12 Aprile, Lunedì di Pasqua.
Una bella scarpinata casentinese in compagnia di Massimo, Sergio, Mario, Roberto e Giuseppe. Il tempo è nuvolo, quasi piove, ma non fa niente. Appuntamento a Soci. Si parte a piedi in direzione di Lierna. E’ la zona collinare che appartiene in gran parte al monastero di Camaldoli, luoghi della mia infanzia. Si attraversano i vecchi poderi da tempo abbandonati dai mezzadri: case fino a poco fa in rovina sono in gran parte ristrutturate; alcune già funzionano da agriturismo, altre, ancora disabitate, in attesa di destinazione. Boboli è un vecchio podere dei frati camaldolesi: la casa-fattoria in fase di restauro avanzato è una vera chicca. La posizione eccellente.
Sergio, impegnato professionalmente nella valorizzazione turistica della valle, non si dà pace:
Vedi, un posto come questo, un edificio di questa bellezza e ampiezza, oggi lunedì di Pasqua dovrebbe esser pieno di gente in cerca di riposo e ristoro.
Ai Bocci, poco sopra, il vecchio podere è già agriturismo molto ben ristrutturato: lì i turisti ci sono. Rasentiamo la villa in mezzo al bosco del compianto prof. Bruno Migliorini, Storia della Lingua Italiana. Spiego a Massimo e Roberto che il prof. era grande amico di Santi, un vecchio contadino di Guzzigli – altro podere camaldolese- lì sopra. Santi, primo di 4 fratelli, era il capoccia della famiglia; era quello che doveva tenere i rapporti con i padroni, responsabile nel bene e nel male della conduzione dell’azienda mezzadrile: Santi era un uomo navigato e di parola fluida; quello che Carducci dice di nonna Lucia può valere per lui.
( Ricordate? Cito a memoria, aiutato da Roberto: la favella toscana …sonora discendea da la sua bocca…). Bene, l’amicizia del professore con il mio zio Santi non era disinteressata: molti termini usciti dalla bocca di Santi sono finiti nel vocabolario della lingua italiana. E ciò non fa d’onor poco argomento.
Il cammino è proseguito verso Case Nuove, Monti, S.Martino; rivista a due passi la natale Casa Bianca, incontrato D.Graziano, attuale responsabile amministrativo di tutte queste proprietà agricole, mia vecchia conoscenza. Si ritorna a Soci passando da Partina attraverso un vecchio sentiero appena visibile, sotto la guida esperta di Mario geologo. Dal fosso di Rimaggio – bella vista da dietro del castello di Partina – attraversato il paese sulla via nazionale – passiamo alla sponda sinistra dell’Archiano (quello del Quinto canto del Purgatorio) e lo percorriamo per un lungo tratto. E qui L’impatto con il piccolo memoriale dei fatti avvenuti qui “il 13 Aprile 1944”: domani, 50 anni fa. Su pietra grigia sono scolpiti i nomi degli uccisi. Guardo l’età: il più giovane 19 anni, il più vecchio 52. E’ una coincidenza che mi emoziona e che mi ha portato a scrivere questo post. (Domando scusa per i riferimenti troppo personali)
Arrivo a casa (Le Lame di Ortignano-Raggiolo, near Bibbiena), riprendo tra le mani un vecchio libriccino, cerco le pagine giuste, le scannerizzo e le pubblico.
D. Cristoforo è il prete che mi ha passato a Prima Comunione, in tempo di guerra ( sfollato con la famiglia negli anni del fronte in quel di Lierna, antica cittadina castello fin dal tempo in cui Dante faceva il bagno nell’Archiano).
Naturalmente il racconto di questo prete, ha per me suggestioni e ripercussioni che non possono essere ritrasmesse a voi giovani lettori.
Ma sono pagine di memoria non convenzionali.
13 Aprile 1944-2004:
Rappresaglie
Verso la fine di Marzo del '44 le formazioni partigiane che si stavano organizzando, entrarono in azione. Per bloccarle i Tedeschi fecero venire le S.S. Queste formazioni, composte da nazisti fanatici e crudeli, erano la polizia della polizia. Fece lega con esse la Guardia repubblicana formata da fascisti fanatici, intolleranti che avevano rimesso in piedi il morto partito fascista.
Le vallate del Casentino furono invase da queste squadracce che seminavano morte e terrore. Sparavano a vista lungo le strade, ai margini dei boschi, contro le persone senza domandare chi
fossero o che cosa facessero. I partigiani per vivere e tirare avanti la resistenza, portavano via grano, prosciutti o altro a qualche fascistone. Questi spesso denunziava il fatto alle S.S. e cominciavano
le rappresaglie contro i paesi.
Poco dopo il fronte un giovane mi diceva: Vennero i partigiani, portarono via la roba a noi fascisti. Si andò a lamentarci al comando tedesco. Ci presero, una fascia al braccio, e ci portarono a Chiusi della Verna. Qui si fece a rivoltellate con i nostri paesani partigiani. Noi di qua, loro di là. I Tedeschi a guardare ".
Imprudenze commisero anche i partigiani: ferivano o uccidevano un Tedesco - con risultato insignificante per la resistenza - e paesi interi venivano bruciati.
Ricordiamo le principali rappresaglie.
Vallucciole
13 Aprile 1944. Giorno funesto per il Casentino: Vallucciole, Partina, il Moscaio di Bibbiena messi a ferro e fuoco. Vallucciole viveva tranquilla sotto il Falterona. Palpitava di vita. Il vezzeggiativo ci fa pensare a qualche cosa di grazioso e delicato. Carbonai, pecorai, tagliaboschi, coltivatori, allevatori di bestiame! Gente pacifica, semplice. La bufera distrusse tutto. Giù nel fosso è il Mulin di Bucchio. Qui sorsero le prime formazioni partigiane, le prime scaramucce, cadde il giovane partigiano Pio Borri. Pretesto della strage: due Tedeschi rimasti uccisi. La notte salirono su gruppi di S.S. Fra questi - mi hanno raccontato - vi era una persona importante. Fu riconosciuta da uno dei valligiani che esclamò: “ Oh almeno lei ci salverà".
Bastò questo perché tutti quelli che incontravano venissero fucilati senza pietà. Paese, casolari, presi d'assalto come una fortezza nemica. Caddero donne, bambini, vecchi ... Gli uomini validi, radunati, costretti a portare cassette di munizioni, furono ammazzati lungo il tragitto, quando non ne potevano più o poco dopo al termine della salita. Scene strazianti: qualche babbo passando con la cassetta di munizioni davanti alla casa, vide scannati moglie e figli senza neppure potersi fermare a dare l'ultimo bacio. Altri babbi non poterono dare un addio ai loro cari al muro in attesa di fucilazione. Affranti, spossati dal peso e più dal dolore, venivano freddati e lasciati lì. Trafitti dalla disperazione di aver perduta tutta la famiglia, preferivano morire. Oualcuno si salvò risparmiato a viva forza da Tedeschi meno crudeli. La scena più raccapricciante: i bambini sbattuti contro il muro. Di questo ne ho una testimonianza diretta:
« Un disgraziato nella piazza di Soci, fermatosi a parlare con Don Vittorio Guerri e con me, si vantava con queste parole: «A Vallucciole, per non sciupare una palla, i bambini si s:battevano nei muri ". Una signora di Stia mi confermava il fatto: fra i bambini che fecero questa fine una di 4 anni di Arezzo sfollata a Vallucciole. Dio che guida gli eventi, lascia la libertà agli uomini che possono commettere qualsiasi delitto. La punizione prima o poi arriva: Ouel disgraziato finì sepolto vivo!
Il Moscaio di Banzena, Bibbiena
Plano prestabilito: rastrellamento delle vallate del Casentino. La stessa notte di Vallucciole il Moscaio, un gruppo di case lungo la via Bibbiena-Vallesanta. Un gruppo di SS sale la via sassosa, sconnessa, guidato da un giovane costretto contro la propria volontà. Il paesino è preso d'assalto: le poche case bruciate, uccisi sette giovani. Che male avevano fatto quei giovani? Perché questo eccidio? Il parroco di Banzena, Don Artemio Bisenti ha gettato un po' di luce su questo episodio. I giovani non furono uccisi in casa, ma ai margini del bosco, divisi in due gruppi. Le S.S. scorrazzavano avanti e indietro. Chi si trovava per la via o alle prode dei campi e boschi, veniva ammazzato all'istante. A questo si aggiungeva il proposito di rivalsa e di vendetta di alcuni gerarchi fascisti che si vedevano derubati o vedevano strapparsi di mano il comando. I corpi dei morti furono lasciati insepolti.
Don Bisenti il parroco di Banzena cercò il comandante per seppellirli. Lo trovò sdraiato sotto una loggetta che succhiava una caramella. Il sacerdote fece notare che quei giovani non avevano fatto alcun male, non si comprendeva la loro morte. Impassibile rispose freddamente, in francese: “C'est la guerre! ".
Alle insistenze del parroco concesse di sotterrarli privatamente senza il suono delle campane e senza persone. Vigilarono con la presenza perché le condizioni fossero osservate.
Tristezza indicibile di questi funerali di guerra. Al termine della giornata, il tramonto di questa gioventù senza un bacio e un abbraccio dei loro cari, senza il conforto dei paesani, lasciava
turbati. Ma la nostra vita è illuminata dalla luce del Calvario, dove il più innocente dei martiri è morto per tutti!
Soci
Ancora notte! Dalla strada saliva un gran tramestio e un abbaiar di Tedeschi. Nel vecchio paese di Lierna, la strada muore senza sfondo. Ritornarono indietro, ma il pesante automezzo,
faticava a passare dall'antica porta romanica. Fracasso, avanti e indietro, schiamazzo, berci.
Come Dio volle scapparono e sparirono verso Avena. Nessuno uscì a vedere cosa succedeva, io guardavo dietro le imposte. Poco dopo mi alzai. Un impegno a Soci per l'uffizio di confessione.
Il silenzio vuoto del paese dava fastidio. In piazza, nel mettere la mano in tasca, mi accorsi di non avere il portafoglio. Attimo di indecisione. Ma – dissi - non voglio comprar niente. Seguitai.
C'era dentro la carta d'identità: a questo non pensai. Viaggiare senza, poteva essere fatale: brutti guai o addirittura la morte.
Partii in bicicletta. A Belvedere un gruppo di operai di Memmenano mi dissero: - Costaggiù in mezzo alla via c'è una mitragliatrice...
Un sospetto: che cosa cercano a quest'ora? Perché la mitragliatrice?
Vado avanti a passo d'uomo. Due svolte e intravedo la pattuglia. Scendo di bicicletta, avanzo lentamente con precauzione.
Distinguo bene cinque militari: due nel campo, due ai Iati della mitragliatrice, uno infilato nella chiavica delle acque. A pochi passi mi danno l'alt! Ora capisco quanto è grave lasciare a casa la carta d'identità!
-Documenti, - grida il soldato.
Mi arrabatto a spiegare che li ho lasciati a casa. Perquisizione! Alzo le braccia mentre mi tastano da capo a piedi. Nessuna difficoltà.
- Via, - mi fa, cedendomi il passo. Soldati austriaci, tutto andò liscio! Se fossero state le S.S.?
Prima di me Mons. Guerri diretto a Soci, lui pure senza documenti. Potevano pensare: Dove vanno questi preti, senza la carta d'identità?
Beh! È andata bene, ringraziamo Dio. AI cimitero di Soci si scopre Partina. Una colonna di fuoco e
fumo sale al cielo: una ventina di metri. Cosa succede? Brucia Partina?
Un contadino sbuca dal campo. È Giovanni Bocci fratello di fra Biagio amministratore della Musolea.
- Giovanni che cosa c'è a Partina? Guardate che fumo!
- Ma... dice che hanno bruciato due camions...
- Macché camions, non vedete che il fuoco sale dalle case?
- Ma... io ho paura voglio andare a casa...
Mi salutò e prese via, senza voltarsi, senza aggiungere altro. A Soci non vidi in piazza anima viva, In chiesa poche persone. Confessai quelle e celebrai la messa con l'animo sospeso.
Grave presentimento. Uscii. La piazza si animava: aria di spavento, di terrore!
Gruppi di persone parlavano sotto voce: agitazione, facce spaurite. Un domandare ansioso, preoccupato, sospettoso...
Da Partina le prime notizie incerte, confuse, ma terribili! Ho visto bene, il paese è in fiamme, case che bruciano, persone uccise. Due sentinelle ai lati della strada, agli Archi, sbarrano il passo per Partina. Verso le ore 10 si conosce la tragedia che si è abbattuta su quel paese. Rastrellamento e rappresaglia delle S.S.
Soci è sfuggito per miracolo. Il capitano dell'esercito Tambosi, comandante a Soci, ha impedito che quei forsennati mettessero il paese a ferro e fuoco. A fatica perché queste formazioni sono
indipendenti dall 'esercito.
Tempesta a Partina. Nessun comandante tedesco, qui, a fermare quella violenza omicida! Tragedia anche per Soci: sei dei suoi giovani uccisi a Partina!
Terrore e morte a Partina
Albeggiava appena quando le S.S. piombarono su Partina. Il comando in casa del segretario politico. La guardia comunale Cerini Angelo, è costretta a guidare quei facinorosi alle case dei Partigiani.
Salgono alla Portaccia dal partigiano Lorenzoni, sfondano la porta, lo chiappano caldo caldo a letto, lo portano via in mutande.
Grido straziante della moglie Irma, risposta angosciosa di Giovanni.
Sa di andare alla morte. La guardia si affretta a spiegare che Lorenzoni non è un partigiano. Un colpo alla testa la fredda.
Presente alla scena Severo Luzzi,contadino della Chiesa alzatosi presto a governare le bestie, fu costretto a portare fascine di legna nelle case destinate a bruciare. Vide cadere la guardia colpita
all'orecchio da un soldato! Approfittò del momento di confusione e fuggì. Scese a corsa nel fosso del Rimaggio, lo risalì fino a Freggina e si salvò. Giovanni Lorenzoni scappò, ma riconosciuto
perché in mutande, fu ucciso. Insieme a lui cadde Vito Zavagli, un bravo giovane che non aveva a che fare con le fazioni in lotta.
Tedeschi bussarono furiosamente a casa di Vecchioni. Gina la madre, donna forte, coraggiosa, riuscì a trattenerli. Il figlio, dopo una lotta con un tedesco, ferito, riuscì a fuggire, raggiunse la campagna e si allontanò sempre inseguito dai tedeschi.
Il partigiano Santi Paperini catturato, riuscì a scappare, saltò un muro, volò giù nel fosso e risalì la sponda opposta. Si offrì bersaglio ai nemici che dall'alto lo fulminarono con una scarica. Il padre di Santi, colpito al polmone, mentre si raccomandava che lasciassero il figlio, scese in canonica con gli altri abitanti. Il parroco l'adagiò sopra un materasso, ma sopraggiunsero quei manigoldi, lo prelevarono a forza, contro il parere di Don Turinesi, con il pretesto di portarlo all'ospedale. Si allontanarono veloci, svoltarono verso un campo e lo finirono di uccidere versando terra in bocca. Don Giovanni Vannini con il binocolo osservò la scena, corse su, ma il poveretto era già morto.
Gruppi di Tedeschi sgombrarono il paese alto. Le famiglie furono fatte affluire in chiesa e in canonica. Gli abitanti della via nazionale restarono indisturbati nelle case. Le abitazioni dei partigiani, di chi li aveva favoriti, altre per errore, vennero bruciate.
Vittorio e Valentino Rosai, dopo una furiosa lotta, sopraffatti, cosparsi di benzina, furono bruciati. I fratelli Bruno e Pietro Cecconi, scaraventati vivi nella casa di Vecchioni in fiamme, morirono nell'incendio. Il giovanetto Luigi Pierazzoli, strappato dalle braccia dei genitori, fu buttato nel fuoco. Cercò di fuggire. Lo ripresero e lo cacciarono di nuovo nelle fiamme. Morì carbonizzato, rannicchiato in se stesso, nel tentativo di sfuggire alle vampate.
Egisto Montini aveva fondato un maglificio con sede nel teatro del paese. Si era rifugiato in chiesa con gli altri paesani.
Circolò la voce - forse ad arte - che il teatro era in fiamme.
Montini uscì con gli operai Furieri Antonio e Luigi Gori per tentare di salvare le macchine. Nessuno dei tre ritornò! Furono riconosciuti i cadaveri dalle chiavi del teatro e da pochi avanzi.
Roghi umani di vittime e di case divamparono a lungo! Non bastando le fiamme, altre abitazioni furono minate.
La madre del giovanetto Luigi, morì poco dopo. Stavo presso il suo letto e mi diceva: come posso perdonare a chi ha bruciato vivo il mio figlio innocente? Avevo quello solo... e poi morire di una morte così crudele! » Terribile odio di parte! In guerra si dimentica, si perdona, ma le lotte fra fazioni, partiti, sono all'ultimo sangue! Si tratta del potere, del denaro, del posto! Machiavelli diceva che si fa più dispiacere a rubare la borsa che ha uccidere il babbo. Se uccidi il padre, dai al figlio una pensione e quello dimentica tutto. Se porti via la borsa, non te la perdona più.
In chiesa la popolazione piangeva, si disperava, ma pregava pure, sperava in Dio! Don Ezio celebrò la messa, dette l’assoluzione a tutti, li confortò. La costernazione, il terrore invasero la gente alla notizia che mine erano collocate intorno alla chiesa per farla saltare. Il parroco scongiurò, supplicò di risparmiare il popolo.
Arrivò a dire che uccidessero lui e liberassero gli aItri. Il Signore invocato venne in aiuto. Dal podere di Faeta vennero i marescialli della Todt, da Soci il capitano tedesco Tambosi. A mezzogiorno riuscirono a liberare donne e fanciulli, alle ore 4 del pomeriggio gli uomini. Questi messi al muro vennero rilasciati dopo un severo ammonimento di fare la fine degli uccisi,se avessero reagito.
La rabbia tedesca non era finita! Sei operai di Soci passavano diretti al lavoro. Andavano a lavorare alla Todt. Un tribunale improvvisato li condannò a morte e caddero uno alla vo1ta lungo la sponda dell'Archiano. Dalle finestre gli abitanti della via nazionale li videro piombare a terra sotto il fuoco nemico. Perché furono uccisi? Probabilmente qualche italiano delle SS, riconosciuto,
si vendicò facendoli sparire.
Alcuni civili, ricercati sfuggirono alla morte. Anche Don Antonio Buffadini, Padre Rienzi barnabita, di passaggio da Partina, arrestati e minacciati di morte, riuscirono a liberarsi.
Spettacolo terribile davanti agli occhi degli scampati. Il paese sconvolto, vittime carbonizzate, case sbuzzate, nere, affumicate, sventrate, sbruciacchiate, a brandelli, saltate in aria! rovine, detriti, polvere, macerie! I superstiti terrorizzati, pallidi, con il segno in volto dello spavento. Desolazione, morte, rancori, odio, animi profondamente divisi. Disperazione di chi piangeva inconsolabile la morte dei propri cari irriconoscibili. Molti di questi trucidati o bruciati innocenti. Scene terribili di dolore, di pianto, di morte! Dopo la tragedia, Partina, presa ormai di mira, fu sconvolta da una seconda ondata di terrore. Molti fuggirono, altri sfollarono all'arrivo del fronte, i pochi rimasti furono deportati in Romagna. Vecchi, malati, affidati a Don Ezio Turinesi, si raccolsero in
canonica.
I guastatori minarono la via nazionale, le case lungo questa alcune del borgo. Quelle risparmiate il 13 Aprile andarono distrutte durante il fronte con le mine. Un metro di rovine copriva le strade, il paese sembrava scomparso per sempre.
Un anno dopo, nel settembre 1945, quando venni parroco a Partina, era una desolazione! Macerie dappertutto, brandelli di case a ciondoloni, masse di sassi ovunque. I passanti non riconoscevano più questo grazioso paese spianato e bruciato dall'odio nemico.
Don Cristoforo Mattesini
Guerra e pace
Tip. Palmini, Arezzo, 1977.
NB. Il libro è stato ristampato di recente e quindi è possibile trovarlo.
Ancora sul 13 Aprile