problemi, ma con 1 'umanità di chi vuole aiutare le persone ad affrontare le loro difficoltà.
L' altro principio fondamentale che mi sono dato come sindaco è quello di operare con tutte le mie capacità, intelligenza e forza per garantire i diritti costituzionali ai cittadini .Perché la Costituzione italiana è il progetto etico-politico più importante che io abbia mai visto. Richiede un impegno costante per essere attuato. Seppur concisa, è un patrimonio straordinario di civiltà. E la carta della nostra umanità. Rispettarla ci fa essere una comunità, invece che un' orda.
La Costituzione garantisce tutte le libertà fondamentali ai cittadini, permettendo loro di poter esprimere la propria personalità umana individuale, nel rispetto di quella degli altri. La Costituzione garantisce quindi i diritti ad essere cittadini uguali, nel senso di avere pari opportunità di scelta e quindi il diritto al lavoro, all'educazione, alla giustizia, ...garantisce anche il diritto alla salute, che tanti paesi civili come gli Stati Uniti non hanno ancora. La nostra Costituzione repubblicana, nata dalla lotta di liberazione contro il fascismo, garantisce soprattutto il principio democratico che noi, come cittadini italiani, siamo cittadini autentici, che possono realizzare progetti di vita propri e non formiche che devono solo eseguirli, come vogliono tutte le dittature.
Forse come non mai, nella vicenda dei signori Englaro, questi due principi furono messi alla prova, ma anche esaltati e riaffermati nel modo più umano possibile.
Avevo vissuto la vicenda della signora Eluana Englaro negli ultimi mesi 2008 piuttosto da lontano. Non era, dopotutto, una cittadina udinese. Non avevo preso posizioni ufficiali, anche se quando I alcuni esponenti della politica locale avevano proposto di ospitarla al Policlinico "Città di Udine" per il suo "accompagnamento al fine vita" mi era sembrata una cosa giusta. Ma nessun mio intervento era stato richiesto. Non sono un politico opportunista e quindi non espressi manifestazioni ufficiali e continuai nel mio lavoro.
Quella mattina di dicembre, però, quando lessi sul giornale quello che avevano subito il signor Englaro e sua figlia, mi sentii umiliato come cittadino italiano. Perché quella subita da Englaro era un ' amarissima e crudele beffa. A poche ore dal trasferimento a Udine, il ministro della Salute, che da tempo aveva bloccato qualunque procedimento relativo a Eluana in qualsiasi struttura del Sistema Sanitario Nazionale, aveva ricattato la Regione FVG, e minacciato che se si fosse proceduto in qualsiasi struttura convenzionata con il Sistema Sanitario Regionale, seppure indipendente, come il "Città di Udine", avrebbe punito tutti.
Trovavo vergognoso che quegli stessi politici, che prima avevano promesso il loro aiuto a Beppino Englaro, strombazzandolo ai quattro venti, adesso tacessero, e che si fossero piegati senza battere ciglio, abbandonando un padre e una figlia alloro destino. Immediatamente pensai che La Quiete, l'Azienda per i Servizi alla Persona di Udine, avrebbe potuto essere meno vigliacca, perché autonoma e vigilata dal Comune di Udine. La Quiete riceve il suo indirizzo dal sindaco, che in persona, ne avvalla i cambiamenti di statuto e nomina 6 membri su 7 del suo CdA, compreso il presidente.
Pensai che La Quiete avrebbe potuto sfuggire al ricatto della Regione e del Governo. Bastava averne il coraggio.
Per questo motivo, quando alcune settimane più tardi, ricevetti una telefonata dall'on. Renzulli, conoscendone la vicinanza agli Englaro, senza che lui avesse il tempo di dirmi il motivo della chiamata lo anticipai, e dopo il. consueto "ciao" gli dissi d'un fiato "Sì, penso che si possa fare a La Quiete." Rimase sorpreso della mia risposta perché l' aveva ricevuta prima ancora di formularmi la domanda che intendeva pormi a nome di Beppino Englaro: di aiutarlo ad accogliere sua figlia Eluana. Chiamai subito il presidente de La Quiete Ines Domenicali e il suo vice Stefano Gasparin. Renzulli, come sua abitudine, aveva già esplorato buona parte della questione, e dissi loro di procedere per accogliere Eluana e di assicurare l' assistenza necessaria per attuare il "protocollo di accompagnamento al fine vita". E in questo senso si pronunciò il giorno dopo il suo CdA.
Allora pensavo bastasse prendere questa decisione perché si potesse rispondere alla richiesta di un padre. Non immaginavo che in quel momento sarebbero iniziate le settimane più intense della mia vita, sia dal punto di vista emotivo che razionale.
Settimane che avrebbero messo alla prova tutta la mia determinazione per difendere la Costituzione e per dare ospitalità a un padre e a una figlia, friulani, che chiedevano al Friuli di accoglierli. n giorno successivo feci una brevissima dichiarazione a un' agenzia stampa per dimostrare la mia vicinanza ai volontari e a La Quiete: " Attraverso la decisione della Quiete, di accogliere Eluana Englaro Udine dimostra di essere una città civile". In tutte le settimane successive, anche nei momenti di massima tensione, non feci mai altre dichiarazioni. Non volevo assolutamente dare l'impressione di voler strumentalizzare la vicenda, volevo sfuggire ad accuse, che comunque ricevetti, di volerla sfruttare per visibilità. Nessun sentimento era più lontano da me. Nel chiedere a La Quiete di accogliere Eluana Englaro, avevo agito in base a due dei principi ai quali mi sono sempre ispirato: rispondere ai cittadini che mi chiedevano aiuto e garantire loro .il diritto alla giustizia.
Mi misi subito a leggere attentamente tutte le sentenze sul caso Englaro. Dovevo spiegare nei dettagli alla mia Giunta comunale, e in futuro, alla città il perché di una decisione così controversa. Iniziai la lettura di quelle sentenze con l'aspettativa un po' preoccupata di dovermi scontrare con una pesante e quasi incomprensibile prosa giuridica. Trovai, invece, dei documenti di una chiarezza, di una lucidità, ma soprattutto di una umanità esemplari. Mi sentii orgoglioso di essere italiano, di un Paese che, ha questa classe di giudici.
Parlavano con precisione, senza mezzi termini, dicevano che togliere il sondino naso-gastrico non era eutanasia, che mantenerlo era accanimento terapeutico. Toglierlo voleva solo dire garantire a Eluana il secondo comma dell'Art. 32 della Costituzione che sancisce il diritto a rifiutare le cure. Le sentenze parlavano della tragedia di questa donna, di quanto fosse devastante e senza appello la sua condizione di stato vegetativo permanente, di come loro, giudici, avessero proceduto per accertare, nei limiti di quanto possa essere ragionevole, quale fosse la volontà di questa persona. Parlavano dei temi più difficili e delicati, legati alla vita e alla morte e alla scienza, con una forza esemplare. Parlavano dei diritti che la nostra Costituzione garantisce come quelli all'Art. 2 sui diritti fondamentali della persona, all'Art.13 sull'inviolabilità della libertà personale. Parlavano della Convenzione di Oviedo sui diritti dell'uomo di fronte alla biomedicina.
Mi resi conto, ancor di più, di quale eroe civile fosse Beppino Englaro. Con quale forza, con quale coraggio avesse saputo proseguire lungo un cammino pieno di difficoltà e di drammatici contrasti e dilemmi.
Lui, forse, contro tutto e contro tutti, era l'unico che dava ancora una umanità alla propria figlia proprio perché le dava la dignità di persona che ha ancora una volontà propria, che ha il diritto alla libertà, che è l’unica che possa disporre del proprio corpo come recita la Costituzione. Proprio lui che portava con sé il profondissimo dolore per la perdita di una figlia, che solo un padre può immaginare, forse.
Pensai, e ne sono ancora convinto, che si dovrebbero leggere nelle scuole le sentenze sul caso Englaro. Tutti i cittadini dovrebbero farlo. Solamente così possono afferrare, di fronte ad un esempio concreto, il senso e la forza della nostra Costituzione. Il significato dei diritti umani, dei principi di libertà sui quali si basa. Feci fare tante fotocopie di queste sentenze che j distribuii a tutti i membri della Giunta e a tutte le persone che incontravo e con le quali parlavo di questo tema. Le diedi a quegli studenti che facevano la tesi con me. Quelle sentenze erano un tesoro di civiltà.
Ma c' era un presupposto, perché il nostro fosse j uno Stato di diritto: si doveva portare a termine quella sentenza. Si doveva garantire il diritto alla giustizia la Englaro e a sua figlia. Inizia così per me una seconda fase nella vicenda tutta fatta di razionalità: aiutare Beppino Englaro a superare tutte le difficoltà giuridico-amministrative e anche burocratiche del trasferimento di sua figlia a La Quiete. In quei giorni più volte mi incontrai e parlai al telefono con l'avvocato Campeis, moltissime volte con i dirigenti de La Quiete, il presidente, i consiglieri di amministrazione, i responsabili del distretto sanitario. Si studiò per giorni in tutti i modi, e in tutti i dettagli, come superare tutte le difficoltà che potessero emergere. E per ogni difficoltà che si superava, come un 'idra, nuove difficoltà emergevano.
Sembrava che fosse impossibile raggiungere il semplice risultato di garantire l' esecutività di una sentenza che ero stata confermata in tutti i gradi di giudizio.
Avrebbe la valutazione di invalidità permesso immediatamente ad Eluana di entrare in graduatoria a La Quiete? e con quale formula? quale programma sanitario le sarebbe stato assegnato? da quale medico sarebbe stata presa in carico? I volontari, che non erano dipendenti de La Quiete, come avrebbero potuto sostituirsi ai dipendenti preposti a quelle funzioni? Se non si analizzavano in anticipo tutti i possibili intoppi si rischiava di far trasferire Eluana a La Quiete per poi ricadere nel divieto governativo e regionale, o farla ricadere sotto l' autorità di chi avrebbe subito il ricatto. Si rischiava di non poter eseguire il proto i collo dell'equipe di De Monte. De Monte rischiava di non poter essere il medico che la prendeva in carico, ...e numerosissime altre questioni sulla natura della struttura. La Quiete ricadeva nel novero di quelle strutture che la sentenza individuava come "confacenti"? No. Allora si poteva individuarne una sezione dove invece ciò poteva essere dichiarato. Sì. E allora chi lo poteva dichiarare tale? E così via. Pur essendo tutti i responsabili amministrativi disponibili a ragionare, sollevavano tutti i possibili cavilli, per non incorrere nella più piccola possibilità di azione legale o penale da parte della Regione e di una loro responsabilità per qualche abuso. Sentivo che dovevo dare tutta la garanzia politica che potevo, ma allo stesso tempo mettere tutte le mie capacità razionali per controbilanciare e superare tutte le possibili difficoltà e problemi e cavilli che venivano sollevati. Come nelle più difficili ricerche che avevo condotto nella mia precedente attività di professore universitario di matematica, tutta la mia intelligenza era concentrata sulle regole dei sistemi sanitari e ospedalieri. Certamente avevamo tanti alleati e tra questi il primo era il presidente de La Quiete. Ma mi ricordo che in più di una occasione dovetti usare tutta la mia autorità per contrastare chi continuava a contrapporre sempre nuove difficoltà. Fu in uno di questi momenti che incontrai per la prima volta Beppino Englaro, di persona. Fu un'esperienza straordinaria. Provai un' autentica soggezione, come l'avevo provata in vita mia in occasione del primo incontro con il presidente della Repubblica, o un premio Nobel, o un vecchio eroe partigiano. Sentivo la sua forza, la sua intelligenza, il suo coraggio, quello di chi sa rischiare in prima persona per tutti gli altri. Non riuscii quasi a dire nulla. Percepii solo la sua grande umanità. Sentimenti analoghi provai anche nel mio primo incontro con De Monte, eroe civile anche lui con tutti i volontari, che rischiavano tutta una carriera, tutto, per affermare un principio e cioè l'ltalia come uno Stato di diritto. Avevano il coraggio di fare delle scelte, di essere degli attori e non degli spettatori. A dire il vero anch' io rischiai .Per la mia decisione . in quei giorni si dimise un assessore della mia Giunta, per polemica, e i giornali diedero ampio spazio alla fragilità della mia maggioranza. Arrivammo ad un passo che venissi sfiduciato e si dovesse chiudere, dopo meno di un anno, la mia esperienza di sindaco. I partiti politici e il Pd non mi abbandonarono, però. Riuscirono a gestire politicamente anche quelle ampie aree alloro interno che avrebbero preferito che Eluana Englaro non fosse stata accolta a La Quiete. Non mi incoraggiarono a proseguire, certo, ma nemmeno mi chiesero di fermarmi, si limitarono ad invitarmi alla prudenza. Ricordo però che alcuni consiglieri cattolici del Pd capirono a fondo la questione. In un'intensa riunione seppero interpretare la figura di Beppino Englaro in termini di carità. Furono dalla mia parte insieme agli altri membri della mia Giunta. Ma in ultima analisi l' azione era mia perché del sindaco è l'ultima responsabilità, quella di garantire i diritti ai cittadini. Malgrado le polemiche intensissime di quei giorni, i tanti messaggi di condanna ma anche di incoraggiamento che ricevevamo per lettera e per posta elettronica, alla fine però la questione per me si chiarì. Era lineare, dopo tutto, dal mio punto di vista: ascoltare, accogliere e aiutare due cittadini, un padre e sua figlia, ad avere la giustizia che gli era stata negata da un Governo che non rispettava la separazione dei poteri garantiti dalla Costituzione: quello esecutivo e quello giudiziario. Ma, da questo punto di vista, il peggio doveva ancora arrivare. Ricordo con molta emozione la notte nella quale fu trasferita Eluana Englaro. Non riuscii a dormire. Periodicamente ricevevo dei messaggi da De Monte, che mi informava di come erano state superate le varie difficoltà a Lecco e lungo la strada.
Mi sentii con il questore per assicurarmi che non ci fossero intralci per le vie di Udine o davanti a La Quiete. In ogni istante qualcosa poteva incepparsi e quei due cittadini potevano non vedersi riconosciuto quanto tutti i livelli del nostro sistema giudiziario avevano loro assicurato .
Anche nei giorni successivi, numerose volte Renzulli mi chiamò perché qualcosa si bloccava e si rischiava di non riuscire a dare giustizia agli Englaro e mi chiedeva di intervenire con l' autorità di sindaco presso questo o quell'organismo o persona.
Ma appunto il peggio doveva ancora arrivare. Nelle giornate successive iniziò infatti una vera e propria lotta contro un potere disumano. Ad ondate successive venivano mandate forze dell'ordine a fare ispezioni per cercare qualcosa che non andasse, per obbligare La Quiete ad interrompere il protocollo.
Vennero prima da Udine, poi da Trieste e infine da Roma. Vennero per fermare la giustizia. Sentii in quel fine settimana l'oppressione del potere quando va contro i cittadini e viola i loro diritti umani . Ad un certo punto il governo preparò un decreto per dichiarare fuori legge il protocollo avviato per Eluana Englaro. Non si sapeva cosa avrebbe fatto il presidente Napolitano. Chiesi al mio staff di chiamare il Quirinale e chiedere se potevo parlare con lui al telefono, per spiegargli cosa stava succedendo qui a Udine. Mi guardò stranito. Mi disse: ma vuole che il presidente le risponda? Dissi: ma sono il sindaco della città dove si sta combattendo una battaglia per difendere la Costituzione, il Quirinale mi risponderà. Ebbene dopo alcuni minuti il presidente Napolitano in persona mi richiamò. Gli dissi che ero il sindaco di Udine, gli spiegai cosa significava quanto stavamo facendo, che lo stavamo facendo nel migliore dei modi, con la massima attenzione, che era in gioco il diritto alla giustizia di un cittadino. Gli dissi che "noi tutti siamo con lei, signor presidente, nel darle coraggio a non firmare". Mi ringraziò, dicendomi che non ne aveva bisogno, che non dovevamo preoccuparci, aveva già deciso di non firmare e di lì a poco avrebbe diramato, come di fatto avvenne, le motivazioni della sua decisione. Lo ringraziai e di nuovo mi sentii orgoglioso di essere italiano . In quelle giornate ogni tanto De Monte veniva a parlarmi, per scaricare la tensione. Tutte le mattine telefonavo alla presidentessa de La Quiete per farle _sentire la mia vicinanza. La domenica ci fu tutta una serie di telefonate con il responsabile dell' azienda sanitaria e de La Quiete. La Regione che prima aveva voluto aiutare Beppino Englaro, adesso cercava di bloccare tutto. Le manifestazioni inscenate fuori da La Quiete si intensificavano, ci chiedevano di autorizzare la predisposizione di maxischermi nelle strade. Bloccammo tali richieste. Le TV trasmettevano interventi feroci di tante persone che si arrogavano il diritto di parlare contro il diritto di alcuni cittadini. Furono momenti difficili.
Come ho detto continuavo a rifiutare interviste. Non c'era bisogno di posizioni pubbliche, le azioni che non svolgevo sotto le telecamere richiedevano già tutta la mia energia. Non volevo dare l'impressione di voler sfruttare questo episodio dal punto di vista mediatico. La questione era troppo alta e troppo seria. Riguardava il senso più profondo di fare il sindaco. La responsabilità nei confronti dei cittadini, della giustizia. In privato contribuivo a dare coraggio. Ci fu comunque sabato pomeriggio una manifestazione in mio sostegno. Uscii solo per qualche minuto dal municipio, ringraziai e me ne andai. Udine intanto era il centro del mondo mediatico.
Veniva presentata in modo molto controverso. Da parte mia ero certo, invece, che Udine fosse al centro di una battaglia per i diritti umani, per il diritto di ottenere giustizia, di poter rifiutare le cure e di essere responsabili del proprio corpo. Infine, come di sorpresa, arrivò quella sera. Renzulli mi telefonò dicendomi che gli avevano telefonato che tutto era finito. Che Eluana, prima del previsto, con leggerezza, se n'era andata. Sentii un forte e sincero moto di affetto e di riconoscenza per questa donna che attraverso suo padre ci aveva saputo dare tantissimo, forse la cosa più grande che sia possibile dare, la fiducia e la riconferma nei nostri ideali. Provai un senso di pietà per tanto dolore, così umano. Abbiamo parlato alla città di Udine del fme vita attraverso dibattiti pubblici e spettacoli teatrali, ma sempre con rispetto per le opinioni di tutti i cittadini , anche quelli che, avendo familiari in stato vegetativo permanente, hanno fatto scelte diverse da quelle di Beppino Englaro. Alcuni di questi mi hanno anche 0%" chiesto aiuto per sostenerli nella loro scelta. ~ Quando rivedo Beppino Englaro provo sempre gli ,; stessi sentimenti ed emozioni della prima volta, oltre a un sentimento di fratellanza e di riconoscenza. Penso sia un eroe civile. Non di certo per l'eutanasia egli si è battuto, ma per dimostrare che l'Italia è uno stato di diritto, perché è un uomo che crede nella Giustizia, nel senso più pieno e più difficile del termine. Ci ha dato la possibilità di sentirci appartenenti ad uno Stato e a una comunità che ha dei valori. Englaro è un eroe vero, moderno, non violento: anziché optare per una soluzione ipocrita, ha scelto la strada della trasparenza e del rigore, del rispetto delle leggi e della Costituzione. Una strada lunga oltre una decina d'anni. Non so quanti, francamente, l'avrebbero percorsa con quella tenacia, forza, lucidità, speranza e fiducia nelle istituzioni. Gli stessi sentimenti provo quando incontro i volontari, De Monte, Domenicali, Gasparin, Renzulli e i molti che in quelle giornate hanno dimostrato la forza dei loro ideali. In quelle settimane sarebbe bastato cedere anche solamente per un istante, non vigilare con la massima attenzione anche solo un momento, per non fare nulla e quindi scivolare nel grigiore di chi si piega a un potere che ritiene ingiusto e pertanto disumano. Grazie a tutti questi eroi civili, non lo abbiamo fatto. Quando, in un'intervista di fine d'anno, la giornalista mi chiese tra le tante domande, anche quella di "chi fosse stato 1 'udinese dell'anno" senza esitazione ho detto Eluana Englaro.
Perché, anche se forse in vita era passata solamente di sfuggita da qui, morendo a Udine aveva contribuito a renderla una città ancora più civile, e così facendo sarebbe sempre rimasta presente per tutti noi. Lo conferma il comportamento che hanno avuto gli udinesi e i friulani in quei giorni. La città e il Friu1i, il mondo cattolico e quello laico, tranne rarissime eccezioni, tutti si sono comportati in modo esemplare.
Contrari o favorevoli che fossero. n confronto, tranne qualche stonatura di qualche esponente del mondo politico, è stato serio, civile, pacifico, maturo. La città ha avuto rispetto per Beppino Englaro e per la sua sofferenza, lo ha capito, accolto, anche al di là delle convinzioni personali. Non ci sono mai stati momenti di intolleranza, pur nella forte tensione emotiva. La città ha avuto un comportamento esemplare e io la ringrazio. Sapremo essere sempre a11'altezza di questi valori, così come in quei giorni? Grazie Udine, grazie Beppino, grazie Eluana.